P
Paccariàri: colpire con la mano aperta, schiaffeggiare. Da probabile voce onomatopeica, oppure dal greco “panta cheirò”, a tutta mano, a mano aperta (termine omerico), oppure sempre dal greco "pan" e "clao" (torcere, piegare). In alternativa, potrebbe derivare da un tardo latino “pacca”, mutuato da un longobardo “pakka”, che letteralmente significa natica, e quindi per traslato colpo dato sulla natica, sculacciata.
Pacchiànu: contadino, villano; al femminile, giovane contadina. Per estensione, privo di buongusto e di stile, grossolano. Dal latino “pasco” (pascolare, mangiare in abbondanza, senza pensieri, da ingordo, in modo sgraziato); in alternativa, dal greco "pachejon" (popolano), o dallo stesso latino "paganus", derivato da "pagus" (villaggio). Un'altra mia ipotesi, suggestiva e forse fantasiosa, è la seguente: abitando io in Friuli, ho sentito spesso il termine “clap”, sasso, voce di origine preromana, da collegare con una radice mitteleuropea “klapp”, sasso sporgente, da cui potrebbe derivare anche l'italiano “chiappa”, natica, cioè qualcosa che sporge dalla figura umana; per metatesi del termine da “klapp” a “plakk” si ha pacchiano.
Pacchiaròttu: grassottello. Stessa etimologia di “pacchiunu”.
Pacchiùnu: grassoccio, paffuto, tarchiatello. Potrebbe derivare dallo spagnolo “pachòn” (pacioccone, persona lenta, flemmatica), oppure dal greco “pachiùs”, grasso, pingue, ben nutrito (termine omerico), o da un tardo latino “pachì”.
Pacciàre (pazziàre): fare delle pazzie divertendosi, scherzare, anche dire cose in modo insensato. Dal latino “patior”, a sua volta dal greco “pathein”; oppure da un primitivo greco “paìzo”, scherzare, giocare proprio dei bambini(Platone, IV° sec. a. C.).
Paciùnu: quieto, tranquillo, indolente, calmo. Dal latino “pax”.
Pàddhra: palla. Da un antico germanico “palla”. Il mio caro amico Franco Oliva ed io siamo stati i primi chierichetti del paese; alle prime messe servite eravamo piuttosto imbranati, come si può ben immaginare. Don Domenico, il sacerdote di allora, mi chiese “proijmi a paddrha”, al che io ho pensato subito alla palla da gioco; invece mi aveva chiesto la tela con cui coprire il calice durante la funzione. Dal latino “palla”, velo, manto ricamato con cui i Romani usavano ornare i loro dei.
Paddhràcciu: piccola caciotta rotonda. Dal germanico “palla”, cosa rotonda.
Paddhroccia: tuorlo d'uovo. Stessa etimologia di “palla”.
Paddhrùn'i fichi: preparazione di fichi infornati e ricoperti con le proprie foglie.
Paddhrun'i fichi.
Pagliàru: pagliaio, capanna di paglia. Dal latino “palearium”.
Pagliétte: parole senza senso, discorsi campati in aria. Dal francese “paillette”, a sua volta dal latino “palea” (paglia). Probabilmente il termine è mutuato dal napoletano e indicava avvocati da strapazzo, pretestuosi e cavillosi, un po' fanfaroni, che usavano portare cappelli di paglia.
Paglittaru: uno che racconta frottole, chi, nel parlare, bada più alla forma che alla sostanza, che parla e non dice niente. Stessa etimologia di “pagliette”.
Pagliùnu: strame che serve da letto al bestiame. Dal latino “palea”; “m'à brusciat'u pagliunu”, mi ha fatto fesso, è mancato ad un impegno, ad un lavoro, ad un appuntamento. La locuzione potrebbe derivare dall'usanza degli eserciti sconfitti, che, nella ritirata, erano soliti bruciare tutto, di modo che i vincitori non potessero usufruire di alcunché.
Pagurùsu: pauroso. Dal latino “pavor”.
Pajéddhra: falda, lembo inferiore della camicia sporgente dalla cintura dei pantaloni. Intorno al 1500, presso le donne francesi e spagnole incinte, di elevata classe sociale, era in voga indossare una armatura di legno composta da cerchi concentrici sostenuti da una fodera pesante, che dall'addome arrivava fino a metà coscia, in forma di campana, e che serviva a proteggerle dagli urti. I primi cerchi superiori erano regolabili a seconda dell'aumento di volume determinato dalla gravidanza e la spia di regolazione era data da un lembo di vestito che fuoriusciva dall'armatura; tale lembo, in francese era detto “faidel” e in spagnolo “faldel”.
Pàju: sottogola di cuoio per aggiogare i buoi. Dal greco “pàghion” (laccio).
Pala (paletta): oltre che attrezzo per lavorare la terra, si intende, a Tarsia, il cladodio del fico d'India. Mentre, nel primo significato, ha una derivazione latina (pala), nel secondo non si ha un uso traslato, ma è un prestito dallo spagnolo “pala”, che sarebbe l'articolazione del frutto. La pianta, infatti, è arrivata in Europa dopo il 1492, con il nome messicano di “nopal”, per cui credo che questo sia l'origine del termine “pala”.
Palanchinu: verga di metallo, di solito ferro, che era adoperata come leva. Dal greco “falangs”, tronco, bastone cilindrico (Erodoto IV sec. A. C.).
Palàta: l'atto di colpire con il palo, bastonare, picchiare. Dal latino “palus”, oppure dal greco “palaìo”, lottare con bastone (termine omerico, Iliade).
Pàletta: ramo spinoso e carnoso del fico d'India; oppure piccolo attrezzo per raccogliere la cenere o la brace. Diminutivo da “pala”.
Paliàri, paliàta: bastonare, percuotere. Stessa etimologia di “palata”. Lo stesso significato ha lo spagnolo “apalear”.
Paliàri: sventolare il grano con la pala sull'aia. Dal latino “pala”. Etimologicamente affini, “palus” e “pala”, derivano dal latino “pango”, per indicare ciò che si conficca nel terreno.
Pallista: fanfarone, uno che racconta frottole, fandonie. Da un gotico “palla”: per similitudine di figura con la palla, cosa artificiosamente ravvolta e gonfiata.
Palùmma, palùmmu: colombo. Dal latino “palumbus”, più propriamente il colombo selvatico; in spagnolo castigliano “paloma”. Nella frase “fà u palummu” oppure “tenidi u palummu 'ncuorpu” ha il significato di borbottìo degli intestini, ovvero di vomitare, forse per l'abitudine che hanno i colombi di dare il cibo ai piccoli imbeccandoli. Ipotesi alternativa è la derivazione da un antico spagnolo “paloma” (fune che stringe, quindi l'atto di costrizione dell'addome che precede il vomito, da cui il detto tarsiano “sta jittann'a palumma”).
Palumméddhra: farfalla. Simile a colombo, diminutivo di questo. Stessa etimologia. “Na palummeddhra janca mà muzzicata ara scianca, nà palummeddhra turchina mà muzzicata aru schinu, nà palummeddhra russa mà muzzicata aru mussu; e sijnti ohiné, sì mi vòi bé, e lu mussu nun mi lu tuccari, manneja aru mussu di mammata”: strofetta che intonavano spesso i “cantaturi”.
Palu: palo, anche il seme del gioco delle carte. Dal latino “palus”, nel significato originario; forse dallo spagnolo “palos”, seme, se riferito al gioco.
Pampaniàre: assumere un atteggiamento vanitoso, pavoneggiarsi, insuperbirsi, vantarsi. Dal latino “pampinus” (pampino, tralcio di vite con molte foglie senza nessun frutto, per metafora.).
Pampuglia: termine in disuso. Insieme di foglie secche, tritume di paglia; per traslato, anche roba di poco conto, inezie, cosa da nulla. Forse dall'unione di due termini, uno spagnolo “pampanaje” ( foglie secche del tralcio di vite), l'altro latino tardo “palea” (stelo secco della spiga di grano), anche se non so spiegare la mutazione di “a” in “u”.
Panaréddhra, panarìna: cestino di canne che veniva usato come museruola dei buoi, perché durante la trebbiatura non mangiassero le spighe di grano. Stessa etimologia di “panaru”. Per presa in giro, venivano indicati anche gli occhiali per miopi, molto spessi, simili a fondi di bottiglia.
Panàru: cesta, paniere. Dal latino”panarium”. “L'amur'i lundanu ghè cumi l'acqua 'ndu panaru”: non ci si può amare a distanza, perché l'amore necessita di presenza.
Panaru.
Pànica: zolla di terra. Dall'osco “pànica”.
Panicùottu: sorta di minestra costituita da pane raffermo fatto a pezzi, bollito nell'acqua con aglio, rosmarino, alloro e sale e condito con olio crudo. Dal latino “ panis coctus”.
Pànticu: grande spavento, batticuore, anche svenimento. Probabilmente deriva da “Pan”, dio greco mezzo uomo e mezzo caprone, ripreso anche dai romani, raffigurato con corna, e zampe di capra, mentre il busto ed il viso sono umani, che, secondo la leggenda, vagava nei boschi ed incuteva spavento. Oppure dal greco "pathos".
Pantulìna: percosse, bastonatura. Forse dal latino “pandus” (piegato, curvo, sottomesso, costretto).
Pànza: pancia, addome. Dal latino “pantex”. “Adduvi cè panza, cè crianza”: c'è educazione dove c'è abbondanza.
Pànza e prisénza: riferito a chi è invitato e si presenta a mani vuote.
Panzagliéddhra: pancetta.
Panzasùtta: bocconi. Dal latino “pantex subta”.
Panzàta: abbondante quantità di cibo, divorato fino ad esserne completamente sazio; anche l'atto di colpire con la pancia. Stessa etimologia.
Panzé: viola del pensiero. Dal francese “pensée”.
Papàgnu: schiaffo, ceffone dato ai bambini. Voce onomatopeica da “pappa”.
Pàpara: papera, anche donna sciocca. Voce onomatopeica, probabilmente dal greco “pappazèin”, o dallo spagnolo “parpàr” (gridare a modo delle oche), dal grido che emettono quando sono spaventate o accorrono per mangiare.
Paparannu: nonno. Dal latino “pater” (padre) e “grandis” (avanzato di età).
Papariàre: bighellonare, girovagare, perdere tempo in attività futili, frugare. Stessa etimologia di “papara”.
Paparùne: il maschio dell'oca, sta anche per persona inconcludente, buono a nulla, maldestro. Stessa etimologia.
Papòcchia: raggiro, imbroglio, pastrocchio, fandonia. Derivato da “pappa” con suffisso dispregiativo, o anche dal greco "pomphulòs".
Papògna, paposcia: proboscide. Potrebbe derivare dalla maschera latina atellana “pappus”, che presentava naso bitorzoluto e grosso.
Papogna: papavero. Da un decotto ricavato dal lattice che esce dalla capsula di un tipo di papavero, previa incisione, si ottengono sostanze varie (morfina, codeina, papaverina ed altri alcaloidi, ottimi analgesici), che provocano anche sonnolenza, mentre i semi all'interno sono privi di queste molecole. Questo infuso, unito a miele, o a camomilla, veniva usato soprattutto nel trattamento delle coliche addominali dei bambini: se ne imbeveva uno straccetto che si faceva succhiare, ed il risultato era assicurato. L'etimologia del termine credo possa derivare dal greco "poa" (fiore) e "oneiros" (sonnolenza), forse attraverso una ripetizione del primo vocabolo (paopo).
Papogna (foto di Maria Grazia Grispino).
Paposcia: oltre che grosso naso, significa anche ernia inguinale. L'etimologia possibile è da un tardo latino “papus” (rigonfiamento), con il suffisso modale “osa”, femminile di “uso”, oppure con l'aggiunta del greco “entoshia”, intestino. Vorrei aprire una parentesi sulle varietà di vocaboli che, in tarsiano. indicano l'ernia. Il termine “ernia” deriva dall'unione del latino “hira”, intestino, e dal greco “èrnos”, ramo (quindi prominenza dell'intestino), ed è specificato dagli aggettivi inguinale, scrotale, addominale (ce ne sono altri che non sto qui a spiegare). A Tarsia, invece, “cuglia” è l'ernia scrotale; “guaddhrara” è l'ernia addominale, “paposcia” è l'ernia inguinale.
Pappagàddhru: sciocco, che ripete cose dette da altri, che non ha una sua opinione. Dal greco bizantino “papagàs”, adattamento dall'arabo “babagha”.
Pappamùsca: sciocco. Sempliciotto. Dalla spagnolo “papasmuscas”.
Papparùnu: vecchio rimbambito. Da “pappus”, personaggio della commedia latina del genere atellana. La commedia atellana è la più antica forma di teatro conosciuta, in uso già nel IV° sec. a. C.; era un teatro itinerante, basato più sull'improvvisazione che su un canovaccio costante, in lingua osca. I personaggi erano cinque: Maccus ( lo sciocco, gran mangione), Pappus (vecchio rimbambito), Buccus (il fanfarone), Dossennus (gobbo furbo), Kikirrius (il gallo parlante). A quest'ultimo sembra sia ispirato il personaggio di Pulcinella, sopravvissuto nel tempo.
Pappuliàre: mangiare avidamente. Dal latino “pabulor”.
Pappùtu: grassoccio, ben messo. Da “pappa”.
Papùscia: pantofola, scarpa bassa, anche qualcosa di molle, floscio, flaccido. Dallo spagnolo “papos”, o dal francese “babouche”; ma sia lo spagnolo che il francese derivano dal turco “papusc”. Anche in dialetto veneziano è “papuzza”, per cui io credo che il termine sia stato introdotto, prima in Italia, poi in Francia e Spagna, in seguito ai frequenti commerci, e guerre, che la Repubblica di Venezia ha avuto con i Turchi Ottomani. Su indicazione di Maria Grazia Grispino, il termine sta a precisare anche una ricetta del Gargano, forse per similitudine di forma con la pantofola.
Paraepàtta: partita finita in pareggio. Dal latino “para et pacta”.
Paràggiu: vicinanze, dintorni. Dallo spagnolo “paraje”.
Paraggiu: discendenza, condizione sociale. Termine in disuso. Dal francese provenzale “parage”, parentela.
Paràre: porgere, preparare, allestire, guidare al pascolo, anche allontanare, scacciare. Dal latino “parare”.
Parausta: balaustra. Dal latino “balaustium”, fiore di melograno selvatico. In origine, il parapetto che separa il presbiterio dalla navata era formato da tante colonnine sormontate da una cimosa, la cui forma ricorda il fiore del melograno selvatico.
Paravìsu: paradiso, nella locuzione “'mparavis vò ghésse”, che possa essere in paradiso, per augurare a qualcuno ogni bene. Dal latino “paradisius”, a sua volta dal greco “paradeios” (giardino, parco incantevole).
Parca: pare che, sembra che. Dal latino “pareo hac”.
Paricchiàta: terreno che può essere arato in una giornata da due buoi aggiogati. Dal latino “pariculus”.
Parìcchiu: coppia di buoi aggiogati al carro o all'aratro. Da un tardo latino “pariculus”.
Parìglia: coppia di animali. Stessa etimologia di "paricchiu".
Parìglia: contraccambio, pariglia. Dal francese “pareille”, ma con la stessa etimologia latina.
Parìnchiere, pirìnchiere: riempire un vaso fino al colmo. Dal latino “per implere”.
Parlasìa: parlottare, cicaleccio, chiacchiericcio. Dal greco “parresìa”, libertà nel parlare (Demostene, III sec. a. C.).
Pàrma: ramo di ulivo che si porta in chiesa la domenica delle Palme. Dal latino “palma”.
Parménta: ragazza di bella presenza, voce forse riferita al portamento alto e slanciato dell'albero. Stessa etimologia.
Parmìjntu: vasca larga e poco profonda, con pareti di mattoni o calcestruzzo, o di legno, o anche scavata nella roccia, usata per la la pigiatura dell'uva e la fermentazione del mosto. Forma contratta dal latino “pavimentum” a sua volta derivato da “pavio”, battere, e quindi suolo battuto per calpestare. A Tarsia, che io sappia, ne è rimasta soltanto una, situata “ara cava”. Nell'espressione “sta mangianni a ddui, o a quattru parmijenti” si fa riferimento a chi mangia con ingordigia, avidamente, anche in senso traslato, con allusione a guadagni e profitti illeciti, soprattutto da parte di chi ricopre cariche pubbliche.
U parmijntu ara cava.
Pàrmu: palmo della mano. Dal latino “palmus”, misura lineare.
Parriddhra: cinciallegra, è termine in disuso. L'etimologia è dal latino "para", come anche il suo nome scientifico "parus major".
Parriddhra (foto di Maria Grazia Grispino).
Pàscere: pascolare, portare al pascolo. Dal latino “pascere”.
Pasciùtu: ben nutrito. Stessa etimologia.
Pascùnu: scampagnata che si fa il lunedì di Pasqua. Riferito a Pasqua, dal latino “pascha”, greco “pàsca”, ebraico “pesach”. Secondo i Vangeli, dopo la crocifissione Gesù apparve ai due discepoli, in cammino fuori dalle porte di Gerusalemme, il giorno dopo la Pasqua.
Paspàre, paspuliàre: tastare, palpeggiare. Per cambio di consonante, dal latino “tastare”, a sua volta unione di “tangere” e “gustare”.
Paspuni: a tentoni. Stessa etimologia.
Passettu: luogo del paese. Dal latino “passus”. Tra i vari significati, ha anche quello di passaggio obbligato, un incrocio vigilato di più strade con luoghi di controllo militare.
U passettu (foto di Antonio Ameruso).
Passiàre: passeggiare, andare a spasso. Derivato dal latino “passus”, attraverso uno spagnolo “pasejar”.
Passulùne: fico maturo e seccato. Dal latino “passum”(steso a seccare, ad appassire).
Pasta grattata: piatto semplice e povero della cucina tarsiana. Si prepara un impasto con circa 100 grammi di farina, acqua e sale, fino a che diventa solido (nel caso si aggiunge ancora della farina), si lascia a riposo per qualche ora, e poi si grattugia; si mette a bollire il grattato 'ndu brod'i gaddhrina o palummu (già preparati) per circa 10-12 minuti e si serve caldo con una spolverata di formaggio ed un filo d'olio.
Pasta grattata.
Pastìddhru, pistìddhru: castagna secca sbucciata. Dal latino “pistillum”.
Pastinaca: vedi “bastinaca”.
Pàstinu: termine in disuso, sostituito, nel parlare comune, da “scasciu”. Era un'operazione di dissodamento del terreno. La differenza consiste nel fatto che il secondo termine, scasciu, veniva adoperato per ciò che riguardava tutte le coltivazioni, mentre il primo, pàstinu, si riferiva al terreno arato e zappato per la piantagione della vite. Dal latino “pastinum”, terra zappata (vineam in pastinato serere, zappare il terreno per la vite, Plinio secondo il vecchio, I sec. d. C.).
Pastùra: terreno erboso dove si portano glia animali al pascolo. Dal latino “pastus”; “pastos boves agere ad flumina”, condurre i buoi al fiume dopo il pascolo (Virgilio Marone, I° sec. a.C.).
Pasturijeddhru: riferito soprattutto ad animali, è il malleolo, la caviglia dove si legano le pastoie. Da un tardo latino “pastoria”, derivato da “pastus”.
Patacca: vocabolo presente anche nella Francia meridionale. Antica moneta spagnola, di grossa dimensione e pesante, ma di scarsissimo valore. Denominazione di quegli oggetti (per esempio un orologio) che si vogliono far passare per antichi e di valore, a scopo di truffa. Dallo spagnolo “bataca”, a sua volta dall'arabo “abù taqa”, letteralmente “padre della finestra”, nome con cui gli arabi chiamavano le antiche monete spagnole, larghe come piastre, sulle quali erano impresse le colonne d'Ercole ( i cosiddetti Colonnati dello Stretto di Gibilterra), simili nella figura ad una finestra, “taqa” in arabo.
Patàna: patata, anche donna deforme, di bassa statura. Dallo spagnolo “patata”; voce sudamericana, dal vocabolo “papa” ( di origine quechua, popolo delle Ande) incrociato con “batata”, (di origine haitiana), per somiglianza dei loro tuberi. La “papa” era la patata comune, la “batata” era la patata americana.
Patéddhra: rotula del ginocchio. Dal latino “patella”.
Patìri, patìsciri: soffrire, provare sofferenza, tribolare, penare, patire. Dal latino “pati”, a sua volta dal greco “pathein”.
Patrunu: padrone. Dal latino “patronus”, protettore, difensore. L'ho citato per introdurre un gioco, “patrunu e suttu”, che si faceva nelle osterie, e adesso nei bar.
Patùtu: sofferente, emaciato, cagionevole, malaticcio. anche trovarsi nei guai. Stessa etimologia di “patìri”; “ài patutu ' chiuov'i Christi”, ho sofferto i chiodi di Cristo.
Paùnu: pavone. Dal latino “pavo”.
Péddhra: pelle. Dal latino “pellis”.
Pedi: piede, parte inferiore della gamba o di una pianta. Dal latino “pes”. “Ti salutu, ped'i fichi” ( è una sorta di commiato o di liberazione da un impegno gravoso).
Pedicatapede: camminare piano, un passo dietro l'altro lentamente. Dal latino "pedetentim".
Petra: sasso, pietra. Dal latino “petra”, a sua volta dal greco “péthra”.
Pézza: pezza, di solito di tessuto; anche forma di cacio. E' un tardo latino “petia”, derivato dal celto “pettia”, da cui anche il francese “piece”.
Piacìre: piacere, aggradire. Dal latino “placere”.
Pìca: ghiandaia, un tipo di gazza. Dal latino “pica”. Se ne conoscevano di due tipi: “a gliannara” e “ a marina”.
Pica marina. Pica gliannara.
Picata: cerotto, impiastro. Termine ormai in disuso. Era un mezzo curativo, costituito da una pasta composta di sostanze vegetali, raccolta in un panno sottile e applicata calda sulla pelle, a scopo emolliente, sedativo o revulsivo; era usata dagli anziani ed applicata perlopiù sulle tempie. Probabile derivazione dal greco “cata-plasso” (spalmare), con eliminazione del secondo termine, o forse sempre dal greco "pego" (attaccarsi). Ma questa etimologia non mi convince molto, è più probabile la derivazione dal latino “pix, picis”, pece, con un derivato verbale “piciare, picare”, attraverso il suo participio passato “picatus”.
Pìcca, pìccu: un poco. Da una voce germanica: affine a “picco” (punta); oppure da voce onomatopeica, sempre celtica, “pikk” (parte minuta, porzione, frammento). E' un adattamento germanico del latino “paucum”. O forse anche dal greco "miccon" (poco).
Picchì: perché.
Picciàri, piccìju: piagnucolare, lagnarsi, fare le bizze, mostrarsi insoddisfatto in tono piagnucoloso; fare molestie, seccatura, fastidio; e anche jettatura. Da un tardo latino “piclare”, voce verbale derivata da “picus”(picchio), a sua volta da una radice onomatopeica celtica “pikk”; in francese “piquer”(punzecchiare, provocare, irritare). Nei primi significati ha una chiara derivazione dal latino; nei secondi dal francese; nell'ultimo, la derivazione è ancora latina, tenendo presente che il picchio era l'uccello che simboleggiava Marte, dio della guerra, importante per i presagi e per gli oracoli e che, sembra, abbia nutrito, insieme alla lupa, Romolo e Remo.
Piccirìddhri: piccolino, forma vezzeggiativa, formatasi da una radice onomatopeica di origine celtica “pikk”; “picciriddhri e malu cavatu”, piccolo e mal cavato, cioè di chi è piccolo ma molto furbo.
Picciùnu: colombo. Da un tardo latino “pipio”, derivato di “pigolare”, con passaggio da “p” a “cc”, per un traslato meridionale; o forse dal francese "pigeon". Anche donna attraente.
Picòzza: piccone. Derivato da “picco”.
Picu: picchio. Dal latino “picus”, forse formata da voce onomatopeica “pic”per l'abitudine di battere con la punta del becco il tronco degli alberi. Nell'espressione “n'ami sintuti fishchi i pichi” ci si riferisce a promesse non mantenute, a parole dette a vuoto (forse perché nel Medioevo era ritenuto uccello messaggero di cattive notizie). Come si sia arrivati a questa locuzione non è possibile sapere. Posso fare delle ipotesi, affascinanti e leggendarie. Secondo Ovidio, in origine Pico, fondatore di Albalonga, nonché divinatore ed aruspice, respinse le profferte amorose della maga Circe e fu da questa trasformato in uccello: come per tutti i divinatori, non sempre le loro profezie si avveravano, da qui il detto che non tutte le promesse possono essere mantenute. In alternativa, la simbologia cristiana attribuiva al picchio il rifiuto di aiutare Dio nel creare le acque, tipo fiumi, torrenti e ruscelli; fu punito per questo suo rifiuto, con il divieto di bere acqua caduta per terra, ma di accontentarsi di quella depositata sulle foglie o sugli alberi; per questo si crede che il fischio ripetuto del picchio sia foriero di pioggia imminente, il che non sempre è vero.
Picunàta: colpo inferto con il piccone. Stessa etimologia.
Picùni: piccone, derivato da “picco”.
Picuniàre: percuotere, battere, dare pugni. Dal greco “piugmè” (termine omerico).
Picùnu: contadino, campagnolo, rozzo, ignorante. Probabilmente da chi lavora con il piccone. Stessa etimologia di “picuni”.
Picùozzu: frate converso, frate laico che va alla questua. Dal francese “bigot”, termine dispregiativo dato ai Normanni, forse per il loro intercalare, in inglese antico, “bi God”. Si dice di persona che mostra zelo eccessivo più nelle pratiche esterne che nello spirito della religione. Un'ipotesi alternativa potrebbe far derivare il termine da un tardo latino “bigiosius”, cioè bigio, dal colore della mantellina simile alla cera, che per metatesi si è trasformato in “picotius” e quindi "picuozzu". O ancora dal greco "ptochos" (mendicante).
Picuràri, picurariéddhru: pecoraio. Dal latino “pecus”.
Picurùni: carponi, con le mani in terra, simile alla pecora. Stessa etimologia.
Pidata: calcio, oppure orma del piede, traccia lasciata dalla selvaggina. Dal latino “pes”.
Piddhrizzùni: pelle, cute, anche cencioso, straccione. Dal latino “pellis”, oppure dal francese “pelizòn” (sovragiacca di pelle di animale usata dai pastori).
Pidicùne: ceppo, o piede dell'albero. Dal latino “pes”.
Pìditu: scoreggia, peto. Dal latino “peditum”.
Pidìzzi: riferito al letto, dalla parte dei piedi, opposto al capezzale. Dal latino “pes”; “fammi trasi ari pidizzi, cà pù larghi mi fazzi”, datemi un'opportunità che saprò farmi valere.
Pidùcchiu: pidocchio. Dal latino “peduculus”. ”I sordi fan'i sordi e i piducchi piducchi” (chi è ricco, si arricchisce di più, chi è povero lo rimane).
Piducchiùsu: avaro, spilorcio, pidocchioso, sudicio. Stessa etimologia. Il significato è adottato in senso metaforico: come il pidocchio striscia alla ricerca del cibo, le squame epiteliali, così l'avaro si comporta in senso elemosinatorio.
Pìennice: grappolo d'uva. Dal latino “pendix”.
Pìergula: pergola, loggia. Dal latino “pergula”.
Pìernu: cavicchio, perno. Dal latino “perna”, a sua volta dal greco “perao”, penetro, passo attraverso (termine omerico).
Piétanza: pezzo del filetto di maiale che si donava ai vicini di casa. Dal latino “pietas” (devozione, rispetto), attraverso il significato di cibo straordinario che si dava ai monaci in certe ricorrenze; oppure da un tardo latino “pictantia”, piccola moneta di rame coniata a “Pictavum” (odierna Poitiers in Francia) di poco valore, che si usava dare ai monaci come obolo. Un altro uso della “pietanza” era quello di far recapitare, ad un amico cacciatore, un pezzo della selvaggina uccisa, mentre ad un avversario della battuta si riservavano le orecchie, o la coda, in segno di sfottò.
Pigliaepòrta: pettegolo.
Pignàta: pignatta. Dal latino “pinea” per somiglianza di forma; in spagnolo “pinata”. "I guai da pignata li sad'a cucchiara" ( i guai delle pignata li conosce il mestolo).
Pignatàru: che fa o vende pignatte. Stessa etimologia.
Piguliàre: piagnucolare, pigolare dei pulcini. Dal latino popolare “piulare”, oppure voce onomatopeica dal greco “pipizein”.
Pìgulu: piagnisteo, lagna, lamento continuo. Stessa etimologia.
Pijcuru: maschio della pecora. Da un latino volgare “pecorus”. “A sorta d'ù pijcuru, nascia curnutu e mora scannatu”, la sorte del montone che nasce cornuto e muore ucciso: riferito a chi, oltre al danno, deve subire anche il dileggio, l'onta.
Pijttini: pettine, oppure telaio e cornice di varie dimensioni su cui le api depositano il miele. Dal latino "pecten".
Pijttini.
Pìla: denaro, soldi. Dal latino “pila”, nome dato al controconio per coniare monete.
Pilàre: pelare, tagliarsi i capelli, pelare il maiale ucciso scottandolo con acqua bollente. Dal latino “pilus”.
Piliari: cercare pretesti, cavilli futili per attaccare briga. Dallo spagnolo “pelear”, comunque di derivazione latina “pilus”.
Pilìgna: sorta di panno o coperta che veniva messa sotto il basto e sopra il dorso dell'asino. Dal greco “pilema” lana condensata e compressa (Callimaco, III° sec. a. C.).
Pilucca: sbornia, grossa bevuta di vino. Dallo spagnolo catalano “peluca” (ubriachezza). Il termine potrebbe essere riferito al gergo militare di soldati spagnoli di origine aragonese durante la dominazione borbonica.
Pilùsciu: felpa per guarnizioni, anche morbido e liscio. Dal francese “peluche”, da un tardo latino “piluccare” (togliere i peli).
Pilùsu: peloso. Dal latino “pilus”.
Piniàre: soffrire, vivere una vita di stenti, angosciarsi, tormentarsi, fare qualcosa a fatica e con sforzo. Dal latino “poena”, a sua volta dal greco “poinè” (termine omerico); “in tanta vitae poena”, in mezzo a così grave sofferenza della vita (Plinio, I° sec. d.C.).
Pìnna: penna. Dal latino “penna”.
Pinneddhra: sorta di fungo.
Pinnénte: per niente, per nessun motivo. Dal latino “per nec intem”.
Pinnénte: pendio, pendente, declivio. Dal latino “pendo”.
Pinnintivu, (pindintiff): (io l'ho sentito così, ma potrei anche sbagliarmi, la memoria può fare brutti scherzi). Era un ciondolo, un pendaglio di pietra; dall'unione di più termini tardo latino medievale "pinna" "pendere" e "tivula", cioè "pietra che pende come una piuma". Il termine in origine (1500), e soprattutto in Francia, (“pindintiff”) era usato in architettura e si riferiva ad una pietra, o marmo, a forma di triangolo, inserita in sfera tra grandi archi che supportavano una cupola; soltanto verso la fine del 1700 ha assunto il significato di "monile di pietra sospeso al collo da una catenina" e, comunque, si è formato sul participio presente del verbo latino "pendeo".
Antenata di Massimino Siviero. Al collo porta “u pinnintivu”.
Pinnìnu: discesa, verso il basso. Stessa etimologia. E' usato anche per indicare un luogo geografico indefinito; “ghè iutu stu munnu a pinninu”, è emigrato. “Quanni 'un po' piglià addhrirta pigli'u pinninu”, se trovi degli ostacoli cambia soluzione al tuo problema.
Pinnìnu: la punta in metallo che si attingeva nell'inchiostro per scrivere. Diminutivo di “penna”.
Pìnnula: pillola. Dal latino “pilula”.
Pìnnuli: sopracciglia. Dal latino “pendeo”.
Pinnuliàre: piluccare l'uva, spizzicare, mangiucchiare. Probabile unione di due verbi, “pilare” (pelare, ma anche mangiucchiare) e “pendulum” (cosa sospesa) derivato da “pendére”.
Pinuuzzulu: nocciolina, termine riferito sia ai pinoli, sia alle arachidi, sia alle nocciole. Si possono dare varie spiegazioni etimologiche. Pinolo: è il seme del pino, contenuto nella pigna; dal latino “pinus”. Arachide: in dialetto tarsiano erano dette “spagnuletti”: se riferito a questo termine, la spiegazione più semplice è che, nel baccello, sono sempre presenti due elementi. Nocciolina, frutto del nocciolo: la caratteristica di questa pianta è nel presentare infiorescenze e frutti accoppiati a due a due, a piccoli grappoli. Negli ultimi due casi la derivazione è dal latino dal latino “bis”, doppio, e “nuculeus”, diminutivo di “nux”, noce. Da scartare, nel modo più assoluto, la derivazione dall'inglese “peanuts” (noccioline); a sostegno di questa affermazione c'è senz'altro il fatto che i nostri antenati conoscevano il frutto ben prima della pubblicazione delle strisce di Schultz (quello di Linus, per intenderci): in qualche modo dovevano pur chiamarlo.
Pipàzzu: peperone, più propriamente riguarda la forma di peperone corto. Dal latino “piper”.
Pipitiàre: parlare sottovoce, bisbigliare. Voce onomatopeica, dal latino “pipiare”, oppure dal greco “pipizo” (parlare sottovoce). Un'ipotesi alternativa, alquanto fantasiosa, mi farebbe pensare anche al termine pipita, dal latino “pituita”, malattia della lingua degli uccelli, che si ispessisce ed indurisce, impedendo al povero pennuto di deglutire, per cui questo è costretto a tenere il becco semiaperto.
Pippiàre: fumare in generale, fumare con la pipa in particolare. Dal francese “pipe” (anticamente, cannuccia).
Piràinu: pero selvatico. Dal latino “pirago”.
Pirainu.
Pìrchiu: avaro, spilorcio. Dal latino “parco” (risparmiare, fare economia, anche essere spilorcio), attraverso il suo tempo passato “peperci” (tramite eliminazione del “pe” e tenuto conto che la “c” latina si pronunciava “chi”). Potrei tentare altre analisi che, però, hanno bisogno di spiegazioni. Il suo significato italiano è anche tirchio, dal latino “tetricus” (aspro, austero), da qui si potrebbe avere pirchio per sostituzione di consonanti; oppure potrebbe avere la stessa derivazione dell'italiano spilorcio, dallo spagnolo “pelon”, spelato, povero, anche cosa vile. Il primo tentativo è quello che mi convince di più.
Pircettu: attrezzo da calzolaio con cui bucava la suola. Stessa etimologia di "pirciare".
Pirciàre: bucare, forare. Dal latino “pertusiare”, oppure dal francese “perciér”.
Pircòcu: albicocca. Dal latino “persica praecoqua”, oppure dal greco “praicòchion” (Dioscoride III° sec. a. C.); in arabo “albaqurq”.
Pirdiénza: perdita. Dal latino “perdentia”, participio presente plurale neutro da “perdere”; “ e cum'à ditta Renza Renza adduve c'è gustu 'un c'è pirdienza”, come ha detto Renza dove c'è gusto non esiste perdita. Il detto mi dà l'occasione di parlare di “wellerismo” (dal nome di un personaggio del romanzo Il circolo Pickwick dello scrittore inglese Charles Dickens): cioè una frase, un proverbio, di solito espresso tra il serio ed il faceto, attribuito ad un personaggio reale o immaginario. In questo caso, non si sa bene chi sia stata questa Renza.
Pirdunàre, pirdùgnu: perdonare, perdono. Da un tardo latino “perdonare”, a sua volta derivato da “condonare”, per sostituzione di prefisso.
Piréttu: piccolo recipiente a forma di pera, che serviva da clistere per introdurre acqua calda e sapone nell'ano; anche agrume dolce e profumato. Da “pirus”, oppure dal francese “poirét”.
Piri: albero del pero. Dal latino “pyrus”. Le varietà presenti nel territorio di Tarsia sono molteplici: pira riali, janca, dijci, ficadijddhri, strafucagatti, u musckarijddhri (o piriddhri), sangiuvanni, pira limuni, a spatuna, virnili, pir'maj, forcongini, pira coscia, e piri afficatati.
Pirinchjiri: riempire, ricolmare, rabboccare un recipiente fino all'orlo. Dal latino “perimplere” (riempire del tutto) derivato da “implere”, oppure dal greco “peri ingheo”.
Piripàcchiu: gioco di carte, in cui l'asso prende tutto. Credo che derivi dal greco "peri" (particella enclitica che accresce valore alla parola a cui va unita), e "pachùs" (grosso). Giocare a piripacchiu significa anche "l'asso prende tutto".
Pirnàcchia: beffa, l'atto di canzonare qualcuno facendogli schiamazzo dietro, burla. Derivato da un originario “vernacchio”, dal latino “vernaculus” (scurrile, osceno, volgare), a sua volta da “verna” (schiavo nato in casa, anche mascalzone, sguaiato, canaglia); “vernacula moltitudo”, una folla di delinquenti (Cornelio Tacito, II° sec. d.C.). Secondo Indro Montanelli (Storia di Roma, 1957), era uno sberleffo irriverente con cui i popoli vinti salutavano i Romani che entravano nelle loro città e che, a quanto pare, sulle prime fu preso per un'espressione di benvenuto.
Pirnìce: pernice, coturnice, starna. Dal latino “perdix”, a sua volta dal greco “pèrdigs”.
Pirnìce.
Pirrupàre, pirrùpu: precipitare, cadere da una certa altezza. Dal latino “per rupe”, dal verbo “rumpo”; “asellus protrusit in rupes”, l'asinello cadde in un precipizio” (Orazio Flacco, I° sec. a.C.).
Pirtùsu: foro, buco. Dal latino “pertusium”, formato da “per”, attraverso e “tundere”, battere, e quindi forare, bucare.
Pirùni: prugno. Dal latino “prunus”, a sua volta dal greco “proynos”. “U piruni dicia ghùnu”, invito a piantare soltanto un albero di prugna, data la capacità di questa pianta a formare getti alla base.
Piruuzzulu: termine in disuso. Cavicchio, piccolo perno che si conficcava nel muro o nel legno. Dal greco “peiròs”, perno, o qualsiasi cosa che si infila e passa da parte a parte.
Pisàre: trebbiare. Dal latino “pisare” (pestare, pigiare, battere, triturare, macinare). Prima dell'utilizzo della trebbia, le spighe di grano venivano schiacciate, pestate, da una grossa pietra (a triglia) trascinata dai buoi sull'aia.
Piscàre: pescare, sorprendere, cogliere. Dal latino “piscari”.
Piscia: urina. Stessa etimologia.
Pisciàcchia, pisciàzza: orina, termine riferito agli animali. Dal francese “pissace”, dal verbo “pisser” da un tardo latino “pissiare”.
Piscialìuttu: soffione, infiorescenza del tarassacco; forse per allusione alle sue supposte proprietà diuretiche; in modo scherzoso, ci si riferisce così anche ai bambini. Dal francese “pisselit”.
Piscialijttu.
Pisciaréddhra: pene dei bambini. Stessa etimologia.
Pisciatùru: vaso che contiene l'urina. Voce ironicamente dispregiativa, se riferita a persona. Stessa etimologia.
Piscicantannu: è il maschio della rana, cosiddetto perché, appena sotto la superficie dell'acqua, i suoi vocalizzi sono facilmente udibili.
Piscrài, pescrài: termine ormai in disuso. Dopodomani, il secondo giorno dopo oggi. Dal latino “post cras” (ma non mi convince molto) oppure da “bis cras”.
Piscratarùozzulu: termine ormai in disuso. Il quinto giorno dopo oggi. Dal latino “bis cras ulterius”, oppure “post cras ulterius” (“ulterius” è utilizzato come comparativo avverbiale).
Piscrìddhri: termine ormai in disuso. Dopo dopodomani, cioè il terzo giorno dopo oggi. Dal latino “bis cras ille”, oppure “post cras ille”.
Piscrùozzul: termine ormai in disuso. Il quarto giorno dopo oggi. Dal latino “bis cras ultra”, oppure “post cras ultra”.
Pisìddhru: pisello. Dal latino “pisum”.
Pistìddhri: castagne arrostite. Dal latino “pistillum”.
Pìsulu: soffice, leggero, sospeso dall'alto. Dal latino “pensulus” per “pensilis”; “pisulu pisulu”, prendere di peso sulle braccia come una piuma.
Pitàle: vaso da notte, orinale. Dal latino “peditale” forma di “peditum” (dove si fanno i peti).
Pitìna: parte di cute che si stacca attorno alle unghie. Da un tardo latino “pipita”.
Pitràta, pitriàre: sassata, tirare sassi, pietre. Dal latino e dal greco “petra”, ma anche dall'osco “petora”.
Pitrénnere: pretendere. Dal latino “prae tendere”.
Pitruddhri: gioco delle cinque pietruzze: consisteva nel lanciarne in terra in numero di cinque, e nel raccoglierne, dapprima una, poi due etc, insieme ad una lanciata in aria; vinceva chi era abile a raccoglierle tutte in un colpo solo.
Pitrusìnu: prezzemolo. Dal greco “petrosèlinon”, composto da “petra” e “sélinon” sedano (Dioscoride, III° sec. a. C.). “Pitrusinu ppì ogni minesta”: riferito a chi si intromette in ogni discussione, come il prezzemolo si usa mettere nelle minestre. “Giuvineddhre ca jata all'acqua/ ummi tuccati lu pitrusinu/cà maritimi ghè mienzu pazzu/ e sa piglia ccù li vicini”: era una filastrocca che si recitava durante le farse carnevalesche.
Pitrusìnu.
Pittàre: dipingere, anche imbiancare, dare colore alla casa. Dal latino “pictum”, participio passato di “pingo”; “palloribus domum pingunt”, imbiancano la casa con colori chiari (Lucrezio Caro I° sec. a.C.).
Pitta: focaccia di pane schiacciata. Dal greco “pitta”.
Pitta ccù patani e cancarjcchj fritti.
Pitta ccù maj: focaccia a base di fiori di sambuco. Si prepara un impasto con 500 gr. di farina, un uovo, lievito di birra sciolto in acqua, fiori di sambuca inumiditi con un po' di olio, sale e pepe quanto basta; formare dei piccoli panetti e tenerli a lievitare, coperti da un canovaccio, per qualche ora, quindi cuocerli in forno caldo.
Pitta ccù maj (foto di Maria Grazia Grispino).
Pìttima: noioso, lagnoso, riprensivo, chi riprende biasimando. Dal greco “epìtìmema” (Platone, IV° sec. a. C.).
Pittinìssa: fermaglio per capelli, anche piccolo pettine con denti molto stretti. Variante dal latino “pecten”.
Pittirussu: pettirosso. Uccello passeriforme (erithacus rubecola).
Pittuliddhra: frittella di farina impastata che si mangia a Natale.
Pizzenda: pentola in rame stagnata per caseificazione della ricotta. La probabile origine etimologica è data dall'unione del vocabolo greco “pizos” (recipiente) e del termine latino “pendulus” (recipiente da star sospeso sul fuoco).
Pizzenda.
Pizzénte: mendicante, pezzente. Dal latino “petiens” (colui che chiede), participio presente di “petere”.
Pizzentéria: condizione misera. Stessa etimologia.
Pizziàre: fare a pezzi, tagliare, separare, arrecare un danno morale o materiale a qualcuno, rovinare. Voce verbale da un tardo latino “petia”, a sua volta dal celtico “pettia”.
Pizzìennu: andare mendicando. Dal latino “petiendus”, gerundio di “petere”; “àh, chi vò jì pizziennu 'sti banni banni”, che tu possa andare mendicando dappertutto.
Pizzicàre: beccare, sorprendere, pizzicare, cogliere in fallo. Dallo spagnolo “pizcar” (pungere, mordere), oppure dal francese “pincer”.
Pizzicùnu: piccolo pizzico. Stessa etimologia.
Pizzintja: sinonimo di “pizzenteria”. “Ara pizzintja 'un cè sparagnu”: una condizione misera non può andare d'accordo con il risparmio.
Pizzu, pìzzulu: becco di uccello. Stessa etimologia.
Pizzuliàri: mangiucchiare, spilluzzicare, beccare. Dal latino "pitisto" (bere piano piano).
Pizzulùnu: piccolo, minuto, esile; “sà fatt nu pizzulunu pà vrigogna”, si è vergognato talmente tanto che è diventato piccolo piccolo. Dal latino “punctulum”.
Pizzutéddhra: specie di uva, a punta. Affine a “pizzo”, da voce onomatopeica “piz”.
Pizzùtu: appuntito, a punta, acuto. Stessa etimologia.
Pocca (poca): allora, perciò, infine. Potrebbe derivare dal greco dorico “pòcha” (talora, infine), o anche dal latino “postquam” (poiché), o “posthac” (dopodiché, quindi).
Podésca: forse, può essere che. Dal latino “potest esse quam”.
Podéssere: forse, può essere, può darsi. Dal latino “potest esse”, ma Plinio il Vecchio (I° sec. a. C.) lo usa come infinito “potesse”, dal verbo “possum”.
Pont'u vuddhru: toponimo. Situato alla confluenza dell'attuale via S. Sebastiano e Via Nova. Cosiddetto perché, probabilmente, vi confluivano le acque di due pendii. Se così fosse, potrebbe derivare dal latino “pons super bulla”, ponte situato sopra una raccolta, un ricettacolo di acqua.
Popogna: vedi “paposcia”.
Porcariùsu: sporco, zozzone. Dal latino “porcus”.
Pòsa: fondo, feccia. Dal latino “posum” o “positum”.
Pòsima: posatura del caffè. In origine era l'acqua di bollitura, ricca di amido. Dal greco “apòtsèo”, decotto, fermentato (Ippocrate, V sec. a. C.). Si intendeva, con questo termine, anche la salda, cioè una soluzione colloidale di amido in acqua, che veniva usata come appretto per i tessuti, con la quale si inumidiva la biancheria (colletto, polsi e sparato delle camicie) prima di stirarla, allo scopo di conferire rigidità e lucentezza.
Pòsta: luogo in cui il cacciatore attende la selvaggina. Dal latino “positus”.
Prandidùsu: largo, riferito di solito ad un vestito. Dal greco “plethuntichòs”, abbondanza, pienezza (Eusebio, III° sec. a. C.); tuttora, in alcune località di origine greca, nella provincia di Lecce, si usa un termine simile con lo stesso significato, “pranderìa”.
Prànzu, pranzùnu: grosso ramo di albero. Dal francese “planson” (più precisamente è il pollone che si trapianta), oppure da un tardo latino "prason" (ramoscello).
Pràtanu: platano. Dal latino “platanus”.
Prattunu: leprotto (leprottone). Dal latino “lepus”.
Préna: gravida, incinta. Dal latino “praegnans”; “uxor praegnans”, moglie incinta (Marco Tullio Cicerone, I° sec. a.C.).
Préssa: fretta, di corsa, pressa. Dal latino “pressia”. In spagnolo “prisa”, ed in francese “presse”, con lo stesso significato.
Pressarùlu: frettoloso, senza pazienza. Stessa etimologia; “a gatta pressarula à fatt'i figli cicati”, la gatta frettolosa ha partorito i gattini ciechi, nel significato che presto e bene non si conviene.
Préssu: perso, perduto. Dal latino “perditus”.
Pricacciàre, pricacciànte: guadagnare con mali artifici, essere esigente senza guardare in faccia a nessuno. Dal francese “percasar”, oppure dal latino “pro captiare” frequentativo di “capere” (prendere a proprio favore).
Pridicatùri: erano frati conventuali, invitati nella Settimana Santa; finita la Pasqua se ne ritornavano nei loro conventi.
Prìestu: presto, lesto, veloce, tra poco, entro breve tempo. Dal latino “praesto”, avverbio nella frase “praesto esse” (essere pronto, a disposizione).
Prìeviti: prete, sacerdote. Dal latino “presbyter”, a sua volta dal greco “presbìteros”, il più anziano (termine omerico); “fà cumu dicid'u prievitu e nò cumu fà”, segui i consigli del prete e non il suo esempio.
Prìezzu: prezzo, costo. Dal latino “pretium”.
Prigatòrio: purgatorio, da un latino ecclesiastico “purgatorius”. Zona agricola del paese.
Prighìjnchijre: riempire fino al colmo. Dal latino “prae implere”.
Prijìare: rallegrarsi, godere, gioire, compiacersi, allietarsi. Dal francese “preisier”, o dallo spagnolo catalano “prearse”. La voce francese è presente nel poema medievale dell'XI° secolo “La chanson de Roland”, sulla battaglia di Roncisvalle.
Prijstufò, prijstuddhrà: esclamazioni per allontanare un cane.
Priju: contentezza, gioia. Stessa etimologia di “prijiare”.
Prijzza: allegria, gioia, contentezza. Stessa etimologia.
Priméra: punto al gioco delle carte. Dallo spagnolo “primera”, voce attestata fin dal 1500.
Primintata: primavera. E' probabile che sia una derivazione dal francese "printemps".
Primintìja: primaticcio, primizia, di solito riferito a frutti o legumi. Da “primus”. Ha anche il significato di dapprima.
Primu: primo, prima. Dal latino ”primus”.
Primùra: cura, sollecitudine, anche fretta di arrivare. Dallo spagnolo “primor”, forse dal latino “prima res” (cosa di prim'ordine, di primaria importanza).
Pringignàre: industriarsi, darsi da fare, adoperarsi, ingegnarsi. Dal latino “ingenium”.
Prisa: presa di acqua per un canale d'irrigazione ad uso del mulino. Dal latino “prensum”. Anche una “prisa i tabacchi”, per chi fiutava.
Prisàma: dentatura. Dal latino “pressum” participio passato di “premo” (serrare, schiacciare).
Prisénte: regalo, dono, in un contesto e formula di cortesia. Dal latino “praesens”, participio passato di “praesum”.
Pristàri: prestare, adoperarsi, dare aiuto. Dal latino “prae stare”.
Prisùttu: prosciutto. Dal latino “prae exuctus” (asciugato, disseccato).
Profficijàre, prufficijàre: parlare male di qualcuno, malignare, anche insistere in malafede in un comportamento, ostinarsi a torto. Variante locale ed antica dal latino “perfidia”, attraverso lo spagnolo “porfisia”.
Pròjere: porgere, allungare qualcosa, avvicinare, passare. Dal latino “porrigere”.
Projùtu: l'atto del porgere. Stessa etimologia.
Pròpiu: proprio, per l'appunto, veramente, davvero. Dal latino “proprius”.
Prùbbrica: pubblico, dal latino “publicus”, forma contratta da “populicus”. “'A bonanima i zù Luigi 'u marit'i Maria 'u lecci”, che abitava a “Ciapparroni”, sosteneva che suo nonno, per indicare il denaro, usava il termine “prubbrica”. In effetti, la “pubblica” era una antica moneta di rame del regno di Napoli, così chiamata perché portava impressa la scritta “Publica comoditas”, del valore di sei tornesi o 3 cavallo.
Prufficìcchia: forfecchia, insetto dell'ordine dei dermatteri, la Forficula auricularia. Dal latino “forficula”, diminutivo di “forfex”.
Prufficicchia.
Prumìntiri: promettere. Dal latino “pro mittere”; “a chini duna, a chini pruminta”, riferito ad un attaccabrighe.
Pruvìdere: provvedere, dotare, far fronte. Dal latino “pro videre”.
Prùvula: polvere. Dal latino “pulvis”.
Pruvuliare: polverizzare, nel senso di ridurre in polvere qualcuno o qualcosa. Stessa etimologia.
Pruvulùnu: forma di formaggio, a palla sferica, fatto con latte di bufala. Probabilmente da una radice “probus” (riconoscere una cosa come buona), oppure dal greco "probaton" (pecora, quindi formaggio di pecora).
Pùca: resta della spiga. Dal latino “puca” (spina), dal verbo “pungere”.
Pùcchiu: pianta della famiglia cistacee; specie di fungo che cresce nelle vicinanze di questa pianta. La probabile etimologia potrebbe essere dall'unione del greco “polus” e latino ”cumulus”, sincopati in “plucmus”, perché questa pianta si presenta in molti piccoli cumuli.
Pucchiu.
Pucundrìa: ipocondria, tristezza. Dal greco “ipochondriacòs” (Galeno, II° sec. d. C.).
Puddhràstra: pollastro, anche ragazzotta. Dal latino “pullus”, giovane animale in genere, o da “pullastra”.
Puddhrìtru: puledro, riferito all'asino. Da un tardo latino “pulletrus”. derivato da “pullus equinus” (animale giovane).
Pùgliu: soffice, tenero, molle, anche pressato e riempito moderatamente. Non sono d'accordo con il linguista Rohlfs, che lo farebbe derivare dal latino “pullus” (animale giovane, anche germoglio); secondo me potrebbe derivare dal greco “apalòs” (tenero, delicato, molle, soffice).
Pugnétta: l'atto della masturbazione, anche uomo basso, debole ('na menza pugnetta). Dallo spagnolo “puneta”.
Pugnjiàre: prendere a pugni, anche rimestare la pasta. Dal latino “pugnus”.
Pùla: guscio dei chicchi di grano. Dal latino “apluda”.
Pulicària: pulicaria, pianta perenne e cespugliosa. Dal latino “pulicaria inula”, derivato da “pulex” per le dimensioni dei semi.
Pulicaria.
Pùlice: pulce. Dal latino “pulex”. “Puri i pulici tenan'a tussa”: anche i deboli fanno la voce grossa.
Puliciàre: agitarsi, fare movimenti scomposti di contorsione. Dal latino “pulex”.
Pulìtu: pulito, netto, anche stare bene in salute, anche bello, leggiadro. Dal latino “politus”;“pulitu pulitu”, con un certo garbo.
Pulizzàre: pulire, lavare, anche far fuori. Dal latino “polire”.
Pumiddhra: legatura del sacco. Dal latino “pomulum” (impugnatura).
Pummadòro: pomodoro. Da “pomus” (frutto) e “aureus”.
Pumpuseddhra: appariscente, fastosa, boriosa, anche civettuola. Da un tardo latino “pomposus”.
Pungiàta: fitta, punzecchiatura. Dal latino “pungere”.
Pungitùru: pungolo. Stessa etimologia.
Pungiutu: punto. Stessa etimologia.
Punijri: tramontare. Dal latino “ponere”, adagiare, porre, posare. Soltanto nel latino medievale ha assunto anche il significato traslato di “ponente”, cioè luogo dove si adagia il sole.
Pùniu, pùinu: pugno, dal latino “pugnus”; “pugnum facere”, serrare il pugno (Marco Tullio Cicerone, I° sec. a. C.).
Puntìddhru: pontello, sostegno. Derivazione probabile da “pons”.
Puntìnu: chiodo. Dal latino “punctum”, derivato da “pungere”.
Puntùnu: spigolo, angolo. Dal latino “punctum”.
Puntùtu, pintutu: pentito. Dal latino “poenitere”, con il participio passato “poenitus”.
Puntùtu: a punta, acuto, acuminato. Dal latino “pungere”. Participio passato “punctus”.
Punùtu: tramontato. Dal latino “ponere”. “S'à ricuotu ara punutu du sulu”: è tornato a casa al tramonto.
Puòrru: verruca volgare. Dal latino “porrum”.
Pupiddhra: dolce a forma di bambola che si prepara per la Pasqua. Dal latino “pupula”, bamboletta.
Pupiddhri (Foto e preparazione di Daniela Riccio).
Pùppita (pùppiza): upupa. Forse onomatopeico dal richiamo durante il periodo degli amori (hup..hup).
Pùppita.
Purcéddhra: scrofa, anche donna di facili costumi. Da “porcus”; “porcus foemina”, scrofa (Valerio Catullo, I° sec. a. C.). “A purceddhra lenda si sonna sembi a glianna” (la scrofa si sogna sempre la ghianda).
Purchiàcca: pianta della famiglia delle portulacee; genitale di donna vergine. Non si sa bene per quale connessione, forse per alcune proprietà curative della pianta, oppure per assonanza tra il termine “portulaca/porculata” e “porcus” (genitali di donna vergine, secondo Terenzio Varrone Reatino, I° sec. a. C.)), ambedue vocaboli latini. In alternativa a queste considerazioni, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra erba e genitali, si potrebbe pensare ad una derivazione dal greco “pyr” (fuoco) e “choilos” (fodero, faretra), con aggiunta del dispregiativo “aca”.
Purchiacca.
Purchiàre: germogliare. Dal greco “fuo”, essere generato, germogliare, nascere (termine omerico, Odissea) e dal latino “ortus”, participio passato di “oriri” (spuntare). Un'alternativa verosimile, seppure fantasiosa, potrebbe essere la derivazione dal termine latino “porca”, sostantivo che verrebbe trasformato nel verbo “porcare”, e quindi “purchiare”. “Porca”, in latino, può essere sia la scrofa, sia un piccolo rialzo di terra, tra due solchi di un campo seminato, perché ne copra i semi e quindi i germogli. Di quest'ultimo significato ne danno ragione sia Moderato Columella (I sec. d. C.), sia Terenzio Varrone (I sec. a.C.), sia Catone il Censore (III sec. a.C.). Ritengo inattendibile ed errata la derivazione proposta da Gerhard Rohlfs, secondo cui il termine potrebbe derivare da un tardo latino “porculare”, cioè produrre come una scrofa.
Purtugàddhru: arancio dolce. Il frutto, di provenienza orientale, è stato introdotto in Meridione dopo la scoperta della Cina, ma solo dopo molti anni coltivato in modo intensivo. Il termine potrebbe avere varie derivazioni: dal greco “portuchalì”, derivato dall'arabo “burtugàl”. Da notare che per “arancio” (dal persiano “narang”, o dallo spagnolo “naranja”) si intendeva il frutto amaro. Il termine “portogallo” è presente, comunque, in molti dialetti italiani; per esempio, il Pascarella (1858 - 1940), poeta dialettale romano, lo cita in un suo sonetto: …
Nonsignora, maestà! Lei si consija
co' qualunque sia ar caso de spiegallo,
e lei vedrà che er monno arrissomija,
come lei me l'insegna a un portogallo.
E basta avècce un filo de capoccia,
pé' capì che, dovunque parte taja,
lei trova tanto sugo e tanta coccia.
Pustàle: corriera. Dal latino “posta”.
Pustéma: ascesso. Dal greco “apòstema” (Ippocrate, V° sec. a. C.).
Pusterata: termine in disuso, autunno. Le mie interpretazioni possono essere due: o dal latino volgare “posterata” (tardivo), oppure sempre dal latino “pusturinata” (tempo in cui si coglie la frutta tardiva).
Pustìjere: impiegato alle poste, postino. Dal francese “postier”.
Putari: potare. Dal latino “putare”. “I niputi prima ti putini e pù ti sputini” (mai aspettarsi la riconoscenza dei nipoti); "puta e liga a jinnari, si vò ghinchij u ciddhrari" (consiglio agricolo: pota e lega a gennaio, se vuoi riempire il cellaio).
Putatùru: roncola. Dal latino “putare”.
Putiddhra: pianta con fiore simile a quello della camomilla, il cui nome scientifico è “cotula foetida”. L'etimologia è, appunto, da “foetida”.
Putiddhra.
Putìga: bottega, luogo di lavoro del sarto, del barbiere, del calzolaio etc. Dal greco “apotheca”; in origine, con questo termine, si indicava un luogo di deposito, ripostiglio o magazzino (Luciano, I° sec. d. C.); anche in spagnolo “botiga”.
Putigàra: bottegaia. Stessa etimologia.
Putighìni: rivendita di sale e tabacchi. Stessa etimologia.
Puurcu: maiale, porco. Dal latino “porcus”, a sua volta dal greco “porkos”. ”Criscia figli e criscia puorci”: non ti aspettare la riconoscenza, neanche dai figli. “A' fatti carn'i puurcu”: non ha guardato in faccia nessuno, ha fatto di ogni erba un fascio, ne ha tratto il massimo profitto.
Puzìnu: polsino. Dal latino, diminutivo di “pulsus”.
Pùzu: polso. Stessa etimologia.