Pisi e misuri - Tarsia dialetto

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Pisi e Misuri.

Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, erano ancora in uso sistemi ed unità di misure del vecchio Regno delle Due Sicilie, sebbene il sistema metrico decimale fosse già stato adottato dall'Italia verso la fine del 1800.
O per antica consuetudine, oppure per una atavica resistenza a quella che si credeva, comunque, una occupazione straniera, le popolazioni meridionali continuarono ad utilizzare le vecchie misure, anche se queste non avevano più valore legale: la limitatezza dei mercati, le difficoltà degli scambi commerciali, le ristrettezze economiche facevano sì che non venissero adottate misure e pesi universalmente riconosciuti e conosciuti. potendo variare, questi, addirittura nell'ambito di paesi limitrofi.


Unità di misura per gli aridi.
Tumminu: corrisponde a 45 Kg circa. Dall'arabo “thumn”. Come recipiente, era troppo ingombrante e pesante per poter essere maneggiato e sollevato, per cui si preferiva ricorrere “aru Munzuddhru” (mezzo tomolo): 22,5 kg circa. Dall'arabo “muddz”; a forma di trono di cono, costruito con piccole doghe tenute insieme da cerchi in ferro, di misura standard: 36 centimetri il diametro della base maggiore, 32 della base minore, o bocca, 30 in altezza. I sottomultipli erano:  “u Quartu” ( ¼ di tomolo): 11,5 kg circa. Dal latino “quartum”, quarta parte; “u Stuppieddhru “(1/8 di tomolo): 5-6 kg circa. Dal greco “stupòs”, ceppo d'albero circolare svuotato all'interno; “u Stuppiddhruzzu” (½ di stuppieddhru, 1/16 di tomolo): 3 kg circa; “ a Misureddhra” (1/32 di tomolo): 1.5 kg circa. Dal latino “mensura”, dimensione, capacità.
Stroppa: non era una unità di misura vera e propria, ma la quantità che si lasciava al mulino per la molenda di un tomolo di grano; corrispondeva all'incirca a “nu stuppieddhru”. Dal latino “struppus” (legame, quindi contratto tra due parti).
Per quanto riguarda il grano, la resa dipendeva dal tipo, di solito si aggirava per il 70% in farina ed il rimanente 30% in “granza” e “ caniglia”; con la “granza” (dallo spagnolo “granzas”, vagliatura, cruschello), si facevano “i frisiddhri”; la “caniglia” (dal latino “canilia”, semola) veniva adoperata per uso zootecnico (a mmassata).
Junta: neanche questa era una unità di misura, pure se, come termine, veniva adoperato di frequente; era una semplice aggiunta e come quantità corrispondeva al contenuto della giumella.
Vorrei integrare con altre considerazioni. Nel Regno delle Due Sicilie, checchè se ne dica, il sistema bancario era alquanto deficitario, nonostante la grande ricchezza in deposito aureo; la maggior parte delle banche era costituita dai cosiddetti “monti frumentari” o “monti granari” (se ne contavano 2000 circa); la funzione di questi monti non era quella di prestare danaro, ma di anticipare le sementi: l'anticipo era calcolato “ara rasa”, cioè a livello dei bordi superiori del recipiente; al raccolto, la restituzione avveniva “aru curmu”, una sorta di montagnola che sovrastava il livello del recipiente, e che costituiva l'interesse.


Unità di misura per l'olio.
Militri: corrispondenti a 2,5 litri. Dal greco “emilitron”, cioè la metà di una “litra” greca, in origine unità di misura ponderale ed anche monetaria, poi utilizzata anche riferita al volume.
Mijenzu militri: 1,25 litri.
Quartu: 62 cc.
Ramateddhra: 31 cc. Forse perché era fatta di rame, da un tardo latino “aeramen”.
Misura più piccola, in uso come baratto, era “a cucchiara”, all'incirca 8 cc.
Una macina (tre tomoli di ulive, circa 135 kg) dava una quantità di olio di circa 32 - 38 litri, in dipendenza del periodo di raccolta; in tempi più lontani, quando il prodotto non veniva filtrato, la resa poteva essere anche molto superiore.
Alle raccoglitrici di ulive veniva corrisposta “una ramateddhra” (circa 31 cc) per ogni macina; la stessa quantità veniva corrisposta ai lavoratori del frantoio. Invece, il proprietario che raccoglieva in proprio prendeva 1 Militru per ogni macina. Più di recente, le proporzioni sono molto cambiate, a favore dei raccoglitori.


Unità di  misura per il vino.
Boccia ( o lampa): circa ½ litro. Da un tardo latino “bòcia”, vaso rotondo.
Cannata: circa 1 litro. Dal greco “chanàta”, brocca di legno.
Varrili: 25 cannate (circa 25 litri). Da un tardo latino “barillus”, a sua volta dal greco “baros”, peso.
Carracchiju (carracchijddrhu): circa 33 litri. Diminutivo dal latino “carrata”, botte trasportata su carro.
L'uva era pigiata “'ndu parmientu”, grossa vasca in muratura o in legno; da qui passava direttamente nei tini e poi nelle botti, di varie misure e dimensioni. Nel caso di vendita alle cantine si usavano le misure su indicate: i “varrili” erano utilizzati per il carico degli asini; i “carracchij” per il carico dei muli, o per il trasporto su carro.
Vorrei aggiungere qualcosa su “lampa”: bevuta smodata e avida di vino. Dal francese “lamper” (più precisamente, vino rosso), forma nasalizzata di “laper”, da un tardo latino “lappare”. In francese “boire une lampée de vin”, bere vino in gran quantità, e “lamper” significa anche ubriacarsi. Da notare che in Calabria, nella zona di Soverato, si coltiva un vitigno antico di uva rossa detta “lampa”.


Misure di lunghezza.
(Queste misure sono state sostituite già nel periodo tra le due guerre mondiali, probabilmente perché utilizzate da artigiani, sarti, falegnami, fabbri, che per approvigionarsi del materiale, tipo stoffa, legno, ferro, si rivolgevano a fornitori ufficiali).
Parmu: dall'estremità del dito pollice all'estremità del mignolo, a mano ben distesa. Corrispondeva a circa 25 cm.
Pede: dall'estremità del calcagno all'estremità del pollice del piede: corrispondeva a circa 33 cm.
Gumitu: dall'estremità del gomito all'estremità del dito mignolo, a braccio piegato. Era circa 2 palmi, cioè 50 cm.
Passu: dall'estremità dell'impronta del piede destro, posteriormente, all'estremità dell'impronta dello stesso piede, anteriormente, intesi come distanza del punto di distacco e quello di appoggio durante il cammino. Corrispondeva a circa 6 palmi, cioè 150 cm.
Canna: era di 8 palmi, cioè circa 2 metri. (Una misura simile è a Rossano, all'ex piazza Mercato, sotto il Duomo, oggi Piazza del Commercio, cementata  nel muro di una casa).


Misure di superficie.
Tumminata: superficie di terreno su cui era possibile seminare un tomolo di grano. Corrispondeva a circa 1/3   di ettaro (mq 3333,3).
Menzarulata ( o minzuddhratta): estensione di terreno su cui si seminava ½ tomolo di grano. Corrispondeva a circa mq 1666,6.
Quartucciata: superficie di terreno su cui si seminava ¼ di tomolo di grano. Corrispondeva a circa 833,3 mq.
Stuppiddhrata: estensione di terreno su cui si seminava 1/8  di tomolo di grano. Corrispondeva a circa mq 416.


Misure di peso in generale.
Queste informazioni le ho desunte dai registri onciari dell'Archivio di Stato di Cosenza. Con mia sorpresa ho constatato che differivano tra tutte le categorie ( dai farmacisti, ai gioiellieri, ai commercianti etc), per cui non ho ritenuto opportuno dare per tutti un preciso valore univoco alle varie unità, limitandomi alla sola etimologia. Come per le misure di lunghezza, sono state tutte sostituite dopo la prima guerra mondiale (per ultima la libbra).
Cantaro: circa 90 Kg, equivalente a 100 ruotuli. Dall'arabo “qintar”.
Ruotulu: dall'arabo “rotl”.
Libbra: dal latino “libra” (misura). Circa 30 grammi.
Unza: oncia. Dal latino “uncia”. La dodicesima parte di una “libbra”.
Trappisu: dal latino “inter pensum”. La misura più piccola, di circa 1 grammo. Come termine, lo utilizzava spesso mio nonno paterno, quando, con un bilancino, preparava le cartucce per il suo fucile da caccia, dosando le proporzioni  tra i pallini e la polvere da sparo.


Monete.
(Queste  notizie le ho desunte da “zù Luigi 'u lecci, u maritu i Maria ù lecci, cà stava a Ciapparroni”, di cui non ricordo il cognome; ogni sera, alle sette, lui si assentava per sentire il giornale radio, “u nutizziariu, a tutto volume, perché era anche un po' sordo. Mi ha riferito queste cose: a suo dire,  le aveva sentite pure lui da bambino, raccontate da un suo nonno).
Le monete del Regno delle Due Sicilie ebbero corso legale fino al 1861, sostituite il 24 agosto del 1862 dalla lira.
Piastra, o scudo: moneta di grande valore, di oro o d'argento; da un latino medievale “plastrum”, cosa schiacciata.
Tarì: da un latino medievale “tarenus”, a sua volta dall'arabo “tari” (uscito dalla zecca).
Carlino: forse dal nome di Carlo d'Angiò, che per primo fece coniare questa moneta, intorno al 1300, poi ripresa dai re napoletani.
Grana: dal latino “granum”, chicco pesante.
Tornese:  antica moneta di rame,  coniata a Tours, città francese della Loira, passata nell'Italia meridionale con gli Angioini ed utilizzata fino al regno borbonico. Io ne posseggo una da 6, del 1799, trovata “nda nà ciarra” mentre zappettavo “l'uort da Cava”. Vedi foto.
Cavallo: cosiddetto perché portava impresso un cavallo su un suo rovescio; ai suoi tempi era stato sostituito dalla “Prubbrica”, che recava scritta su una faccia la dicitura “Publica comoditas”.
Non essendoci stata una valutazione ufficiale delle vecchie monete, non è possibile stabilire con precisione a quanto corrispondesse una Piastra.
La mia fantasia mi riporta alla canzone “Spingule Frangesi”, cantata di recente anche da Massimo Ranieri: “quante spingule mi dài pì nnù turnisi”.... “sentite a me, ca pure 'nParavise/ 'e vasi van'a cinche nu turnisi”, per cui un/una consulente economico/a esperto/a in baci potrebbe definire il valore della moneta.
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