lettera s - Tarsia dialetto

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S

Sàbbatu: sabato, dal latino “sabbatum”, a sua volta dal greco “sabbatòn” e dall'ebraico “shabbat” (giorno di riposo).

Saccariàre: scuotere un sacco in senso verticale per riempirlo meglio. Voce verbale da “saccus”.

Sacchetta: tasca. Stessa etimologia.

Saccùnu: grande sacco, pagliericcio, materasso ripieno di foglie di granturco, in uso presso le case rurali di campagna. Dal latino “saccus”, a sua volta dal greco “sàccos”, sacco di peli di capra (Erodoto V° sec a. C.), di origine semitica “saq”.

Saccuràfa, zaccuràfa: grosso ago per cucire l'orlo dei sacchi, oppure per la preparazione del salame del maiale. Dal greco “saccoràfa”, formato dall'unione di “sàccos” e “ufaìno”, tessitore d sacchi (Demostene III° sec. a. C.).

Sacridende (sacridili): curioso/curiosa, che vuole sapere tutto, o informarsi di tutto. Stessa etimologia di Sacridere.

Sacrìdere: ricredersi, farsi o fare persuaso qualcuno. Dal latino “se credere”.

Sagliri: salire, inerpicarsi, muoversi verso l'alto. Dal latino “salo”.

Sàgna: lasagna, pasta di farina spianata, tagliata a lunghe e larghe strisce. Dal latino  “lasanum”, a sua volta dal greco “làsanon”, recipiente da cucina  (Diocle I° sec. a. C.), da cui “lasanea” (pasta cotta in pentola).

Sajìtta: navetta del telaio. Dal latino “sàgitta”; probabilmente, diminutivo di “sagum”, mantello militare di lana dozzinale ordito dal telaio.

Sajittùnu: serpente non velenoso, colubro di Esculapio, così chiamato per la rapidità con cui si muove. Dal latino “sagitta”, di probabile origine etrusca. Anche uomo di grande statura.


Sajittunu.

Sàju: saio, abito del monaco. Da un antico francese “saie”, o dallo spagnolo “sayo”, a loro volta dal latino “sagum”. In origine era un mantello militare di militi germanici.

Salamòra: salamoia. Dal latino “sale muria”.

Salatùru: vaso di creta in cui si salano i pesci. Dal latino “sal”.

Salicunu: riferito ad albero che non dà frutti. Dal latino”salex” (salice).

Salinàru: colui che vende sale nella sua bottega.

Salìti: condito, con sale. Dal latino “sal”.

Sanfasò: alla buona, con superficialità, senza criterio, alla carlona. Termine a me caro, perché me lo ripetevano spesso i miei nonni con tono scherzoso. Dal francese “sans fasòn” (senza modo, senza impegno); “à fatt'i scritti ara sanfasò”, hai fatto i compiti di scuola con molta leggerezza.

Sangiuvànni: comparatico, relazione di compare, da S. Giovanni che battezzò Gesù.

Sanguétta: sanguisuga. Dal latino “sanguis”.

Sanguinàcciu: dolce ricavato dal sangue del maiale. Dal francese antico “sanguier” ( la ricetta è stata introdotta nel Meridione con la dominazione angioina).

Sanìzzu: in buona salute, sano, duro, robusto. Dal latino “sanus”.

Santu martinu: riferito al mese di novembre. “C'è chiavatu Santu Martinu”, è arrivata l'abbondanza.

Santuòcchiu: bigotto, bacchettone. Dal latino “sanctus”, con suffisso dispregiativo.

Sapìmu: chissà, può darsi. Dal latino “sàpere”.

Sapurìtu: saporito, nel senso di salato. Dal latino “sapor”, derivato di “sàpere” (avere sapore).

Saràca: pesce di mare, specie di sardina. Dal latino “sargus”, oppure da un tardo greco “sarix”. Riferito anche al membro maschile.

Sardéddhra: sardella, miscuglio di pesci neonati, avannotti trattati con sale e peperoncino. Diminutivo di “sarda”.

Sàrcina: insieme di più legni secchi legati . Dal latino “sarcina”.

Sarma: carico di un animale da soma. Dal latino “sagma”, basto, soma, anche sella, a sua volta dal greco “sàgma”, carico, in unione con”sarmòs”, mucchio di qualcosa (Appiano Alessandrino, I° sec. a. C.).

Sarmìentu: sarmento, tralci dalla potatura. Dal latino “sarmentum”, derivato da “sarpere” (potare le viti).

Sarvamientu: auguri di una buona riuscita. Stessa etimologia di “sarvare”.

Sarvàre: conservare, riporre, salvare. Da un tardo latino “salvare”, derivato da “salvus”.

Sarviétta: tovagliolo. Dal francese “serviette”.

Sarvu: salvo, eccetto che. Forma avverbiale dal latino “salvus”.

Savanijéddhru: termine ormai in disuso. Era un largo pannolone che si poneva sotto le fasciature tra le gambe del neonato in zona inguinale. Dal latino “sabanum”, accappatoio, a sua volta dal greco “sabanon”, grossa tovaglia, asciugatoio, anche paramento d'altare (Clemente Alessandrino I° sec. d. C.). Anche in spagnolo “sabanilla”. Per fortuna anche l'uso è stato soppiantato dai pannolini, perché responsabile di frequenti lussazioni dell'anca.

Savurra: pietrame minuto, piccoli sassi che si mettevano negli interstizi dei muri in costruzione. Dal latino “saburra” , pietrisco (Virgilio, I° sec. A. C.). Dante Alighieri usa il termine con il significato di “roba di scarto” (Divina Commedia, Inferno canto XXV, verso 142).

Sazizza: salsiccia. Dal latino “salsicium”, dall'incrocio “salsus” (salato) e “insicius” (carne tritata, tagliuzzata).


Sazizza.


Sbacantàre: svuotare, sgomberare, evacuare. Dal latino “ex vacuus”.

Sbafànte: spaccone, baldanzoso, insolente, sfacciato, sfrontato. Dal latino “ex pavandus” (che mette paura). Ipotesi alternativa, ma fantasiosa, potrebbe essere una voce fonosimbolica “ba...fa...”, come di chi apre la bocca per vantarsi.

Sbafantiàre: fare lo spaccone, lo sfrontato. Stessa etimologia.

Sbafàri: mangiare in modo ingordo, rapidamente, specie a spese degli altri. Dal latino “ex pappare”.

Sbalancàre: spalancare, aprire le imposte quanto più è possibile. Dal latino “palanca”, con il prefisso “s”, a sua volta dal greco “falangs”, tronco, fusto cilindrico di legno (Erodoto, V° sec. a. C.): negli antichi lavori di fortificazione campale, era un riparo costruito per difendere una posizione da improvvise scorrerie, costituito da pali e tronchi conficcati nel terreno a contatto l'uno con l'altro. Letteralmente significa “aprire una breccia, un passaggio attraverso una fortificazione”.

Sbalestràre: non connettere, dare segni di squilibrio, essere disorientato, frastornato. Dal latino “ex balestra” (essere fuori dalla balestra: in senso figurato, fuori dalla giusta direzione).

Sbalìngu: storto, sghembo, contorto, anche convalescente che si sta rimettendo da una malattia. Probabilmente dall'unione di “ex”, e un latino medioevale “banda”, lato, parte e da un germanico “link”, sinistro, riferito alla conformazione di una persona dalla figura non regolare, con parti del corpo non equilibrate.

Sballàre: togliere il fieno da una balla; oppure anche sbagliare in misura notevole i calcoli, i piani di previsione; fallire. Dal latino “dis ballare”.

Sbampàre: divampare, avvampare. Dal latino “vampa” con il prefisso “s” rafforzativo.

Sbancàre: dissodare un terreno, fallire in commercio, far saltare il banco nel gioco. Dal prefisso “s” e “banco”.

Sbanjiàre: vaneggiare, agitarsi, essere in apprensione, inquietarsi, anche avere frenesia, essere insofferente. Dal greco “mainomai” con “s” rafforzativo, essere fuori di sé, matto, in preda alla furia (termine omerico, IX° sec. a. C.).

Sbannàta: deviazione, mutamento, cambiamento. Da un tardo latino “banda” con “ex”, da un lato, da una parte.

Sbarattàre: liberarsi da tutto ciò che costituisce un ingombro, un ostacolo, un impedimento. Non va identificato con l'italiano “sbarattare” (scompigliare, disordinare), ma con sbarazzare, dal francese “disbarassèr".

Sbarràre: ha due significati opposti: schiudere, spalancare, oppure chiudere con una sbarra, una spranga. Dal francese “barrer”, o dallo spagnolo “barrar”.

Sberra, sperra: lama di ferro addentata e perciò inservibile, oppure ferro di cavallo o di asino reso inservibile; anche lancetta dell'orologio a muro. Dal latino “dis” privativo” e “ ferrum”.

Sbérsa: rimboccatura del lenzuolo, rivolto delle maniche. Dal latino “exversa”.

Sbersàre: rovesciare (riferito all'acqua). Stessa etimologia.

Sbiàre: mettersi in cammino, svagarsi, menare a pascolare. Dal latino “dis viare”.

Sbijrtuliàre: rovesciare, scuotere per svuotare. Voce verbale da “ex averta” (fuori dal sacco).

Sbilanzàre: lanciare, gettare, sospingere con forza, scrollarsi di dosso, sbilanciarsi, arrischiarsi. Voce verbale dal latino “ex bis ance” (portare fuori dai due piatti).

Sbinnimàre: vendemmiare. Dal latino “ex vino imere” (togliere dall'uva).

Sbintàre: vanificare, evitare, interrompere temporaneamente un lavoro, sventare. Dal latino “ex ventare”, frequentativo di “venire”. Il termine ha anche il significato di “distrarsi, essere svampito”: in questo caso la sua derivazione è dal latino “ex ventilare”, soprattutto nella locuzione “sugnu ccà capa sbintata”, cioè ho la testa distratta.

Sbitignàre: spollonare, levare i pampini superflui alla vite. Dal latino “ex vitineo” (appartenente alla vite).

Sbordijàre, sburdijàre: gironzolare, aggirarsi, stare attorno. Dal latino “ex” e dal germanico “bord”(margine, estremità, contorno).

Sbotàre: svuotare, privare qualcosa del suo contenuto. Voce verbale dal latino “ex vacuo”. Non si sa bene come possa essersi verificato un così grande cambiamento dal termine “vacuare” a “vuotare”: sono i misteri dell'evoluzione della lingua.

Sbracàre: liberarsi di tutto quanto è d'impaccio, liberarsi di una carta che non serve al proprio gioco, sciogliere i legami che cingono le brache,  anche assumere un atteggiamento sguaiato, scomposto. Dal latino “ex” e da un tardo latino “bragae”, voce di origine germanica “broach” (dismettere i pantaloni, che i Romani, superbi della loro toga, sprezzavano e che ritenevano solo d'impaccio nel camminare).

Sbrancàre: sottrarsi ad una morsa, ad una stretta, sfuggire. Voce verbale dal latino “ex branca”.

Sbrignàre: andare via, levarsi di torno, scappare. Probabilmente da “ex” e “vigna” (come a dire “andare a nascondersi nella vigna per evitare un incontro sgradito o spiacevole”). In alternativa potrebbe derivare da un antico germanico “bridil” o da un antico francese “bride”, legamenti, cavi, anche catene. In origine, erano congegni da guerra con i quali i difensori di città fortificate afferravano le macchine da assalto nemiche e le traevano con violenza contro le mura per metterle fuori uso.

Sbrigugnàtu: svergognato. Dal latino “verecundia”, con il prefisso “s”.

Sbrittàre: venire fuori all'improvviso (di una lepre), scivolare, fuggire rapidamente. Voce verbale dal latino “ex” e dal francese “brisées”, insieme di rami spezzati lasciati da un animale inseguito in una sterpaglia o nel bosco. Anche nel Triveneto “sbrissare” ha lo stesso significato.

Sbruffàre: emettere a spruzzo acqua dalla bocca, anche dire o raccontare cose esagerate o poco credibili. Voce onomatopeica.

Sbruffùne:  millantatore, smargiasso, spaccone, pallone gonfiato. Stessa etimologia.

Sbrusciàre: sfiorare, toccare leggermente. Dal Latino “extrusare” frequentativo di “extrudere”.

Sbuccàtu: sboccato, scurrile, che parla senza ritegno, che dice parolacce. Da “bocca” con il prefisso “s”.

Sbuddhràre: di liquido che fuoriesce dalla pentola per troppa bollitura. Dal latino “ex bullare”.

Sbulicàre: venir fuori, sbrogliare, districare, dipanare, trovare soluzione ad una situazione complessa e difficile, anche sbrigarsela. Da un tardo latino “ex bullicare”, voce verbale da “bulicamen” (moltitudine confusa di cose o persone: in origine, si intendeva un luogo dove si radunavano alla rinfusa i mercanti, i procacciatori d'affari e gente poco raccomandabile); oppure da un antico francese “broueillier” o “brouiller”, con il prefisso “s”.

Sbummicàre: vomitare. Dal latino “vomitare”, frequentativo di “vomere”; veniva utilizzato anche con il significato di purificare la lana, che veniva prima tostata e poi pulita dalle sporcizie.

Sbunnàre: sfondare, rompere il fondo, anche penetrare con violenza, scassinare. Voce verbale dal latino “ex fundo”.

Sburiàre: divertirsi, svagarsi, distrarsi, passare il tempo. Probabile derivazione dal latino “boreas”(vento di tramontana) e dal suffisso “s” e con significato figurato.

Sburràre: uscire, sgorgare  con impeto, eiaculare. Dal greco “spòros”, sperma (Ippocrate V° sec. a. C.). In alternativa, e questa ipotesi mi convince di più, potrebbe derivare dal latino “ex” e dal greco “bòtros” (fossa, profondità), quindi qualcosa che viene fuori dalla profondità. Da non escludere un'altra ipotesi, dallo spagnolo “buron”, la cui radice è sempre greca.

Sbutàre: girare, svoltare. Dal latino “ex volutare”, intensivo di “volvere”.

Scacàre: perdere, fallire il colpo giocando, anche cessare di fare l'uovo.

Scacatùru: l'ultimo uovo più piccolo dell'ordinario che fa la gallina. Dal latino “ex caca”.

Scacchiàre: levare il cappio ad una bestia, sciogliere un nodo, liberarsi. Dal latino “ex capio”, a sua volta dal greco “chaptein”.

Scacogna: insuccesso, fallimento, fiasco, anche sbaglio. Termine ormai in disuso, che si adoperava per indicare un'errata identificazione nel gioco del nascondino. Da un antico francese provenzale e dallo spagnolo catalano “escac”, a sua volta derivato dall'arabo “schah” (re: con riferimento al gioco degli scacchi, quando la mossa implicava il “matto”).

Scafacciàre: schiacciare, calcare con i piedi, ammaccare, premere. Dal latino “ex capite”e “facere”; oppure dallo spagnolo “xafardejar”; oppure ancora dal greco “chamàzo”, rendere inservibile qualcosa per terra.

Scaffiàre: schiaffeggiare. Probabile voce onomatopeica, da un germanico “schlappe” (percossa) con influenza del latino “colaphus” (colpo).

Scaffittùnu: grosso schiaffo. Stessa etimologia.

Scaglia: mondiglia che rimane nel vaglio, vagliatura del grano, anche scheggia di legno o di laterizio. Dal germanico “skalja”.

Scalàsciu: frastuono, fracasso, disgrazia inavvertita. Sostantivo derivato dal verbo latino “ex quassare” (sconquassare, abbattere, sconvolgere), oppure dal greco "xaràsso" (rovina).

Scaléra: specie di cardo. Da un  tardo latino “escariolus”, per metatesi, oppure dal greco “ascàleron”.



Scalera.

Scaliàre: frugare, rovistare, ricercare, scrutare. Dal greco “scalìzo”, scrutare (Vecchio testamento).

Scalìddhri: dolci natalizi a base di uova e a forma di scaletta, ricoperti da miele.


Scaliddhri.

Scalùnu: gradino, scalino. Diminutivo dal latino “scala”. Può essere una contraddizione in termini che, a Tarsia, in questo caso la desinenza “unu” abbia una funzione di diminutivo e non di accrescitivo; in realtà, è una riprova della passata influenza normanna e francese, che utilizzavano tale suffisso in questo senso. Vedi anche “timpunu”. “Cà vù avì l'erva aru scalunu e 'u ragnu ara cridenza”, che tu possa avere l'erba davanti la porta e le ragnatele nella credenza, invettiva con cui si augurava un avvenire di povertà e di solitudine.

Scamacciàre, scafacciàre: pestare, schiacciare, pigiare, ammaccare. Forse dallo spagnolo “ex macho” (martello, incudine). In spagnolo “machucar” è pressare. Oppure dal greco “chamax”, grosso palo per battere la lana.

Sc(k)amàre: gridare, lamentarsi, miagolare . Dal latino “exclamare”.

Scampàre: smettere di piovere; anche uscire illeso da un pericolo, salvarsi, sfuggire ad un rischio. Nel primo significato, dallo spagnolo “escampar” (spiovere), o dal greco “cambainein”; nel secondo,  dal latino “ex” e “campo”. Il “campus”, in latino, era sia l'accampamento dell'esercito, sia il luogo dove i soldati erano disposti a battaglia, per  cui “scampare” alla lettera significa fuggire dal campo di battaglia e quindi sottrarsi allo scontro.

Scampitàre: evitare. Stessa etimologia.

Scampuliàre: cominciare a spiovere, vivacchiare, tirare avanti alla giornata. Stessa etimologia.

Sc(k)àmu: forte grido. Stessa etimologia di “scamare”.

Sc(k)amunìa: voce dispregiativa che indica un ammasso di scarti e, per estensione, una cattiva accozzaglia di persone, di bassa levatura, di povera marmaglia. Dal greco “schammonìa”, pianta dal cui tronco inciso fuoriusciva una sorta di resina; l'albero però inaridiva diventando un relitto di corteccia e fogliame inservibile, inutile: da qui l'accostamento. E' un'ipotesi che non mi convince molto; probabilmente è voce sostantivata dal verbo “sc(k)amare”, quindi con la stessa etimologia.

Scanagliàre: esaminare, verificare, riscontrare in modo preventivo. Da un tardo latino “scandaculum”, a sua volta da “scandere” (portare in superficie).

Scanàre, schianàre: impastare la farina per fare il pane. Dal latino ”explanare”.

Scanatùru: ognuno dei due piani laterali della madia su cui viene steso l'impasto. Dal latino “ canalis”, condotto di scarico.

Sc(k)andràre: avere paura all'improvviso, sobbalzare, trasalire di colpo. Da un latino tardo “stiantare” oppure sempre dal latino “explantare”. Altra etimologia possibile sarebbe dal greco “scandalon” (trappola, insidia).

Scandrapassiri: spaventapasseri. Stessa etimologia.

Scandrìjesciu: animale da scarto, persona o cosa di poco valore, di cattiva costituzione, spiacevole, disdicevole. Dal greco “scandalìzos”.

Scangiàre: scambiare, tramutare, permutare. Dal francese “echanger” a sua volta dal un tardo latino “excambiare”.

Scangiajuochu: uno che non sta ai patti, volubile.

Scangillari: cancellare, cassare, disdire, annullare. Da un tardo latino “cancellare”, con “s” rafforzativo.

Scannàre: ammazzare un animale recidendo le arterie del collo e la trachea, sgozzare. Voce verbale dal latino “ex canna” (tubo, canale).  I soliti dilettanti allo sbaraglio hanno proposto l'esilarante derivazione dalla battaglia di Canne (216 a. C.), dove Roma fu sconfitta da Annibale ed in cui persero la vita 40.000 soldati romani, come se questi fossero stati scannati. In realtà, il termine deriva da un tardo latino “ex canna” (uccidere tagliando la gola), dove “canna gutturis” sta per trachea, ed il termine nel suo significato è stato utilizzato da Celio Aureliano, medico e scrittore, vissuto nel V sec. d. C.. Prima di lui, tutti gli scrittori latini hanno utilizzato il termine “iugulare” per indicare il verbo in questione.

Scànnu, scannaturu: sedile rustico di legno, asse di legno dove si uccidono i maiali. Dal latino “scamnum”.

Scansàta: evitata, allontanata dal rischio, anche diramazione di strada. Dal latino “ex campsare”, a sua volta dal greco “champtein”.

Scapìcchiu: di contrabbando, a scrocco, indica anche un comportamento senza senno, senza giudizio, fuori dalle regole. Derivato dal latino “caput” con “s” privativo.

Scapìcia: melanzane in aceto. Dallo spagnolo catalano “escabeche”(salsa all'aceto), a sua volta dall'arabo “sakbeg”. Anche in Liguria è in uso nella variante “scabeccio”; propriamente, quest'ultimo termine si riferisce ad una preparazione di carne tagliata a pezzettini, marinata e poi messa sottolio: quindi potrebbe derivare da “esca apicea” (cibo di carne di  pecora). La mia fantasia mi fa anche supporre l'origine della voce da un gastronomo romano, Marco Gavio Apicio vissuto verso il I° sec. d. C., molto ricco, che si tolse la vita quando si accorse che i soldi non gli sarebbero più bastati per preparare le sue ricette. Di lui ci rimangono frammenti di un trattato, “De re coquinaria” (l'arte in cucina), che ci danno un ritratto del mangiare di quel periodo: i suoi piatti migliori erano a base di un sugo  di aceto, da lui chiamato “liquaemen ex Apicieo”.

Scapicia.

Scapizzàre: togliere la cavezza all'asino. Dal latino “dis capitium”. In senso figurato significa liberare uno dalla soggezione, farlo libero di sé.

Scapulàre: cessare di lavorare alla fine della giornata. Dal latino “ex capulare”, (liberarsi da un cappio, da un  impegno)  frequentativo da “capio”. I soliti dilettanti allo sbaraglio fanno derivare il termine dal latino “scapulae”, scapole, schiena, dorso, forse  per uno sterile tentativo di assonanza con il rendere più leggere le spalle. Mah!

Scàpulu: non sposato. Stessa etimologia.

Scapuzzàre: levare via la testa ai pesci, spezzare, tagliare un albero a capitozza, portandone via la parte più alta. Da un antico “capezzo” nel significato originario di estremità, sempre derivato da “caput”.

Scapuzziari: sonnecchiare improvviso portando la testa in avanti, davanti al caminetto o in poltrona. Voce denominale da un tardo latino volgare "caputium".

Scarafàju, scarrafùnu: scarafaggio. Dal latino “scarafajius”, variante di “scarabeus”.

Scaramuzzàre: fare a piccoli pezzi. Dallo spagnolo “escaramuzar”.

Scaràre: sparpagliarsi (delle pecore), separare le pecore addossate le une sulle altre, nelle giornate afose. Da un tardo latino “ex clarare”.

Scaràzzu: termine in disuso. Ovile, recinto coperto dove si tiene al riparo il gregge. Non sono affatto d'accordo con il sommo linguista Rohlfs, che fa derivare il termine dal greco “eschariòn” (cantiere, ma anche piccolo focolaio, o tavolato). Secondo il mio modesto parere deriverebbe sempre dal greco, ma dall'unione di due vocaboli, “ischiròs” (forte,  fortificato)  e “iautmòs” (vedi “iazzu”); quindi luogo di riposo del gregge, riparato e difeso da eventuali assalti di animali feroci. (termine omerico, Odissea). Potrebbe derivare anche dal germanico “scharren”, con lo stesso significato. In latino “scara” era il pascolo dei maiali.

Scarcagnàre: calpestare con il calcagno, o con i calcagni delle scarpe molto consumati. In senso figurato, è usato solo al participio passato, persona mal ridotta, in cattive condizioni. Dal latino “calcaneum” con il suffisso “s”.

Scarciùofulu: carciofo. Dall'arabo “al kharshuf”, ma non è stato introdotto dagli arabi essendo ortaggio coltivato già al tempo dei greci e dei romani. Il supposto potere afrodisiaco e rinvigorente, che gli si attribuisce, deriva dal nome di una ragazza, “Cynara”, che Giove, nonostante la sua fama di grande amante e seduttore, non riusciva a soddisfare sessualmente, e che fu, perciò, trasformata in carciofo (da cui anche il nome del famoso aperitivo).

Scàrda, schérda: scaglia, squama, pezzetto di legno, spina. Dal germanico “scharda (escherde)”, oppure dal greco “acherdòs”, ramo con spina (termine omerico, Odissea).

Scarfàre: riscaldare, assolicchiare. Dal latino “excalfacio”, essere riscaldato, riscaldarsi (Plinio, I° sec d. C.), oppure dal francese “eschalfer”, o da uno spagnolo catalano “escalfar”.

Scarfaturu: termine in disuso. Arnese di legno a forma di calotta, formato da stecche sistemate come un reticolo, che veniva posto sopra il braciere per poggiarvi i panni lavati da asciugare. L'etimologia è dal latino “excalefactura” (cose che devono essere riscaldate).

Scariàre: Termine ormai in disuso. Pettinare, spidocchiare, sparpagliare i capelli per schiacciare le uova dei pidocchi. Dal latino “ex acarus” (levare il pidocchio), o da un germanico” scharaphen”, oppure dal latino “exclarare”.

Scarminiàre: carminare la lana su cardo, sgrovigliare i batuffoli di lana. Dal latino “excarminare”.

Scarnàre: disossare, dimagrire. Voce verbale  dal latino ”ex carne”.

Scarniàre: cercare, rovistare, distinguere. Dal latino ”ex cernere”.

Scarògna: disgrazia, sfortuna, cattiva sorte, jella. Dal greco “duschlereo” (cattiva sorte, disgrazia, sventura) in unione con il latino “gnatus” (nato), forma arcaica dal verbo “nascor”, quindi nato con la cattiva sorte. Non so spiegarmi, comunque, per quale contorsionismo verbale si sia giunti a sintetizzare questi due termini. Da escludere, tuttavia, l'ipotesi di far derivare il tutto da “ex caro natus” (nato non stimato, non diletto), che i soliti dilettanti allo sbaraglio avanzano.

Scaròla: indivia. Dal latino “escariola”.


Scarola.

Scarpàru: calzolaio. Dal germanico “skharpa”, o dal francese “escarpe”.

Scarpisari: termine in disuso. Calpestare  anche pestare l'uva con i piedi. Un maestro in questa operazione era mio zio Giovanni Signoretti, che, con una marcia dinoccolata e cadenzata, quasi una danza, si dava da fare “ndu parmijntu”. Il termine deriva dal latino “scalpitare”, frequentativo di “scalpere” (fendere in modo superficiale, grattare, raspare). In alternativa, potrebbe derivare dall'unione di due vocaboli latini "calce pistare" (calcare con i piedi).

Scarsiàre: scarseggiare, essere insufficiente, mancare, difettare. Da un tardo latino “excarpsus”, a sua volta da “excerptus”, dal verbo “ex carpere”.

Scartàre: eliminare, liberarsi di. Dal latino “ex carptare”, frequentativo di “carpere”; oppure potrebbe  essere voce verbale  da “ex charta”, a sua volta dal greco “chàrtes”, che indicava dapprima il foglio di papiro usato per scrivere, poi la pergamena ed, infine, il tipo di carta moderna. Non si capisce, però, come questo termine sia stato introdotto nel gioco delle carte, essendo l'uso del vocabolo sicuramente precedente a questa attività.

Scasalménte: a caso, nell'eventualità, sbadatamente, accidentalmente. Dal latino “casus”; anche in arabo una locuzione simile ha lo stesso significato, “squasi”.

Scasàre: rimuovere, dislocare;  verificare a posteriori. Dal latino “ex casa” (fuori casa). Nel secondo significato, espresso in senso figurato. La “casa” in latino era la capanna, il tugurio, anche una baracca militare.

Scasciàre: rompere con violenza, arare la terra in profondo, effettuata sia come opera di dissodamento, sia come preparazione per una successiva piantagione. Dal greco “scàzo” (Aristotele), oppure dal latino “exquassare”, derivato da “quatere”.

Scasogna: cantuccio, parte dell'angolo buio di una casa. Termine ormai in disuso. Dal latino “ex” e dal greco “ghònios” (angolo). Oppure dal greco "schazein" (rendere oscuro).

Scassu: lavorazione del terreno prima di piantare alberi. Dal latino “exquassare” (scuotere).

Scastàre: avere languore di stomaco, anche essere dispiaciuto. Dal greco “scàzo”, vacillare nell'animo (Origene, II° sec. d.C.); “mi scasta ll'anima”, sono molto dispiaciuto.

Scasùna: ragione, pretesto, scusa. Dal latino “excusatio”; “nullam excusationem recipere”, non ammettere pretesti (Anneo Seneca, I° sec. d.C.). Potrebbe derivare anche da un francese provenzale “scason”, ma l'etimologia è sempre latina.

Scasuniàre: cavillare, tergiversare, addurre pretesti. Stessa etimologia.

Scatafàsciu: alla rinfusa, anche sottosopra, alla rovina. Dal greco “cata” e “fàcheles” (Tucidide, V° sec. a. C.).

Scataliari: rovistare, frugare, cercare minuziosamente.  E' un derivato barbaro latino, dall'unione di “scatum” (da “scateo”) e dal gotico “schaptel” (letteralmente: andare in cerca di qualcosa preziosa nascosta).

Scataruzzàre: spezzare dalla testa, torcere il collo. Dal greco “catarasso”, in unione con “catarcho”, cioè spezzare cominciando dalle primizie. Mia nonna non voleva che mangiassimo anzitempo i dolci pasquali, perché “campani glorianni, cuddhrurijddhri scataruzzanni”, in quanto andavano spezzati il giorno di Pasqua. Io credo che fosse un'abitudine in qualche modo collegata a riti propiziatori usati nell'antichità.

Scatinàre: slegare, scatenare. Voce verbale dal latino “ex catena”.

Scatrijàre: rompersi la schiena dal lavoro, per un peso. Dal latino “ex” e dal greco “cathedra”. Un'altra derivazione possibile è dal termine greco “chleitròn” (cardine), quindi per similitudine “rimanere senza cardine, senza sostegno”.

Scattabbotta, scattagnola, scattapignata, scattavutta: piante che sono accomunate dalla proprietà di farne scoppiettare il calice o la capsula sul dorso della mano, da cui il termine scatta”. Rispettivamente sono: la pervinca, la silene rigonfia, la nigella, il colchico. Ma le mie ricerche sulla etnofitonimia non sono molto esaustive.


Scattabbotta.

Scattagnùsu, scattùsu: dispettoso, di persona che ha frequenti scatti di nervosismo, di collera. Da un latino popolare e maccheronico “excaptare”, derivato da “capere”.

Sc(k)attàre: morire, scoppiare. Da un tardo latino “exclapitare”, o forse anche dal greco “scapto”, scavare la fossa (Tucidide V° sec. a. C.); “cà vò schiattà dumani”, che tu possa morire domani (non oggi, meglio rimandare così mi passa la rabbia).

Sc(k)attarìa: dispetto, anche atto, gesto, comportamento esagitato ed inatteso. Vedi “scattagnusu”.

Sc(k)attariàri: scoppiettare, crepitare, riferito al fuoco. Dal francese “eclater”.

Scatturàre: spastoiare, sciogliere il gregge. Dal latino “capere”, con “s” privativo.

Scàuzu: scalzo. Dal latino “excalceatus”.

Scavunu: pianta, una specie di crescione (lepidium sativum).


Scavunu.

Scazcataru: persona, uomo o donna, che vuole sapere dei fatti degli altri, che usa un modo tutto suo, misto tra curiosità e domande, per informarsi e spettegolare. L'etimologia è dal latino “ex” e “cascare”, intesa in senso metaforico:  far ricadere le parole, accomodate ad arte ed in modo inaspettato, per arrivare a ciò che si desidera conoscere.

Scazzàre: calmarsi, acquietarsi. Da “ex” e “cazzo”; “cumu t'incazzi ti scazzi”, come ti sei arrabbiato, così adesso calmati.

Scazzùommulu: ragazzino, anche persona piccola di statura (in senso morale). Probabile derivazione da: diminutivo di “homo”, “s” privativa e “cazzo”.

Schéra: schiera, gran quantità di persone o cose, disposte in modo ordinato. Da un antico francese “eschiere”.

Schétta, schìjittu: dal germanico “sclaihts”, ha più significati: nubile o celibe, cioè privo di mescolanza, oppure genuino, non contaminato, non artefatto, verace. Anche in alcune zone della Lombardia “schetsu” significa ragazzo solitario. Ipotesi alternativa potrebbe essere la derivazione dal greco “ekcho”, (legato da matrimonio) tramite il suo participio “éktòs”, con l'aggiunta di “s” distrattiva e metatesi da “s-ektòs” a “skétòs”.

Schicculiàre: piovigginare. Dal latino “ciccus” (nel senso di venire giù a goccia, a chicco), oppure dal greco “psichalizhein” (piovigginare).

Schìcculu: goccia. Stessa etimologia.

Schifignùsu: schizzinoso, che ha gusti difficili. Dal francese “eschiff”.

Schimàre: disfare le imbastiture. Dal latino “ex” e dal greco “fijmòo”.

Schìna: schiena. Dal longobardo “skina”.

Schìncu: stinco. Dal germanico “skinko”. Anche nel tedesco attuale esiste il termine “schinken”, per indicare il prosciutto ricavato dalle cosce del maiale.

Scì vò': espressione riferita agli animali da soma, per dar loro il comando di fermarsi e voltare. Forme sincopate, nel modo imperativo, dal latino “exire” e “volutare”, frequentativo di “volvere”.

Sciabbàna: pecora vecchia, anche donna sgraziata. Dallo spagnolo “chabachana”.

Sciabuliàre: fare spacconate. Dal tedesco “sciabel” (sciabola), significato in senso figurato, come di  chi a parole mena fendenti.

Sciacqua Rosa e viva Gnese, fimmini cioti, stipi vasci e quatrari ccù pani 'nmani: modo di dire di derivazione incerta, riferito a chi, non avendo alcun impegno, può divertirsi senza badare a spese, oppure che non incontra difficoltà nella vita. Sembra che l'espressione stia a significare che di due donne, Rosa ed Agnese, la prima era solita bere vino, accontentandosi anche se era addizionato con acqua, mentre la seconda lo beveva puro, in gran quantità e senza alcun ritegno.

Sciacquariàre: diguazzare, rimescolare un liquido nel recipiente che lo contiene. Da un tardo latino “exaquare”.

Sciaffer: autista. Dal francese “chauffer”.

Scialapòpulu: merciaiuolo ambulante, imbonitore; come di chi diverte per vendere la sua merce; anche spendere senza risparmio. Stessa etimologia di “scialare”e dal latino “populus”.

Scialàre: spendere con larghezza e con ostentazione, divertirsi, godere, fare la bella vita, dissipare, anche gozzovigliare, mangiare con abbondanza e senza freni. Dal latino “exhalare”, (mettere fuori, esibire con ostentazione), forse in unione con voce dialettale araba “schialach” (essere fortunato e ricco).

Scialàta: godimento, divertimento. Stessa etimologia.

Scialìngu, scialìnga: balbuziente, anche chi presenta un difetto di pronuncia, che smozzica le parole (bleso). Dal latino “ex linguis”.

Sciammariàre: risciacquare i panni. Dal latino “ex” e dallo spagnolo “marear”.

Sciambràre: spiegazzare, sgualcire, fare a brandelli i tessuti, lacerare stropicciando. Dal latino “discerpare”, oppure dal greco “sintribo”, rovinare con l'attrito (Esiodo VI° sec. a. C.).

Sciambréddhra, sciambrijddhru: persona trascurata, trasandata, che va in giro con i vestiti in disordine. Stessa etimologia.

Sciammérga: marsina, giubba lunga, soprabito. Dallo spagnolo “chamberga”, per il vestito che portava il generale Schomberg, viceré di Catalogna attorno al 1600, poi uniforme estesa alla guardia del corpo del re.

Sciampagnùnu: compagnone, uomo godereccio e gioviale, buontempone, amante della compagnia. Da un tardo latino medioevale “companio”. “I sordi du suraiu si frichid'u sciampagnanu”, gli averi accumulati dall'avaro sono sperperati dalla discendenza spendaccione.

Sciamùortu: persona magra e debole, senza energia, di scarse doti intellettuali ed imperfette qualità fisiche, anche cosa guasta. Dal latino “ex abortus” (venuto meno, mancato); “vox aboritur, lux aboritur”, la voce si spegne, la luce si affievolisce (Tito Lucrezio Caro, I° sec. a.C.).

Sciànca: gamba, coscia. Dal germanico “hanka”.

Sciancàre: stracciare,  strappare, sbrindellare. Dall'arabo “sangar”, oppure dal germanico “dis” e “hanka”; in francese “echancièr”.

Sciancàtu: storpio, malformato, malandato, straccione, inetto. Stessa etimologia, con prefisso dispregiativo e peggiorativo.

Sciapìtu: vedi “dissapitu”.

Sciarabbàccu: carrozzino, barroccino. “Rocco”, che stava prima dell'omonima curva, era solito fare la spola, a mo di taxi, tra la stazione di Mongrassano e Tarsia, per riportare in paese, con il suo “sciarabbaccu”, chi si era recato a Cosenza (almeno, così chiamava il suo calesse a due posti). Dal francese “char à bancs”. Un'altra famiglia possedeva un mezzo di trasporto simile, “chir'i Carruzzini ppì ìj a Carijanni”. Vedi anche “birocciu”.

Sciccu, scicchariéddu: asino, asinello. Dall'arabo “escech”. Voce sostituita, nel tempo, da "ciucciu".

Sciccùsu: elegante, distinto, ricercato. Dal francese “chic”.

Sciddhra: ala. Dal latino “axilla”(ascella). “'A vozza chijna e a sciddhra rutta” (in riferimento a chi piace mangiare, ma che non ha tanta voglia di lavorare).

Scìfu: truogolo in cui si dà da mangiare ai maiali. Dal greco “schifos”; in origine era una coppa ovale, concava di grandi dimensioni ed  in metallo prezioso, dono votivo ed ornamento nelle chiese dedicate alla Madonna, poi di uso comune per indicare il truogolo in cui si dà da mangiare ai maiali, o un recipiente per l'acqua in uso nelle botteghe dei fabbri. “'U puurcu abbuttu arruuzzulu ù scifu” (il maiale sazio fa rotolare il truogolo).

Scifu.

Scigàre: stracciare, lacerare, anche slacciare. Dal greco “scizo” (Sofocle IV° sec. a. C.); “u canu muzzica sempe aru scigatu”, il cane morde il cencioso, il pezzente, i guai capitano sempre ai più deboli ed indifesi. Altra ipotesi, la derivazione dal latino “ex ligare”, cioè sciogliere.

Scigliàre: scarmigliare i capelli, sciogliere le trecce. Da un francese antico “essiller”.

Scimàre: tagliare le cime o i rami dell'albero. Dal latino “ex cima”.

Scimécch: soprannome dato ad una famiglia del paese, “chir'i scimecch ara vineddhra longa”; la particolarità è che si tratta di una parola di ritorno: un componente della famiglia, emigrato negli Stati Uniti, ritornato al paese, a chi gli chiedeva che mestiere avesse fatto, rispose “'u schimecch” (il calzolaio), dall'inglese “shoemaker” (almeno, questa è una delle interpretazioni). In alternativa, potrebbe essere un'espressione dei soldati americani, di passaggio al paese, che vedendo all'opera l'artigiano (mi sembra che si chiamasse Vincenzo ed andava sempre in giro con una borsetta sottobraccio), esclamassero “oh, the shoemaker”. Questo vuole la leggenda popolare. Ma io credo che l'etimologia possa essere diversa, anche perché non mi consta che  qualcuno della suddetta famiglia facesse il calzolaio: forse potrebbe derivare da un arabo “sciabbech”, per indicare lo sciocco, il sempliciotto, privo di ogni opinione. Oppure, sempre dall'arabo “sammaqa” (spensierato, sempre contento, ma anche stupido, allocco).

Scimìssu, sciammìsu: abito, soprabito adoperato da artigiani (falegnami, barbieri, fabbri etc). Dal francese “chemise”, a sua volta da un tardo latino “chamisia”.

Scìnu: lentischio. Dal greco “schinòs” (Teocrito, III° sec. a. C.). Da ragazzi, si usava raccoglierne le bacche e spararle, con una cerbottana, verso le ragazze.


Scinu.

Sciòddhra, sciùoddhru: frana, precipizio, burrone. Derivato da “s” intensivo e dal verbo “corrutulare”, forma attenuata di “corrutare” frequentativo di “corruere” (crollare, cadere in rovina, cadere). Potrebbe derivare anche dal greco “ecchrouo”, scuotere, rovesciare, abbattere , oppure dal germanico “sciaud” (disastro, disgrazia, rovina); “sciuddhru miu!”, povero me! mia disgrazia!

Scioddhràre, sciuddhrare: demolire, disfare, crollare, franare, cadere. Stessa etimologia; “ami sciuddhratu u furnu”, abbiamo avuto un litigio; “à ca si vò sciuddhrà u munnu”, che possa andare tutto a ramengo.

Sciòlta: diarrea. Dal latino “exsolutus”, oppure sempre dal latino “sicut onda” (come l'onda).

Sciòmmi sciòmmi: come di chi parla con lo strascico delle parole. Voce onomatopeica. Probabilmente la voce è derivata da chi, incolto, ignorante ed analfabeta, voleva parlare in italiano, una lingua malamente appresa, di cui si coglievano determinati fonemi, che venivano intesi in “sci”, reiterati in “scio sciommi”.

Sciòscia: sorella, vezzeggiativo per la sorella maggiore. Dal latino “soror”. Ha anche un secondo significato vagamente dispregiativo: sciattona, disordinata, trascurata, negligente nella cura della propria persona. Dall'unione di due verbi latini “exaptare” ed “exornare” (disadatta nel vestire).

Scippàre: tirar fuori, estrarre, svellere, sradicare. Da un tardo latino “excippare”, evoluto da “excipere”. In alternativa, potrebbe derivare sempre dal latino “excerpere”, o “discerpere” (lacerare, staccare).

Scirràre: è un termine sentito dire solo dalla famiglia di mia madre “chir'iri i sciatani”, quando cercavano di spiegarmi l'origine del soprannome: litigare, contendere, anche condurre con forza il gregge al pascolo. Dall'arabo “shiraz”.

Scirubétta: granita fatta con neve fresca e miele di fico (per i bambini) o di mosto cotto (per gli adulti). Dal turco “sciorbet” o dall'arabo “shiarab”, in unione con il latino “sorbire”. Di solito, veniva preparata raccogliendo la neve fresca dai tetti accessibili delle case e poi condita. Possiamo, a buona ragione, considerarla la prima forma di gelato mai preparato.

Sciruppàre: nel significato di sopportare con pazienza cose noiose, non gradite. Voce verbale da un tardo latino medievale “sirupus”, a sua volta dall'arabo “shiarab” (bibita).

Scirvicàre: lambiccarsi il cervello. Dal latino “cerebellum” con il prefisso “s”; “m'ài scirvicat'a capa”, mi sono scervellato la testa per capire.

Scitàre: svegliare, destare, destare. Dal latino “excitare”; “excitare aliquem somno”, svegliare qualcuno dal sonno (Marco Tullio Cicerone, I° sec. a.C.).

Sciù, sciò: voce usata per separare o allontanare gli animali. Dal latino “ex ubi”.

Sciué sciué: voce mutuata  dal napoletano, forse dalla ripetizione di un ritornello di una canzone in voga nel dopoguerra: “serenatella sciuè sciué”, cantata da Aurelio Fierro. Ha il significato di : alla buona, con semplicità, che non richiede impegno. Le ipotesi etimologiche possono essere varie. Dall'arabo “suja psuja” (piano piano), oppure dal latino “fluens, fluxus”, fluente, flusso che scorre lentamente, o anche dal francese “echouér”, mancare, fallire, andare a vuoto.

Sciuccagliu, (scioccaglia): non indicava soltanto gli orecchini, ma tutti i preziosi di una donna che questa portava in dote, se le condizioni economiche glielo permettevano; deriva dallo spagnolo "chocallos", ornamenti preziosi.

Sciuddhrùnu: precipizio. Stessa etimologia di “scioddhra”.

Sciuncateddhra: sorta di cacio fresco, formato da latte rappreso e non salato, che si poneva su un graticcio di giunchi fino a maturazione. Dal latino “ex juncato” da “iuncus”. Mia nonna, qualche volta, lo poneva su una stuoia di felci e lo chiamava “ a filicata”.

Sciuscijddhru: preparazione culinaria di salsa di pomodoro, o pomodori schiacciati, misti ad uovo sbattuto. Dal latino "ex quatio", attraverso il participio passato "quassum" (scuotere, far vibrare, sbattere, agitare).  Marco Gavio Apicio (vedi “scapicia”) utilizzava la frase "ex quasso iuscello" (u sciuscijddhru) per indicare un intingolo di erbe aromatiche, a cui aggiungeva il rosso d'uovo frullato di modo che venisse una specie di pietanza semisolida, una vivanda di cose sminuzzate e cotte o fritte. Il termine è stato poi ripreso da altri nei secoli successivi, soprattutto nell'aggettivo "iusceulentus", da cui l'italiano "succulento", per l'unione di due termini "succus" e "iusceulentus". Il problema è che i Romani non conoscevano il pomodoro, importato dalle Americhe e diffuso in Europa solo dal XVI secolo, per cui il piatto base doveva essere quello del summenzionato Apicio; soltanto dal 1600 sono stati aggiunti il sugo o schiacciata di pomodoro.

Scìvotaccà: esortazione del conducente di buoi nel prendere una curva. Dal latino “sic volve hac”, dove “volve” è imperativo presente dal verbo  “volvo” (voltare) e “hac” è un avverbio di moto per luogo.

Scòcchi: gote, guance di colore rosso. Probabilmente da “coccum” e “coccinus”, bacca di colore rosso.

Scòddhra: cravatta, fazzoletto che i contadini portavano attorno al collo. Dal latino “collum”, attraverso l'aggettivo “collaris”.

Scogliatìna: rimasugli. Stessa etimologia di “scogliere”.

Scògliere: raccogliere di qua e di la, raggranellare, riunire gli avanzi. Dal latino “ex colligere”.

Sconzàre: guastare, andare a male, disfare. Dal latino “dis” e “comptiare”.

Scorchiulàre: levare la scorza. Dal latino “dis scortea”.

Scòsta: pretesto, scusa. Dal latino “excusatum”, participio passato di “excusare”.

Scotulàre: scuotere. Da un tardo latino “exquotere”,  rifacimento di “excutere”, derivato da “quatere” (scuotere, far vibrare, sbattere, abbacchiare); “saccum quatere manu”, scuotere il sacco con la mano (Ovidio Nasone, I° sec. d.C.). Non sono affatto d'accordo con chi vuole far derivare il termine dal latino “scutula”, che ha tutt'altro significato (rullo di legno per il trasporto di carichi pesanti). Prima di dire o scrivere scemenze, sarebbe opportuno verificare l'attendibilità dei termini.

Scrapintiàre: far scoppiare un foruncolo, discrepare, rompersi. Dal latino “excrepantare”, frequentativo di “crepare” (spaccarsi, scricchiolare), o dal francese provenzale “ecrabanter” (schiacciare).

Scrìma: riga tra i capelli. Dal latino “discrimen”. I soliti dilettanti allo sbaraglio fanno derivare il termine da “ex crinis” (dai capelli), il che non c'entra niente.

Scù: voce onomatopeica per allontanare i maiali.

Scucchiàre: staccare, separare, dividere. Voce verbale dal latino “dis copula”.

Scucìgli: frasche secche spezzate in piccoli pezzi per accendere il fuoco. Dal greco, per l'unione di “cusis”, mucchio e “chilé”, ramoscello sottile e corto di legna secca (termini omerici, Odissea).

Scucuzzàre: mozzare. Voce verbale dal latino “dis cucutia” (levare la zucca, cioè la testa per somiglianza di forma).

Scugna: termine in disuso. Si indicava un periodo dell'anno, in primavera, in cui si dissodava il terreno. Dal latino “excuneare” ( rompere e lavorare il terreno).

Scugnàre: sconnettere, tirarsene fuori, non impicciarsene. Dal latino “dis cuneus”, oppure da “dis cunno” (tirare fuori dalla vagina). La mia fantasia mi riporta la napoletano “scugnizzo” (ragazzo di strada, quindi abbandonato, scacciato).

Scujitàre: togliersi il pensiero, calmarsi, essere quieto, senza affanni. Dallo spagnolo “escuidare”. Oppure dal latino “quies” (quiete, riposo, calma), dal verbo “quiescere” con il prefisso “ex”. In alternativa, potrebbe derivare dall'unione di “ex” e “cogitare” ( essere fuori dal pensare). “Quiescere ab aliqua re”, non essere turbato da qualcosa (Tito Livio I° sec. d.C.);  “ara scuitata”, all'improvviso. Nell'etimologia del termine, io propendo più per la seconda ipotesi.

Scujitàtu: tranquillo, spensierato, distratto, indifferente. Stessa etimologia. Il termine tarsiano si è formato dal latino, ponendo la "S" in posizione prostetica negativa, come nelle parole italiane derivate dal latino in composizione con "ex". La locuzione era usata come corona ad alcune raccomandazioni, come per esempio, quando si affrontava un lungo viaggio (fammi stà scuitatu), oppure quando arrivava qualcuno all'improvviso e sollevava apprensione o preoccupazione (ara scuitata), o ancora quando ci si scuoteva di sopprassalto (ghera bbuonu scuitatu e m'à fatti piglià pagura).

Sculacchiàta: una quantità uguale al fondo.

Sculàre: scolare, gocciolare. Dal latino “dis” e “colare”.

Sculatùru: colatoio da latte. Stessa etimologia.

Sculatìna: avanzo di un liquido nel bicchiere. Stessa etimologia.

Scùlu: scolo. Sinonimo di blenorragia, con allusione al sintomo più caratteristico di questa malattia venerea. Stessa etimologia.

Sc(k)ùma: schiuma. Dal latino “spluma”.

Scummugliàre: scoprire, scoperchiare, levare i panni di dosso, anche rivelare fatti altrui o propri, rendendoli di pubblico domino. Da un tardo latino medievale  “dis cumbogliare”, a sua volta da “cum cumulus”. Non sono d' accordo con i dilettanti allo sbaraglio che fanno derivare il termine da un ipotetico latino “ex conviare” (per il semplice fatto che questo verbo in latino non esiste: ma la fantasia può non avere limiti, quando bisogna inventarsi qualcosa).

Scumpariscìri: fare cattiva figura, anche scomparire, sottrarsi alla vista.  Dal latino “dis comparere”.

Scunchiudénte: inconcludente, senza senso. Stessa etimologia.

Scunchiùdere: sconcludere, scombinare, mandare a monte, annullare. Dal latino “dis cum cludere”.

Scunnàre: svanire, scemare, disperdere. Era usato anche per indicare la trasudazione del vino dalla botte per il variare della temperatura. Dal latino “exconjicere”.

Scuntàre, scuntràre: incontrare, andare incontro, imbattersi, trovarsi di fronte. Voce verbale dal latino “contro” con il prefisso “s”.

Scùorpulu: pezzetto di legno secco, ramoscello, stecco. Dal germanico “spruoch”. In italiano esiste un termine simile: sprocco, sinonimo poco usato di pollone. Ritengo errata la derivazione proposta da alcuni Autori: dal latino “scapus” (fusto, o gambo di piante), ovvero sempre dal latino “scopa” (ramo sottile di piante ed erbaggi).

Scupétta: scopetta, spazzola. Dal latino “scopa”.

Scuppétta: fucile, schioppo. Diminutivo dal latino “scloppus”. Ma i latini non conoscevano il fucile, perciò il termine, onomatopeico, si riferisce al significato originario: “ scoppio che fanno le guance gonfiate quando si percuotono” (Persio Flacco, I° sec. d. C.); oppure dallo spagnolo castigliano “escopeta”.

Scuppulùnu: colpo dato sulla nuca a mano aperta, come per un rimprovero. Dal latino “coppa” (parte posteriore della testa).

Scùpulu: piccola scopa fatta di frasche. Di solito era costituita da foglie lunghe e resistenti, usate anche per impagliare sedie, fiaschi, canestri. Dal latino “scopula”.

Scurata: buio, oscuro, privo di luce, inizio della notte. Da un tardo latino “obscurus

Scurciàre: spellare, scorticare. In questo caso deriva dal latino “discortex”, oppure anche accorciare, dal latino “ad curtiare”, da “curtus”; “a cuda è sempe longa a scurcià”, la parte finale di un lavoro sembra che non finisca mai. “Scurci'u pulici e vinn'a peddhra” riferito a chi è di manica corta, taccagno.

Scurciatìna: graffiatura, oppure via più corta. Stessa etimologia.

Scurmàre: togliere la colmatura, scolmare. Dal latino “dis colmare”, da “culmus”.

Scurnacchiatu: impudente, faccia tosta. Non credo che la derivazione sia da “cuurnu” con “s” intensivo; potrebbe derivare da “cornacchia”, in senso figurato chi parla troppo senza pensare.

Scurtàre: “scurciare”nel secondo significato.

Scurzùnu: serpente in generale, serpe di colore quasi  nero, colubro. Dal latino “curtio”(serpe) per “scortea”, per la muta della pelle, come una corteccia. Potrebbe derivare anche dal greco “cheòrson” (nato dalla terra, come gli antichi credevano fossero i serpenti.). D'altra parte un certo Pierio Valeriano (umanista padovano, 1477-1558) fa derivare il termine da “oscorum zoones”(gli animali degli Osci). In spagnolo “escurson” significa vipera.

Scurzunu.

Scusciddhratu: rotto, malmesso, con le ossa a pezzi, anche affaticato. Probabile derivazione dal latino “ex” e “quiescere” (essere lontano dal riposo, dalla perfetta forma fisica).

Scutéddhra: piatto, scodella. Dal latino “scutella”, diminutivo di “scutra” (piatto, vassoio di legno).

Scùtu: assiolo, specie di gufo. Dal greco “scoops òtos”, letteralmente orecchie ricurve, perché le orecchie sono ricoperte da sei penne curvate in avanti (termine omerico).


Scutu.

Scutuliàre: scuotere, scrollare. Vedi “scotulare”; in greco “xhutos”, sostantivo da “chéo” è spargere, distendere, versare attorno (termine omerico).

Scuunciu, sconcia: maldestro, goffo per un difetto fisico Da un tardo latino “ex comptiare”, derivato da un latino classico “concinnus””, regolare, aggraziato, quindi fuori da un comportamento armonioso, simmetrico.

Scuverchiàre: scoprire. scoperchiare. Voce verbale dal latino “dis coperculum”.

Scuzzìjttu: cuffia. Vedi “cuzzijttu”.

Scuzzunàre: voce ormai in disuso. Ammaestrare animali da tiro, educare, portare, avviare ragazzi verso l'apprendimento di un'arte.  Voce verbale dal latino “cocio”, in origine sensale, mediatore, domatore.

Sdanga: travicello o sbarra di legno, per diversi usi: timone dell'aratro, elemento del carro a cui viene attaccato l'animale, etc.. L'etimologia è dal francese “stangue”. Per similitudine, lo si riferisce anche ad una ragazza alta ed avvenente.

Sdillurgiàri: sragionare, essere fuori di testa, anche sloggiare, abbandonare la propria sede. Da “dis” e dal tardo latino “lobium”, attraverso il francese “loge” (capanna).

Sdingàre: affaticarsi, spossarsi, stancarsi, infastidirsi. Da probabile unione di più voci latine: “dis dignus igare” , forma popolana e medievale da “agere”.

Sdirrazzàre: non fare razza, mettere fine ad un allevamento. Dal latino “dis” e voce derivata da “arrazzare”.

Sdirrinàtu: slombato, sfiancato, stremato, che cammina piegandosi su un fianco. Voce verbale  dal latino “dis” e “renis”.

Sdirrunchiare: distendersi. Vedi “arrunchiare”.

Sdirrupàre: precipitare, diroccare. Dal latino “dis rupe”.

Sdivacàre:  stesso significato ed etimologia di “divacare”.

Sdramma: fuori dall'usuale, insolito, inaffidabile. Dal latino “ex trama”. La trama era  l'ordito del telaio; oppure dal greco “strabòs”, storto, obliquo. losco (Conone I° sec. a. C.).

Sdravusciàtu: dissoluto. Dal francese “debaucher”.

Sdrivugliare: svolgere, dipanare. Dal latino “dis” e “volvere”.

Seca seca:  era un linguaggio utilizzato da noi ragazzi: il suffisso “se” veniva interpolato tra le sillabe di una parola, per rendere la frase comprensibile solo agli interlocutori, oppure a chi si divertiva a parlare in questo modo. Per esempio, per dire “domani”, l'espressione era la seguente “sedosemaseni” (era il nostro slang da giovani).

Séggia: sedia. Da un tardo latino “sedula” da “sedere”.

Serchia: screpolatura, segno fatto da una legatura stretta, piccolo graffio, ragade. Da un tardo latino “sectola”, da “sectus”, participio passato di “secare”. Da non escludere un'etimologia dal francese “cercle”, derivato a sua volta dal latino “circulus”. Ipotesi etimologica alternativa, la derivazione dall'arabo “serq”.

Serra: sega. Dal latino “seca”.

Serta: resta (di cipolle o aglio). Dal latino “inserta” (corona intrecciata).

Sfastidiari: disturbare, importunare. Adattamento verbale dal latino “fastidium” con “s” intensivo.

Sfasulàtu: senza fagioli, cioè spiantato, povero, senza un quattrino. Voce verbale dal latino “dis faseolus”. Probabilmente il significato metaforico deriva dal fatto che i fagioli, come altri legumi, erano usati come merce di scambio, di baratto. Oppure si riferisce al baccello privo del contenuto.

Sfirruzzàre: lavorare a maglia con i ferri. Dal latino “ferro” con il prefisso “s”.

Sfragàsciu: rumore prodotto dalla rottura di oggetti. Voce deverbale dal latino “frango” (spezzare, rompere).

Sfravicàre: demolire, abbattere. Dal latino “dis fabrica”.

Sfruculiàre: punzecchiare, stuzzicare, prendere in giro in tono familiare ed amichevole, anche sfregare con le mani, spezzettare. Dal latino “fricare” con “s” intensivo.

Sgalapàtu: sgarbato, scortese. Da  “dis” e “galapusu” (vedi questo termine).

Sgangàtu: senza denti, sdentato. Da “dis” e “ganga”.

Sgangunu, shgangunu: (vocabolo suggerito da Giovanni Signoretti e Luigi Rizzo): travi di sostegno utilizzate soprattutto nelle stalle, ma anche nelle abitazioni; anche dente molare, o radice di dente molare. Nel secondo significato ha la stessa etimologia di “sgangatu”. Nel primo, potrebbe derivare da un arcaico francese provenzale “ganse” o “ganguil” (grosso gancio di legno che teneva le travi, anche sostegno). Se così fosse, avremmo un altro esempio della passata influenza normanna, con il suffisso “unu” usato come diminutivo. Ipotesi etimologica alternativa potrebbe essere la derivazione da un antico germanico “shglianks” (sarebbe il ramo che si diparte dal tronco principale di un albero, a mo di racemo); altra ipotesi la derivazione dal latino “exter uncus” (uncino esterno) anche se “uncus” in latino aveva un significato piuttosto lugubre: era un grosso bastone, ricurvo all'estremità, con cui il carnefice trascinava il cadavere di un malfattore giustiziato, per gettarlo nel Tevere ( Svetonio, I° sec d. C.).

Sgarràre: sbagliare, commettere un errore, evitare, scansare. Dal francese antico “esguarer”, o dallo spagnolo “esgarrar”; anche in arabo “asharrah”.

Sgarrupàtu: precipitato, caduto malamente. Dal latino “corrupare” frequentativo di “corruo” (cadere, rovinare a terra, crollare). In alternativa, potrebbe derivare dal greco “cata” e dal latino “rupis” con “s” intensiva: “scatarupe”, cioè cadere giù dalla rupe, e, in senso metaforico, rovesciarsi (la prima ipotesi mi sembra più attendibile.

Sgàttaru: servo che lavora in cucina. Dal germanico “wàhtari”.

Sgruognu: ceffone, schiaffo. Dal latino “grunnitus, grunnus”, muso.

Sgùbbia: scalpello da falegname con lama a sezione semicircolare. Da un tardo latino “gulbia”.

Sguìnci: obliquo, di traverso, sghembo, di sbieco. Dal francese “guenchir”, a sua volta da un fiammingo “guenkijan”. Si riferisce ad un comportamento non lineare, sleale.

Sguìzzero: svizzero.

Si: raccolgo sotto questo monosillabo varie voci, facendo un esempio: “si sì tu cà ditti sì”, se sei tu che hai detto sì. Sembra uno scioglilingua ma non lo è. Il primo “si”, senza accento corrisponde alla congiunzione italiana “se, posto che, ammesso che” ed introduce la cosiddetta protasi, cioè la subordinata principale del primo periodo ipotetico, e deriva dal latino “sid”, unione di “si” e “quid”; il secondo “”, con l'accento, corrisponde all'italiano “sei”, e deriva dal latino “sis” (con trasposizione dal congiuntivo all'indicativo); il terzo “” è un avverbio, in contrapposizione a “no”, e deriva dal latino “sic est”, così è.

Siccàgnu: secco, arido, non irriguo. Dal latino “siccaneus”.

Siccànti: noioso. Dal latino “siccare”.

Siccatjiddhri: strisce di melanzane o di zucchine seccate. Dal latino “siccare”.


Siccatjiddhri.

Sicutàre: inseguire, scacciare, mettere in fuga. Dal latino “sequor”.

Sicuzzùnu: cazzotto, pugno dato sotto il mento. Da un tardo latino “super”e “gargulatium” (trachea).

Sigliùzzu: singhiozzo. Dal latino “subglutium”.

Signu: segno, significato, segnale, indizio, prova. Dal latino “signum”. “Quann'u diavulu t'accarizza, ghè signu cà vò l'anima”: quando qualcuno ti blandisce, significa che nel suo operato è nascosta la richiesta di qualcosa di importante.

Sijettu: sedile, scanno, piano della sedia. Dal latino “seditum”. “U sijtt'i fiddhrurazzi” era uno sgabello molto leggero, rudimentale e pratico, di forma cubica, confezionato con il fusto della ferula. La pianta veniva raccolta prima della maturazione dei semi nelle ombrelle e messa ad essiccare durante l'estate, veniva poi tagliata in tronchetti di circa 40 – 50 cm, alle cui estremità si praticavano dei fori con un punteruolo rovente ( oggi si può usare anche il trapano). I tronchetti venivano disposti a pira, facendo in modo che i fori praticati fossero in corrispondenza. Si preparavano poi dei bastoncini diritti e sottili, di solito dai rami giovani del mandorlo, staccati all'ascella del nodo, di modo che nel punto del taglio rimanesse una capocchia, si inserivano questi bastoncini nei fori, facendo in modo che la capocchia ancorasse il manufatto nella parte inferiore, mentre la cima superiore rimaneva piegata. Nella parte superiore si legavano, con lo stesso sistema, altri tronchetti per ottenere il pianale.


Sijtt'i fiddhrurazzi.

Sìlica: selce. Dal latino “silex”.

Simàna: settimana. Dallo spagnolo “semana”. Ambedue da un tardo latino “septimana” femminile sostantivato da “septimanus” (in numero di sette), derivato da “septimus”, calco dal greco “ebdiomòs”. “Nà bbona vista, nà simana basta” (una buona apparenza può durare per un certo periodo, ma poi...).

Simminari: seminare. Dal latino “seminare”, verbo nominativo da “semen”. “Chini simmina gòj 'un po' cogli dumani”, dà tempo al tempo.

Sinàle: grembiale. Dal latino “sinalis” (appartenente al seno).

Sìnga: piccola incisione, taglio leggero, crepatura, striscia. Dal latino “signum”.

Singàre: segare, intaccare. Stessa etimologia.

Sìni: sì. Dal latino “sic est”.

Sinnò: altrimenti. Dal latino “sic et non”.

Sinsàli: mediatore tra venditore ed acquirente, specie nei prodotti agricoli e del bestiame. Dall'arabo “simsar”, affine al persiano “sapsar”.

Sinziali: (dal latino "essentialis"), indispensabile; questo termine era usato solo come sostantivo, o come predicato nominale, quasi mai come aggettivo (le regole grammaticali valgono anche per i dialetti).

Sipàla: sterpi messi a mo di siepe, staccionata. Dal latino “saepalis” (appartenente alla siepe).

Sirénu: sereno, rugiada, brina. Dal latino “serenus”.

Sirràre: segare, ma anche chiudere. Nel primo caso dal latino “secare”; nel secondo da un tardo latino “serare”.

Sitàzzu: setaccio, crivello. Dal latino “saetacium”.

Sittarìjeddhru: piccola sedia, sgabello. Diminutivo da “seditum”.

Smajàre: stare per svenire, scolorire, impallidire. Dallo spagnolo “desmajiar”.

Smammàre: svezzare, anche scappare via, allontanarsi. Dal latino “ex mamma”.

Smicciàre: curiosare, guardare di sottecchi, spiare, sbirciare. Dal latino “micija, mixa”, stoppino, probabilmente riferito al luccichio che emana quando sta per spegnersi, che richiama il socchiudere gli occhi. Ipotesi alternativa potrebbe essere dal latino “ex micare” (scintillare, sfavillare da). Oppure da un gotico “biraugig” (chi acuisce la vista, perché difettoso d'occhio). Vedi anche “spirciare”.

Smindàre: guastare, rovinare, svitare, smontare. Dal latino “menda” con il prefisso “s”.

Sminzàre: fare a mezzo, dividere per metà in due parti uguali. Derivato da “mezzo” con il prefisso “s”.

Smucciniari: sminuzzare, sgranare, ridurre in piccoli pezzetti. Intensivo di “ex” e un latino medievale “minutiare”.

Smundari: verbo riferito alle stoffe che perdono il colore. Dal latino “dis mundare” (non essere più pulito).

Sordu: soldo, moneta. Dal latino “solidus”: in origine era il pezzo intero, d'oro o d'argento, di una moneta e ne indicava la totalità. “Sanza sordi 'unsinni candini missi“(senza soldi non si ottiene nulla).

Sòrra: accumulo, mucchio, gran quantità, somma (Plutarco, I sec. d. C.), anche progressione aritmetica (Thesaurus, VI sec. d. C.). Dal greco “soreja”.

Sòrta: destino, sorte, caso. Dal latino “sors”, a sua volta dal verbo “sero”, legare, unire insieme, collegare, annodare. Sembra che non vi sia alcuna connessione fra i due termini. La scrittura, introdotta dai Fenici nell'antica Roma, era costituita da segni che con il tempo sono stati perfezionati e resi simili a quelli attuali; la facoltà di leggerli era ristretta ad una piccola cerchia di persone, i sacerdoti, che incidevano le lettere su piccoli pezzetti di legno che poi buttavano per terra: collegate tra di loro, le lettere formavano delle figure, dalla lettura delle quali i sacerdoti predicevano la sorte, il destino, il fato. “Sòrta e cauc'in culu, viat'a chi ni tena”: beato chi ha fortuna e raccomandazioni.

Spacindàtu: pigro, indolente, vagabondo, poltrone. Dal latino “facienda”, gerundivo passivo dal verbo “facio” con il prefisso “s”.

Spacinziùsu: impaziente. Dal latino “s” e “patientia”.

Spaddhratu: molto stanco, con le spalle cadenti.

Spaddhréra: spalliera del letto o della sedia. Derivato da “spalla”.

Spagnàre: avere paura, essere terrorizzato, aver timore. Più che da una ipotetica derivazione da Spagna, per il terrore che gli spagnoli hanno seminato durante la loro occupazione, il verbo sembra derivi da un regionale “pagnare” con prostesi della “s”, adattamento dal greco “pacfhnòo”, da una radice greca eolica (essere atterrito dalle calamità: Inni omerici), oppure anche dallo spagnolo “espanjarse” (sentire rabbia, essere indignato).

Spagnulétta: peperoncino, forse perché importato dagli spagnoli, dopo la scoperta delle Americhe.

Spagnuletta: seme di arachide, forse perché importato dagli spagnoli, dopo la scoperta delle Americhe.

Spagnuletta: rocchetto piccolo di filato per uso della macchina da cucire. Ho preferito distinguere i tre termini, che hanno in comune il riferimento alla provenienza, reale o presunta, dalla Spagna.

Spampùnu: borioso, vanitoso, spocchioso, presuntuoso, che mena vanto. Il pampino, o pampano, è il germoglio giovane fogliato, ma non fruttifero, della vite (Bacco, il dio del vino, è raffigurato con la fronte coronata di pampini). Per cui, in senso figurato, significa persona con molta apparenza e poca sostanza, inconcludente. Derivato dal latino “pampinus” con “s” rafforzativa.

Spànnere: distendere, anche gocciolare, trapelare a goccia a goccia. Dal latino “expandere”; “pannos expandere”, stendere i vestiti ad asciugare (Plinio Secondo, I° sec . D.C.).

Spanticatu: spaventato, anche sbigottito, sbalordito, stupito, meravigliato. Dallo spagnolo “espantar”, a sua volta adattamento dal latino “expaveo” o “expavescere”.

Spanzàre: sventrare, sbudellare. Dal latino “s”e “panza”; anche in spagnolo “despanzurrar”.

Spaparanzàta: l'atto del mettersi a sedere o sdraiarsi in posizione comoda ma scomposta, lasciando il corpo rilassato e privo di costrizioni. E' voce fonosimbolica, forse derivata da “papara”, con una ulteriore sovrapposizione di “panza”; in alternativa, dal greco “spao” e “parastas”, (letteralmente, spalancare scardinando).

Spàraci: asparago. Dal latino “asparagus”, a sua volta dal greco “asparàgos”, (Teofrasto, III° sec. a. C.).



Spàraci.

Sparacogna: specie di asparago selvatico con i rami pungenti (asparagus acutifolius). Dal greco “asparagonìa”.


Sparacogna.


Sparagnare: risparmiare. Da un tardo latino medievale “sparaniare”, a sua volta dal germanico “sparen”, oppure dal greco “sparasso” (togliere via qualcosa, decurtare).

Sparatràppa: cerotto medicato. Da un latino medievale “sparadrappus”, composto dal verbo “spargere” e da “drappus”; anche in francese “sparadrap”. Letteralmente potrebbe significare rivestire (una ferita) con il drappo.

Sparicchiàre: separare la coppia di buoi. Da “s” e “par”.

Sparicchiàre: spreparare la tavola. Dal latino, prefisso “s” e “adpariculare”, frequentativo di “adparare”.

Sparigliàre: sparigliare, specie nel gioco delle carte.  Stessa etimologia.

Spartiri: dividere, separare, dividere in parti. Dal latino “ex partis”. “Chini sparti si frichi'a meglia parta”: chi divide, tiene per sé la parte migliore.

Spàru: disuguale, dispari, non piano, anche luogo scosceso. Dal latino “dispar”. L'espressione “à parlatu sparu” ha il significato di “parlare non in modo pari, cioè in maniera offensiva, oltraggiosa; il percorso etimologico è alquanto impervio, tortuoso, nonché fantasioso. Il dispari, in questo caso, indica un numero che non può dividersi in due numeri interi ed uguali, per cui, per trasformazione semantica, ha preso il significato di “non parlare nel modo giusto, corretto”.

Spàsa: distesa, messi gli indumenti lavati ad asciugare. Dal latino “expansus”.

Spasciàre: togliere la fascia, anche distruggere, rovinare. Dal latino “dis fascea”.

Spàttu: sfatto, consumato, stanco, ammezzito (riferito ad un frutto). Dal latino “exfactus”.

Spaturnàtu: sciagurato, maledetto, infelice, ramingo. Dal latino “sine pater natus”, nel senso di figlio non riconosciuto dal padre, oppure di chi non ha ricevuto adeguata educazione paterna.

Spaulàre: mettere in agitazione le galline. Dal greco “dis paulà”, oppure voce verbale dal latino “dis pavor”.

Spérdere: smarrirsi. Dal latino “se perdere”.

Spiàre: guardare, spiare. Dal germanico “spaihon”, affine al latino “specere” (guardare, osservare).

Spiatàre: sfiatare, far evaporare, anche perdere il fiato. Dal latino “exflatare”.

Spìca: spiga di grano, anche pannocchia di granturco. Dal latino “spica”.

Spicàre: staccare dall'alto. E'  riferito a “spica” ( in origine punta, estremità, poi spiga):  dal latino “ex spica” (togliere dall'estremità).

Spicasazìzza: persona molto alta.

Spicciàre: portare a termine, sbrigare, affrettarsi, darsi una mossa. Dal francese “despeechier”, probabilmente da un tardo latino “dis pedicare”. Due locuzioni tarsiane: “cumi t'impicci, ti spicci” (come ti sei impicciato, così adesso te la sbrighi); “cu 'nu sì t'impicci, cu 'nu no t'a spicci”, per non trovarti nei fastidi, è meglio non acconsentire ad alcune proposte.

Spiculiàre: spigolare, andare di qua e di la a raccogliere. Voce verbale dal latino “spica”.

Spìjertu: esperto, intelligente, accorto. Dal latino “expertus”.

Spilàre: sfilare, sfilacciare. Da “ex filo”.

Spinàru: siepe di arbusti con le spine, roveto. Dal latino “spinetum”.

Spinasanta: arbusto spinoso della famiglia delle solanacee (lycium europaeum). Diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, il termine sembra dovuto al fatto che ne era costituita la corona di spine che cingeva la testa di Gesù nella salita al Golgota.

Spina santa.

Spìngula: spilla. Dal latino “spiculum”, o dal francese “spingle”. “A spingula frangese” è il nome dato alla spilla da balia, di cui ho avuto modo di scrivere a proposito delle monete (vedi “cavallo”). Era una spilla adoperata per fissare i pannolini in stoffa dei neonati, ma non credo che sia stata importata dalla Francia, questo perché l'invenzione è seguente alla dominazione francese nel Sud dell'Italia. Penso, piuttosto, che l'equivoco sia nato dal fatto che venisse chiamata “spilla da nutrice”, con il francesismo “spingle nourrisse” (nourrisse dal latino nutrix), da cui appunto “spingula frangese” (è una mia ipotesi).

Spinnàre: spennare, scottarsi le mani con acqua bollente, pelare, diventare calvo. Dal latino “ex penna”.

Spinnàtu: calvo. Dal latino “ex pennatus”.

Spìnnu: desiderio acuto, smodato, anche nostalgia, rimpianto, malinconia. Dal latino “spes” (speranza), o dal greco “peinao”, desiderare ardentemente con prostesi di “s” (termine omerico, Odissea). Da notare che in inglese il vocabolo “spleen” ha lo stesso significato di malinconia, ma anche “milza”. In greco, milza è “splen”, e secondo gli antichi autori nella milza risiedeva l'umore malinconico, nostalgico (Ippocrate, V° sec. a. C. ).

Spìnziru, spìnzu: fringuello. Dal greco “spignòs” (Eubulo, IV° sec a. C.


Spinziru.

Spirajina, sprajina: sorta di cicoria. Dal latino “asprago”, per il sapore aspro delle foglie.

Spirciàre: scoprire, sbirciare, guardare con la coda nell'occhio, per osservare senza farsi notare, studiare per il sottile. Per cambiamento di consonante, dal francese “mbercier”, con il prefisso “s”; oppure dal latino “pertusiare”.

Spirnuzzàre: sparpagliare, anche razzolare. Dal latino “spernere”, allontanare, mettere in disparte.

Spirtìzza: intelligenza, bravura. Dal latino “expertio”.

Spiranzunu: dal latino “spes”. Sfiduciato, deluso.

Spisa: spesa, anche il cibo giornaliero di chi lavora in campagna oppure di chi viaggia. Dal latino “expensa”. “A tavula misa, chin'un mangia perdid'i spisi”: quando sei invitato, accetta l'invito, altrimenti ci rimetti.

Spisàtu: chi mangia a spese degli altri, oppure chi è rimborsato delle spese sostenute. Da un tardo latino “expensus”.

Spissàtu: stanco, rotto, rovinato. Dal latino “fessus”.

Spistàre, pistàre: pestare, schiacciare, pigiare. Dal latino “pisere”.

Spitacciàre: sminuzzare, lacerare, strappare in brandelli. Voce verbale da un latino volgare “dis pittacium”, tagliare a pezzi piccoli un vestito o una scarpa.

Spìtu: spiedo. Dal germanico “spiuts”, più tardi latinizzato in “spietus”.

Spiùnu: chi fa la spia, chi è indiscreto. Dal germanico “spaiha”, attraverso un francese antico “speihon”, da collegare al latino “specere”.

Spiziàle: farmacista. In origine era chi preparava e vendeva le spezie, o erbe medicinali, conformemente all'uso medievale di “species”, nel significato di derrata o droga (pepe, zenzero, chiodi di garofano, cannella, noce moscata etc.), di provenienza esotica ed usate anche in medicina e farmacia. Quella degli “speziali”, insieme con i medici, era una delle sette arti maggiori nell'ordinamento corporativo di Firenze durante il  medioevo; via degli Speziali, ancora oggi a Firenze; anche in spagnolo “especeiro”.

Spizzanìsi: abitanti di Spezzano albanese.

Spizzicàre: mangiare in piccola quantità, succhiellare le carte da gioco. Da un tardo latino “piccicare”, frequentativo di “piccare” (pungere) con “s” prostetico.

Spizzuliàre: assaggiare diverse quantità di un cibo o di cibi diversi, sgranellare, anche scalfire. Derivazione probabile da “piluccare”, dall'unione di un latino “pelare” e di un germanico “plucca”.

Spònza: grumolo di lattuga o di broccolo; anche riferito a persona coperta di sudore (s'ì 'na sponza 'i suduru). Dal latino “expensusspongea”, a sua volta dal greco “spònghos” (termine omerico, Odissea). Altro significato è inzuppare, far diventare spugnoso (“sponza stà frisiddhra”: bagna questa fresa).

Spòrta: paniere di vimini intrecciati, o anche , per metonimia, la quantità di roba che può essere contenuta in una sporta. Dal latino “sporta”, derivato dal greco “spurìs” (Erodoto V° sec. a. C.).


Spòrta.

Spracchiàre: staccare, scollare; “spracchiat'a manna”. Vedi “'mbracchiare”.

Spréggiu: disprezzo, sfregio. Sostantivo dal latino “ex fricare”.

Spricitàre: rendere chiaro, esplicito. Dal latino “explicitus”, da “explicare”.

Spròijre: sporgersi. Dal latino “ex porrigere” (tendere via, fuori).

Spruféra, sprufentéra: girandolona, donna sfaccendata che va di qua e di la. Dal francese “esparviers” (per assonanza e in senso figurato con il volo dello sparviero).

Spruppàre: rodere un osso, spolpare. Dal latino “ex pulpa”.

Spruucculu: stecco, bastoncino, piccolo pezzo di legno di taglio irregolare; dal latino “(e)xperoccolo, peduncullum” con sincope d’avvio, assimilazione regressiva da “nc" a “cc”, dittongazione della "o" in "uu", nonché rotacizzazione della “d” in “r” (...e scusate se ho fatto il linguista glottologo...).

Spruvàre: mettere alla prova. Dal latino “probare” con “s” rafforzativo.

Spuntatura: riferito al vino, che acquista il sapore del legno della botte. Dal latino “dis punctare”. Togliere o guastare la punta.

Spurìa: termine in disuso. Parte di terreno delimitato dai solchi, nei quali veniva seminato il frumento, soprattutto il miglio. Dal greco “sporà” (sementa, semina).

Spurtùnu: accrescitivo di “sporta”.

Spussidutu: non più in forze, debole. Dal latino “ex possideo”.

Sputàcchia, sputàzza: saliva. Dal latino “sputum”.

Squacquaràtu: sfatto, rovinato, sgangherato. Voce onomatopeica.

Squadàre: lessare. Dal latino “caldarium”, con “s” rafforzativo.

Squazàre: scalzare, muovere la terra attorno alle piante. Da un tardo latino “excalceare”.

Stàcca: riferito alle donne. Alta e ben robusta: “ghè nà stacca i fimmina”, è una donna ben messa. Dal germanico “stacka”.

Stàccia: pertica. Dal francese “estache” (palo), o dal latino “asticula”.

Stafillaria: termine in disuso. Era la traversa superiore del torchio di legno, una grossa tavola che, per mezzo di una vite, faceva pressione per spremere le vinacce. Dal greco "stemphula" (vinacce calcate).

Staffìle: frusta. Diminutivo da un tardo germanico “staffa”.

Staggiuna: mentre in italiano il termine indica una delle stagioni in cui l'anno è suddiviso, a Tarsia, e credo anche nel resto della Calabria, la voce indica un solo periodo, l'estate, ed è molto più aderente all'etimologia originaria, derivando dal latino “statio”, luogo di sosta, in riferimento alla posizione del sole rispetto agli equinozi e solstizi; per traslato “statio” è passato ad indicare oltreché luogo di sosta anche di riposo, di quiete, in contrapposizione a “aestas”, calore, caldo bruciante, da collegarsi al greco “aithos” con lo stesso significato. Per inciso, per gli altri termini che indicano le stagioni: autunno deriva dal latino “autumnus”, da “auctus” di “augere”, aumentare, arricchire, con chiaro riferimento al periodo ricco di frutta e di uva; inverno, dal latino “hibernum”, derivato dal greco “cheimo ernus”, appartenente alla neve; primavera, dal latino “primum virére”, il primo verdeggiare, il primo fiorire.

Stagliàre: dividere, separare, spartire. Da un tardo latino “taliare”, e quindi dal francese “tailler”, con “s” rafforzativo.

Staglienza: divisione di muri, separazione. Stessa etimologia.

Stagliu: era l'affitto che il contadino pagava al padrone del fondo, anche il lavoro a cottimo (aru stagliu), oppure il credito che un artigiano vantava e che veniva pagato con i prodotti della terra.  Da un antico francese “detailler” , nel significato di computare al minuto, al dettaglio, allo scopo di fare un saldo per il servizio reso, probabilmente in unione con “staio”, derivato per contrazione dal latino “sextarius” (antica misura per gli aridi).

Stainateddhra: piccola caldaia in rame stagnata. La probabile derivazione etimologica deriva dal latino “stagnum” in unione con il greco “stagon”, per indicare la facilità con cui il metallo misto liquefa.

Stànga: barra, spranga. Dal germanico “stangha”.

Stantìvu: stantio, non fresco. Da un tardo latino “stantivus”.

Statti: voce verbale, 2° persona singolare imperativo presente, dal latino “stare”, fermarsi, interrompersi. Ha anche altri significati: costare (quanti stà?, quanto costa?); prestare fede, credere (“ghia stài a chiri cà dici”, io credo a quello che tu dici).

Stàzzu: erbaggio, terreno dove ha soggiornato una mandria. Dal latino “statio”, a sua volta dal greco "stasis" (luogo di dimora degli animali).

Stéccia: pietra piatta e sottile usata in un gioco. Era un gioco che si praticava già nel 1400. In uno statuto del 1400, in cui si enumeravano delle regole, lo Stato della Chiesa aveva codificato il gioco delle “staczellas”, cioè delle piastrelle. L'etimologia è latina da “asticula” variante di “assula” (scheggia di pietra) (Vitruvio Pollione, I sec. a.C.; Apuleio, II sec. a. C.).

Stìcca: riga, listello, stecca. Dal germanico “sticka” (bastone diritto, pezzo di legno).

Stìddhra: goccia, in senso figurato anche un pochino. Dal latino “stilla”. Differisce da “gutta”, perché indica un continuo gocciolare, goccia a goccia.

Stiddhràta: stellata, cielo pieno di stelle. Dal latino “stella”.

Stifàgnu: cercine di panno in forma sferica usato per portare pesi sul capo. Dal greco “stefanios”, corona, serto intrecciato. Una ipotesi alternativa potrebbe essere la derivazione dall'unione di due parole greche: radice “sti” , segno, e “sfairichòs”, circolare, rotondo (io propendo per la prima ipotesi).

Stijrru: sterro. Dal latino "ex terra".

Stimpagnàre: levare il fondo della botte . Da “s” privativa e dal greco “timpaniòn”.

Stinnicchiàre: distendersi, stirarsi. Dal latino “dis tendere”.

Stintìnu:intestino. Dal latino “intestinum”, per metatesi.

Stipàre: conservare, riporre. Dal latino “stipare”.

Stippàre: stappare, sturare. Dal latino “dis”e da un tardo latino“tappo”, a sua volta da un antico germanico “stapel” (deposito).

Stìpu: armadio. Stessa etimologia di “stipare”.

Stizza: goccia. Vedi “stiddhra”.

Stocca e mmenta: (spezza e aggiungi). Equiseto, o coda di cavallo. Il termine sembra sia da ricondurre ad alcune proprietà curative, o alimentari della pianta.

Stocca e mmenta.

Stòzze, stuòzzu: pezzo mal tagliato, parte di qualcosa. Dal latino “ dis” e “tunsum”, participio passato di “tundere” (triturare pestando); “'a chi ti vuoni fa stozz'a stozza”, che ti possano fare a pezzettini; oppure da un normanno “stoz”.

Stràchiummu: strapiombo, dirupo. Dal latino “extra plumbum”.

Stracquàre: stancarsi. Dal longobardo “strak”, o da un antico francese “estrac”.

Stracquu, stracquàtu: stanco, ma anche persona spregevole, fuggiasco, ramingo. Stessa etimologia.

Strafalànti, stralafànti: sfaccendato, sconclusionato. Forse dallo spagnolo “estraflairo”.

Strafucàre: rimpinzarsi tanto di cibo da avere un senso di soffocamento. Dal latino “extra fauces”, rafforzato con un tardo latino “offocare” (soffocare).

Strainiàre: rendere estraneo, far considerare qualcuno in disparte. Da “extraneus”.

Stràinu: estraneo, forestiero, non congiunto da vincoli di parentela. Stessa etimologia.

Stramacchiu: vocabolo in disuso, veniva usato nell'espressione “ami fatt'aru stramacchiu”, l'abbiamo fatto di soppiatto, senza che nessuno se ne accorgesse, alla chetichella, di contrabbando. Dal latino “extra”, fuori, e “mathesis”, apprendimento, conoscenza (cioè, al di fuori dei corretti insegnamenti).

Stramànu: fuori mano. Dal latino “extra mano”.

Strambaliàre: agire, parlare da stravagante, barcollare. Dal latino popolare “strambus”, alterazione di “strabus”, a sua volta dal greco “strabòs”, forma dal verbo “strabhèin”.

Strampalàtu: stravagante, imprevedibile, estroso. Da un tardo latino “strambus”, derivato da “strabus”, a sua volta dal greco “strabòs” (Galeno I° sec d. C.).

Strangatura (strungatura):piatto tipico calabrese. L'etimologia è dal greco “stranghizzo” (spremere, filtrare, depurare, scremare). In origine, si trattava di linguine preparate ed essiccate, realizzate raccogliendo i residui di farina e crusca dopo la molitura del frumento integrale, che, dopo una opportuna pulizia, le conferiscono un colore marrone chiaro ed una consistenza ruvida. A causa del sapore acidulo, era un alimento destinato agli animali (polli e maiali), ma, per il suo costo molto basso (quasi gratis, perché si trattava pur sempre di scarti), veniva consumata anche dai meno abbienti; per correggere il grado di acidità, il condimento doveva per forza essere a base di spezie piccanti, mescolate tra di loro (peperoncino, pane raffermo tostato, alici, pecorino, aglio, olive nere, olio, sale).

Strungatura.

Strangugliaprijviti: detti anche, a torto, strozzapreti, che nella tradizione calabrese venivano fatti in casa, con acqua, farina e sale, arrotolando e comprimendo sul tagliere ('u chjastijri) l'impasto ottenuto, per poi tagliarlo in corti bastoncini. Il termine mi dà l'opportunità di spiegare il perché, nella nota bibliografica di questo sito dialettale, non ho citato alcuna fonte, rifacendomi, nel mio studio, soltanto a dizionari e vocabolari. Troppo spesso mi sono imbattuto, nelle mie letture, in saccenti professoroni, anche docenti universitari, sedicenti studiosi che spiegavano a capocchia l'etimologia di un vocabolo, facendo strame e strazio non solo della lingua dialettale, ma anche dell'italiano: ho preferito, nei confronti di costoro, un laconico “ignoramus”.  Orbene strozzapreti è un abuso, una falsa traduzione della parola originale “strangugliaprijviti”. I poveri sacerdoti, in questo caso, non hanno fatto nulla di male per essere sottoposti a simile tortura, chiamati in causa da qualche buontempone che non aveva di meglio cui pensare...Quanto allo stravolgimento di strangulaprijvete in strozzapreti non posso che ribadire l’ignoranza e l’imbecillità di chi ha fatto un simile strazio, ed ha trovato sedicenti studiosi della lingua italiana pronti ad accoglierlo nei dizionarî in uso, diventati oramai il secchio della spazzatura in cui vien recepito di tutto, asinerie e capocchierie comprese. Si consideri la voce strangolapreti come appare in uno dei piú diffusi dizionari, di cui non cito l'autore (me ne vergogno per lui): «Gnocchetto duro e compatto, che, essendo di difficile masticazione, rischia di far morire soffocati»; la loro unica colpa è che qualche saputello ignorante ha preso fischi per fiaschi, pensando che stranguglia (vedi vocabolo seguente) stesse per strangolare, e quindi strozzare, e che prijviti potesse indicare il prete. Il vocabolo, invece,  deriva dal modo di preparazione dell'impasto, cioè da due verbi greci “stronghulaino”, ammassare arrotolando,  e “prethein”, comprimere incavando. In alternativa, posso accettare, pur con molte riserve, una derivazione diversa: che, cioè, “strongulòi” (in greco, significa rotondo, sferico) si riferisca ad un impasto tipo gnocchi, e che “prijviti” stia per prete: in questo caso indicherebbe una ghiottoneria sacerdotale, tipo la locuzione tipicamente calabrese di “pan'i prijvti”, per riferirsi ad un tipo di pane buffetto, cioè soffice e leggero.


Strangugliaprijviti.

Strangùgliu: singhiozzo, singulto, senso di soffocamento per aver mangiato troppo avidamente. Dal latino “strangulare”, a sua volta dal greco “strancalein”.

Strappuliàre, strazzuliàre: tirare avanti alla meno peggio, accontentandosi di poco, con moderazione. Stessa etimologia di “strazzare”.

Strascinare: tirare, condurre con forza. Dal latino “ex” e “traginare”, frequentativo di “trahere”.

Stravìjentu: zona riparata dai venti. Dal latino “extra ventum”.

Strazzàre: rompere o ridurre in brandelli, lacerare. Dal latino popolare “extractiare”, derivato da “tractus”, participio passato di “trahere” (tirare, trascinare in lungo); o dal germanico “strappòn” (tendere con forza). Un termine latino simile è “distraho”; la differenza con “extraho” è che l'uno , “distraho”, implica l'uso di strumenti da taglio, quali forbici o coltelli. “U canu muzzica semb'aru strazzatu”, il cane morde sempre lo straccione, cioè la sfortuna si accanisce sempre sui più indifesi, oppure che i guai non vengono mai da soli.

Stréuzu: falso, strambo, insolito, anche guercio. Probabile unione dal greco “strabòs” e latino “falsus”, oppure dal latino “extra usum”. Non sono d'accordo con chi fa derivare il termine dal latino”abstrusus”, formato da “ab” e “trudere”, cioè spingere lontano.

Stricapiàtti: strofinaccio.

Stricàre: strofinare, stropicciare.  Dallo spagnolo “estregar”; oppure dal latino “extricare”, voce verbale da “strigilis”, a sua volta dal greco “stlenghìs”. Lo strigile era uno strumento di metallo, usato dai greci e dai latini per detergere il corpo dal sudore o dall'olio, dopo il bagno o gli esercizi ginnici, costituito da un manico diritto e da una parte terminale curva e concava che veniva passata sulle membra (Scilace, IV° sec. a. C.).

Strichiniàri: sfregare, strofinare. Stessa etimologia.

Strìgli: arnesi, vari oggetti sparsi qua e là. Da un antico francese “estrille”.

Strina: dono per il capodanno, strenna. Dal latino “strena”, dono augurale. Da bambini si recitava questa filastrocca, nel periodo tra Natale e Capodanno: “capi d'anni e cap'i misi, dunimi a strina ca mà prumisa; quanti pinni tenid'u gaddhru tanti tummin'i curaddhri; tanti pinni tenid'a gaddhrina tanti tummin'i farina; tanti pili tenid'u ciucciu tanti tummin'i piducchi” (l'ultima parte era recitata se non si otteneva niente).

Strippàre: sventrare. Dal latino “ex” e “trippa” (omenti che avvolgono l'intestino).

Strippulare: dissodare, scassare un terreno per rendere più agevole lo scolo delle acque, scanalare, anche sturare. Forse deriva dall'unione dei latini “strio”, scanalare, e “stirpo”, togliere via, con il greco “steriphé, riferito alla fine dell'allattamento delle pecore; quindi, in senso traslato, porre fine ad un flusso, togliere qualcosa di liquido facendo in modo che scoli.

Strìttulu: vicolo, viottolo. Dal latino “strictus".


Strìttulu.

Stròglia: oggetti di poco valore, anche utensili, stoviglie. Dal greco “stronchulos”, sarebbe il torsolo della pannocchia, quindi cosa da poco.

Strogliàre: svolgere un filo, una benda. Dal latino “ex” e dal greco “trulos”.

Strolichiari: fantasticare, parlare senza capo né coda. Stessa etimologia di “strolicu”.

Stròlicu: strano, lunatico. Dal latino “astrologus”, oppure dal greco "strabologos" (che parla in modo strano).

Stròppa: pollone che nasce dalla ceppaia di un albero, anche rami secchi e sterpaglia del terreno. Dal latino “stirps” in unione con “stroppus”.

Stroppa: unità di misura variabile che veniva corrisposta al mulino per la molenda del grano; corrispondeva  circa ad 1 “stuppijeddhru” per tomolo. Dal latino “struppus”, legame, quindi contratto tra le parti.

Stroppàre, struppàre: sterpare il terreno. Stessa etimologia di “stroppiare”.

Stroppiàre: ferire, far del male fisico. Dal latino “ex turpis”, oppure voce verbale dal latino “stuprum”.

Stròscia, struòsciu: persona vecchia, inutile; anche riferito a cose; baldracca. Da un probabile latino “extrusare”, derivato di “extrudere" (cacciare fuori), influenzato da  “strix”.

Strozzaprijviti: vedi “strangugliaprijviti”.

Strùdere: consumare, logorare, dissipare, sciupare. Dal latino “extrudere”.

Strumbunata: ferita determinata da una sporgenza. Stessa etimologia di “strumbunu”.

Strumbùnu: ceppo dell'albero, appiglio, sporgenza. Dal latino “extra umbone”, ( fuori di una parte prominente).

Strumméntu: strumento (musicale o notarile, rogito). Dal latino “instrumentum”, derivato da “instruere”.

Strùmmulu: trottola; sedile basso, anche uomo di bassa statura.. Dal greco “stròmbos” (Eschilo VI° sec. a. C.).

Struncaturu: sega lunga. Voce dal latino “ex tronco”.

Strungatura: vedi "strangatura".

Strùnzu: stronzo, pezzo di sterco, cacherello. Riferito, in senso dispregiativo, anche a persona.  Dal longobardo “strunz” (sterco): “ara squagliata da niva si parin'i strunzi”, quando le cose si sono chiarificate, vengono a galla i problemi.

Struòppulu: pagliuca, fuscello. Dal latino “stroppus”. In origine era il legaccio che teneva insieme le “stroppe”.

Struppatùru: erpice dell'aratro. Dal latino “”struo”, disporre a strati, ammucchiare, accumulare.

Strusciàre: strofinare, trascinare. Forse da  un tardo latino “ex” e“traginare”, derivato da “trahere”.

Strusciddhràtu: ridotto male, con le ossa rotte. Stessa etimologia di “strusciare”.

Strùsciu: piccolo rumore. Stessa etimologia.

Stu, sta: questo, questa. Dal latino “iste, ista, istud”.

Stujiàre: pulire, nettare, asciugare. Da un probabile tardo latino “studiare” (ingegnarsi) frequentativo di “studere” (applicarsi); oppure voce verbale dal latino “storea” (panno, straccio).

Stujavùcca: tovagliolo, salvietta (pulisce la bocca). Dal latino “studere buccam” (applicarsi con diligenza alla cura della bocca). In alternativa, dal latino “storea” e “bucca”.

Stunàtu: stordito, rintronato, non tranquillo e lucido di mente. Dal francese “etonner” (sbalordito), incrociato con un tardo latino “extonare” (tuonare); “sì stunat'i capi”, non sei lucido nel giudicare la situazione.

Stunàtu: stonato (nel senso musicale); che non è conveniente alla situazione. Dal latino “ex tono”.

Stuppa: stoppa. Dal latino “stuppa”, a sua volta dal greco “stuppe”, in origine il cascame del filato di canapa, lino, iuta; poi il cascame dei cereali (Diodoro Siculo, I° a. C. ).

Stuppijéddhru: antica misura equivalente all'ottava parte di un tomolo. Recipiente in legno per i prodotti dell'agricoltura; dal greco “stùpos”, ceppo d'albero circolare (Nicandro, II° sec. a. C.).

U stuppijjddhru.

Sturciàre: storpiare, tagliare in malo modo, deformare. Dallo spagnolo “destrupar”, oppure dal latino “exturpiare”, voce verbale da “turpis”; “sà sturciat'i ghinocchi”, è caduto e si è ferito alle ginocchia; oppure, sempre dal latino “extorquere” (storcere, deformare).

Stùrciu: deforme, storpio. Stessa etimologia.

Stùrnu: dissuaso, che desiste da un comportamento. Dal latino “s” e “tornare”.

Stutàre: spegnere il fuoco, smorzare, estinguere la sete. Dal latino “extutare” (difendere qualcosa coprendola).

Stuùrtu: non diritto, non rettilineo, litigioso, piantagrane. Dal latino “extorctus”, participio passato di “extorquere”. “Sì cchiù stuurtu tu cu ligni d'a vruca”: sei proprio un litigioso.

Subbùrcu: sepolcro. Dal latino “sepulcrum”. La tradizione tarsiana vuole che, durante la settimana santa di Pasqua, gli altari della Chiesa vengano decorati dai “sepolcri”. Nella prima settimana di Quaresima, in un contenitore si pone “a stuppa”, sulla quale vengono deposti semi di grano, o di legumi, o di “vizza”; tenuti rigidamente al buio, a temperatura ambiente, e innaffiati a giorni alterni; i germogli in breve spuntano ed assumono un colore giallo dorato, per l'assenza di luce e di clorofilla. I significati di questa tradizione sono due: il primo è il colore dei germogli, dorati, come se si volesse offrire al Signore qualcosa di prezioso, di simil oro; il secondo, nel suo simbolismo ci ricorda il miracolo della Vita e della Resurrezione dopo la morte, in accordo con il passo del Vangelo di S. Giovanni, “in verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produrrà molti frutti”.

U subburcu.

Sucaméle: succhiamiele. Nome di pianta selvatica, il caprifoglio. E' detto così per il sapore dolciastro contenuto nel fiore che si succhia.

Sucamele.

Sucàre: succhiare. Da un tardo latino “succulare” derivato da “succus”; “cà ti vò sucà 'a neglia”, che ti possa avvolgere la nebbia.

Suddhra: lupinella, pianta da foraggio (hedysarum coronarium). Dallo spagnolo “zulla”.

Suddhra.

Suffrìgna: relativo a zolfo, dal latino “sulfureus”: “jiam'all'acqua suffrigna”, andiamo alle terme.

Suffrìjere: soffriggere. Dal latino “subfrigere”.

Suffrìtto: saltato di carne, carne fritta in padella. Dal latino “subfrictum”.

Suffunnàre: immergersi, sommergere. Dal latino “sub fundo”.

Suggìjettu: obbligato. Dal latino “subiectus”, participio passato di “subicere”, composto da “sub” e “iacere” (assoggettare).

Sùglia: lesina dei calzolai. Dal latino “subula”.

Sugliùttu, sugliùzzu: singhiozzo. Dal latino “subgluttus”.

Sujàre: succhiare. Dal latino “sugere”.

Sulàgnu: solitario. Dal latino “solus”.

Sulettu: fuscello nella navetta del telaio, intorno al quale gira il cannello. Per riduzione, dal greco “saghittòtsulon” (fuscello per la spola).

Sumàre: alzare, sollevare, elevare. Dal latino “sursum ire”, contratto in “sumo”; “mà fatt sumà i cazzi”, mi ha fatto arrabbiare.

Summarcàre: scavalcare, oltrepassare. Dal latino “summus varicare”.

Summàstru: maestro, capo. Dal latino “summus magister”.

Sùgna: l'insieme delle parti grassi e molli del maiale, da cui si ricava lo  strutto. Dal latino “axungia”, formato da due termini “axis” e “ungo”. Ipotesi etimologica alternativa è una derivazione diretta dal latino “suinia” (cose di maiale).

Sunari, sonari: suonare. Dal latino “sonare”. ”Sà canda e sa sona” (riferito a chi presume di far tutto da solo).

Sùpa: sopra, su. Dal latino “super”; “sup'u bbeni mia”, sul mio bene, come espressione di rassicurazione.

Sùocru: suocero. Dal latino “socrus”.

Supramanu: cucitura larga sulle pieghe di un vestito Dal latino “super mano”.

Supressàta: soppressata. Dal latino “super pressata”; anche in spagnolo “sobresada”. Io preferisco un'etimologia diversa: forse da un francese antico “sau presad”, cioè formato da due termini “sau” sale e “presad” pressata.

A supressata.

Surchiàre: succhiare, aspirare, ingerire un liquido con gorgoglio. Dal latino “succulare”, da “succus”.

Sùrice: topo. Dal latino “sorex”. “Figl'i gatta surici piglia e si 'unni piglia unnè figli”, le stesse qualità, o difetti, li ha il figlio. “Quann'un ced'a gatta i surici abbaddrhani”: quando non c'è la gatta i topi ballano. “Tù sì suric'i pagliera, 'unt'avijnt'a cuvirnà a mugliera”, sei un buono a niente.

Suricéra: trappola per topi. Stessa etimologia di “surice”, forse attraverso un latino parlato “soricarius”.

Suriciùofalu: arvicola, talpa. Dal latino “sorex arviceus”.

Suriciùofalu.

Suriglia: lucertola. Voce in disuso, sostituita da “lucerta”. Dal greco “sauros” col suffisso diminutivo “illion”.

Sùsere: alzarsi. Dal latino “sursum ire”, andare verso sopra. Meglio ancora, mi sembra più esatta la derivazione dal latino “surgere” (mettersi in piedi, alzarsi, sollevarsi). C'è una differenza sostanziale tra “sumare” e “susere”, avendo il secondo termine un significato riflessivo.

Suspuliàre: rendere soffice, molle. Dal latino “subpulsum”, participio passato di “pello” (muovere dal disotto).

Sùsta: fermaglio, corda del basto. Dal latino “substa”.

Sustàre: importunare, molestare, anche annoiarsi. Dal latino “suscitare”.

Sustùsu: riferito a bambino nervoso, che piange. Stessa etimologia.

Sutta: sotto. Dal latino “sub”.

Suttamascka: ascella. Termine in disuso. Più precisamente è la parte del corpo che dall'ascella arriva al fianco. Dal latino “sub”, sotto, e dal greco “mascale”, ascella.

Suttàna: veste di donna. Dal latino “subtana” (inferiore).

Suvàre: desiderare il verro da parte della scrofa, essere in fregola. Dal latino “subare”.

Sùveru: sughero. Dal latino “suber”.

Suvìjerchiu: in eccesso, troppo di più. Dal latino “suverculus”;“u suvierchiu rumpid'u cuvierchiu”, il troppo stroppia, ogni eccesso è un difetto.

Sùzu: gelatina di carne di maiale. Dal germanico “sultja”; ipotesi etimologica alternativa è la derivazione diretta dal latino “suis”, porco, per metatesi della consonante “s”;”cà ti vuoni fa aru suzu”, che tu possa diventare come la gelatina del maiale. Si utilizzava la coda, la lingua, le zampe, la testa, orecchie comprese, ma priva del cervello e naturalmente del guanciale. Tutte queste parti vanno pulite e all'occorrenza raschiate. Dopo lavate si mettono a bollire in un pentolone con acqua, sale e qualche foglia di alloro, fino a quando la carne non si stacca dalle ossa; si separa la carne dal brodo, si disossa e si taglia a pezzetti; il brodo schiumato si filtra e, nella proporzione di 2 parti di brodo ed 1 di aceto, si versa in un altro recipiente, con l'aggiunta di peperoncino, alcuni spicchi di aglio, ancora qualche foglia di alloro e sale. Quando il brodo comincerà a bollire, si unisce tutta la carne, si assaggia per vedere se ci vuole ancora del sale, si lascia riposare fino a fare raffreddare il tutto e poi si versa in contenitori (i nonni usavano vasi di terracotta e lo sigillavano con uno strato di strutto, oggi si usa il vetro).

Svadari: termine in disuso. Cacciare le pecore dall'ovile per portarle al pascolo. Dal latino “exvadare” (passare a guado).

Svànzica: denaro, soldi. Antica moneta del regno lombardo veneto che, come termine, ebbe discreta diffusione anche al Sud, rafforzata da una voce molto recente, importata dagli emigranti svizzeri. Dal tedesco “zwanzig” (venti).

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