I giochi di una volta - Tarsia dialetto

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 I juuch'i nà vota.


Ammucciateddhra: il gioco del nascondino. Con la testa appoggiata al  muro, e con gli occhi chiusi, il cercatore dalla base contava fino a trentuno, dando agli altri giocatori il tempo di nascondersi. Poi cercava di individuare il nascondiglio, chiamando dalla “merca” (base) il nome del giocatore nascosto; se sbagliava indirizzo, o se il giocatore nascosto arrivava alla “merca” prima, gridava “scacogna” ed il gioco ricominciava daccapo; se, invece, riusciva ad individuare tutti i giocatori nascosti, risultava vincitore. Il numero dei partecipanti era vario (più erano, più il gioco si faceva interessante).


Ammucciateddhra.

Bottarulu: cerbottana, pezzo di canna o di sambuco che serve per sparare, a forza di fiato, piccole pallottole di carta inumidita con la saliva.


Bottarulu.

A campana: si disegnavano per terra delle caselle (in genere 7, o anche di più);  a turno ognuno lanciava un sasso ( u buccinu, di solito piatto) che doveva rimanere entro la prima casella, quindi si saltava dentro la casella, si prendeva con la mano il sasso poi, su un solo piede,  si saltavano le altre caselle e si tornava all'inizio. Vinceva chi per primo riusciva a far cadere il sasso in tutte le caselle e completare il percorso senza mai toccare con i piedi le linee tracciate. C'erano anche delle varianti (tenere ad esempio la pietra sul capo), che dipendevano dall'abilità dei partecipanti.


A campana.

Carr'armatu: sui bordi di un  rocchetto di legno dismesso si praticavano dei tagli triangolari; nel foro si infilava un grosso elastico insaponato o passato nella cera, tenuto ad un'estremità da un pezzetto di legno corto come fermo, e dall'altra da un legnetto più lungo, che si faceva girare per attorcigliare l'elastico. Posto per terra, il rocchetto si muoveva finché l'elastico era in tensione, riuscendo ad andare anche in salita, o a superare piccoli ostacoli.


Carr'armatu.


Carra carra: o gioco delle noccioline. Era un gioco che si praticava durante le serate invernali. Su un muro si appoggiava una tavola inclinata (u chiastijru); ogni giocatore faceva rotolare la sua nocciolina sull'asse e cercava di colpirne qualcuna tra quelle sparse per terra. Quella che colpiva rimaneva sua , mentre se indovinava il tiro colpendo un arancio posto nel mezzo, si appropriava di tutte le noccioline per terra.



Carra carra.

U carricijddhru: una tavola di legno supportava le ruote, di solito cuscinetti. E via per le discese.



U carricijddhru.

Catreja: non era un gioco vero proprio, anche se noi bambini lo reputavamo tale. Era una trappola per prendere vivi gli uccelli.

Catreja.

U caruocciulu: si giocava con una trottola di legno, con un perno in ferro. Con una cordicella, legata ed avvolta a spirale, si lanciava per terra in modo da dare un movimento rotatorio, quindi si prendeva nel palmo della mano e si spingevano gli altri “caruoccili” dentro una buca. Il primo imbucato doveva pagare pegno con le “pirnate”.


U caruocciulu.


Cavaddhru luungu: era un gioco di forza e di agilità. Di forza, perché due ragazzi, uniti e piegati fra di loro in modo da formare un ponte, dovevano sopportare un peso non indifferente; di agilità, perché un altro gruppo, di solito composto da cinque o sei ragazzi, doveva saltare e rimanere in equilibrio, in modo da lasciare spazio a tutti per rimanere in sella il più possibile.



Cavaddhru luungu.

Circhij: per giocare servivano quattro asticciole e dei cerchietti: due bambine si mettevano di fronte, tenendo in mano le due asticciole incrociate e a braccia alzate; sulle asticciole c'era un cerchietto, che si faceva volare in aria, con lo slancio delle braccia; l'altra bambina doveva riprenderlo al volo, infilandolo con una o due asticciole.


Circhij.




Corda: una corda, di opportuna lunghezza, viene fatta oscillare sopra la testa e, saltando, sotto i piedi. Può essere un gioco singolo, oppure con due compagni che ne reggono l'estremità.



Corda.

Figureddhre: si giocava con le figurine Panini dei calciatori, o con quelle di Topolino. Il gioco consisteva nel mettere una pari quantità di figurine a mazzetto e dopo aver tirato a sorte, battere il mazzetto con una mano facendo capovolgere le figurine. Quelle capovolte si vincevano altrimenti si passava la mano all'avversario. Unica accortezza: evitare di fare la "giramano", cioè dopo la battuta la mano doveva rimanere nella stessa posizione e non girata. Quando la figurina toccava una parete o rimaneva in bilico si chiamava "mbinjeddru" e si ripeteva la battuta.


Figureddhre.

U fisckijtti: era uno zufolo, costruito utilizzando un pezzo di canna, svuotato, su cui si praticavano dei fori; mentre si soffiava, le dita ostruivano i fori, emettendo vari suoni.



U fisckijtti.

Freccia: era la fionda. Veniva utilizzato un ramo, di solito di ulivo, a V, che, privato della corteccia, veniva modellato sul fuoco. Due elastici di camera d'aria di bicicletta erano legati alle estremità dei rami da un pezzo di cuoio ricavato da scarpe vecchie o rotte. La usavamo di solito per la caccia agli uccelli.



Freccia.

I frecci ccù l'arcu: dalle stecche di un ombrello rotto, si ricavavano sia l'arco che le frecce; all'estremità di una stecca si legava dello spago ben tirato...e ci si trasformava in tanti piccoli indiani.


I frecci ccù l'arcu.

U furzunu: il gioco consisteva nel far saltare in aria un corto bastoncino, “u furzunu”, battendolo con la “mazzola” ad una delle estremità appuntite e nel percuoterlo poi a volo per mandarlo il più lontano possibile; l'avversario, raccolto il bastoncino, doveva rilanciarlo con le mani per cercare di colpire la “mazzola” posta per terra; se vi riusciva, si invertivano i ruoli della battuta, altrimenti si contava la distanza dalla caduta alla battuta. I tentativi del lancio erano tre: “pizzichi, panichi e sazizza”.



U furzunu.

Girotondo: gioco per i più piccoli. Ci si dava la mano in cerchio e si recitava una filastrocca.


Girotondo.



Monopattino: a differenza “du carricijddhri”, era costituito da una tavola lunga e da un manubrio alto, con due sole ruote a cuscinetto.


Monopattino.

Mosca cieca: un giocatore, estratto a sorte, viene bendato e deve riuscire a toccare gli altri che gli si muovono intorno; se un giocatore viene toccato ne prende il posto.



Mosca cieca.

Murra: era un gioco per adulti; consisteva nell'indovinare la somma dei numeri mostrati dalle dita dei due giocatori.

Murra.

Murra cinese: gioco di mano, con cui si indicano tre elementi: il sasso, la forbice, la carta. Lo scopo è sconfiggere l'avversario, scegliendo un segno che può battere l'altro: il sasso batte la forbice, la forbice batte la carta, la carta batte il sasso.



Murra cinese.

Naca: era un gioco di abilità che si praticava in due: si intrecciavano dei fili, di solito spago, tra le dita indice e pollice e si formavano varie figure geometriche.


Naca.

A 'ndinna (albero della cuccagna): durante le feste, si ergeva in piazza e il palo era ricoperto di grasso; i partecipanti dovevano cercare di prendere dei premi (di solito roba da mangiare), posti alla sommità.


A 'ndinna (albero della cuccagna).

U paddhrunu i pezza: per evitare che commercianti con corta visione sportiva (Silvio i Martini, o Fronzi'i Brizza) ci sequestrassero il pallone di plastica, o che, peggio ancora, ce lo distruggessero, usavamo farci i palloni con degli stracci di stoffa legati con spago e conformati a sfera. Il campo di calcio era “u cummendu”, con cumuli di pietra a formare le porte: le partite erano interminabili.


U paddhrunu i pezza.

Palla dorata: era una filastrocca che le bambine cantavano mentre veniva lanciata una palla contro il muro, e che veniva raccolta in vari modi.


Palla dorata.

I pignati: era un gioco che si praticava durante le feste di San Francesco o dei Santi Cosma e Damiano. Ad una corda, sospesa tra due muri, si appendevano delle pignatte contenenti o dolciumi, o soldi, o acqua o farina mista a segatura. I concorrenti, bendati e disorientati, dovevano vibrare dei colpi con un bastone; la gente, attorno, poteva dare delle indicazioni, giuste o errate.


I pignati.

U pijttinu: era uno strumento musicale che ci divertivamo a costruire da soli. Con la carta velina si avvolgeva il pettine e la si fermava ai lati con un elastico; si soffiava sul pettine ed il risultato era una specie di pernacchia modulata, prodotta dalle vibrazioni della carta velina sui dentini del pettine.





U pijttinu.

I pitruddhri: si giocava con sassi piccoli, rotondi. Si sparpagliavano i sassi per terra, si lanciava un sasso in aria e se ne prendeva uno da terra, raccogliendolo insieme a quello lanciato; poi si continuava con due e via via fino a cinque, aumentando il grado di difficoltà.



I pitruddhri.

I roti: un cerchio di bicicletta era condotto da un'asta di fili di ferro intrecciati e modellata ad U, a modo di forcella. “'Ndi strittuli e 'ndi vineddhre”, da “Citateddhra ara Timpa” si cercava di emulare il Giro d'Italia.


I roti.

Rubabandiera: Al centro, un ragazzo con il fazzoletto in mano; Ai lati, un gruppo di giocatori numerati. Vinceva chi, chiamato, riusciva ad afferrare il fazzoletto e tornare alla base, senza essere toccato dall'avversario.



Rubabandiera.

Schiaffo del soldato: era un gioco per i più grandicelli. Con la mano sotto l'ascella, e voltato, chi era sotto doveva subire uno schiaffo ed indovinare chi l'aveva dato; se ci riusciva, chi aveva dato lo schiaffo andava sotto, altrimenti si continuava.


Schiaffo del soldato.

Scupidù: si intrecciavano cordini in plastica, o anche del semplice spago colorato,  per farne dei portachiavi.

Scupidù.

A spata: era fatta da un pezzo di legno piatto, piallato e ben appuntito, alla cui estremità era fissato, o inchiodato, un altro legno, in modo da formare una croce. Veniva infilata, di solito, tra i passanti dei pantaloni. E via alla guerra!


A spata.

I stecci: si praticava con dei pezzi, più o meno levigati, di mattone. A distanza di circa dieci metri si poneva una piccola costruzione di mattoni, a formare un rettangolo; sopra questa, o in una fossetta scavata dietro, si ponevano i premi ( figurine dei calciatori, qualche volta anche soldini). Vinceva chi riusciva a buttare giù la costruzione, o chi copriva i premi con il lancio.


I stecci.


U telefonu: si prendevano due barattoli (i buatti), aperti da un lato; sul fondo, al centro veniva praticato un forellino, attraverso cui si faceva passare uno spago annodato. A distanza, mentre uno teneva il barattolo all'orecchio, l'altro parlava.



U telefonu.

U vattimurru: si faceva rimbalzare su un muro una monetina, o un bottone, per mandarla il più lontano possibile. Vinceva chi toccava la monetina dell'avversario. Il numero dei giocatori era vario e la posta in gioco veniva stabilita prima dell'inizio.

U vattimurru.

Vòcala vòcala: si fissavano le due estremità di una fune al ramo di un albero e alla base della fune era sistemata, ben fissata, una tavola.



Vòcala vòcala.

Uno monta la luna: gioco diffuso in tutta Italia. Con la schiena curvata, ci si disponeva in fila indiana, a distanza; l'ultimo della fila, scavalcava il primo giocatore curvato, quindi proseguiva fino al successivo e così via fino all'ultimo, dopo di che si disponeva nella stessa posizione. Ogni giocatore ripeteva questa operazione; i salti erano accompagnati da alcune frasi, i comandi. Uno monta la luna, due il bue, tre la figlia del re, quattro batti le mani etc, con comandi che si potevano via via anche inventare. Se durante il salto si cadeva per terra, o si saltava male, si tornava nella posizione precedente a schiena curva.


Uno monta la luna.
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