lettera z - Tarsia dialetto

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Z

Non presenta alcuna particolarità rispetto all'italiano; nella pronuncia si preferisce addolcirla.

: voce in disuso. Monosillabo con il quale si incitavano i buoi, si chiamavano o si allontanavano le pecore. Credo che possa derivare dal greco "seio" (metto in movimento).

Za: zia. Da un tardo latino “thia”, a sua volta dal greco “theìa”. Termine adoperato anche come forma di rispetto per le donne anziane.

Zabbadéo: minchione, sciocco, credulone, semplicione. Da un tardo latino volgare “babbius”, con radice onomatopeica “bab”; in alternativa, potrebbe derivare dal greco "tzabòs".

Zaccaniùsu: vispo, molto vivace ma in malo modo. Dal greco “tzachainòs”, da “tzàchotos”, molto cattivo, stizzito, arcigno (termine omerico, Iliade).

Zaccarùsu: molle, effeminato, capriccioso, bizzoso. Dal greco “tsàccaron” ( dolce come lo zucchero).

Zaccuràfa: ago da sacchi. Vedi “saccurafa”.

Zaddhrarùsu: miserabile, pezzente, cencioso. Da un latino tardo e popolare “extractiatus” composto da “ex” e “tractus”, participio passato di “trahere”.

Zafaniari: calpestare, maciullare, ridurre in polvere. Dallo spagnolo catalano “xafardejiar”.

Zafaràna: polvere macinata di peperone. Dall'arabo “azzafaràan”.

Zafaràna.


Zagàglia, zigaglia: legacci per scarpe, legaccio per le zampe delle galline perché non si allontanassero. Dal greco “zingamos”, legaccio, connesso; non è sostenibile, credo, la derivazione dal latino “jugalia”, legacci che serravano il giogo dei buoi.

Zagaréddhra: fazzoletto che i contadini portavano al collo per il sudore; anche nastro, fettuccia, striscia di stoffa colorata. . Termine in disuso. Dal greco "seganè", oppure dall'arabo "zahar".

Zagarogna: allocco, gufo, ma in dialetto il sostantivo è femminile. La probabile etimologia è dall'arabo “safhara” (giallognolo), per accostamento del colore degli occhi di questo pennuto. Termine in disuso.


Zagarogna.

Zainu: zaino, carniera dei cacciatori, sacchetto di pelle dei pastori. Dal longobardo “zàina” (canestro).

Zallari:  termine in disuso. Cencio sporco, piccola chiazza di mota che resta attaccata ai vestiti schizzati di fango. Probabile derivazione dal longobardo “tsaklar” (goccia di acqua sporca). Anche cacherelli, sterco  (di pecora o capra, di topo). Mia madre diceva che “i zallari fan'i zelleri” (non ho mai capito cosa significa).

Zampànu: contadino, rustico, rozzo. Vedi "ciampanu".

Zampagliùnu: moscerino, zanzara, anche scarabeo stercorario. Forse perché dotati di grosse “zampe” rispetto al corpo.

Zampiàre: calpestare. Vedi “ciampiare”.

Zamprunu: zotico, villano, tanghero. Dallo spagnolo “zambumbo”.

Zampugna: zampogna. Dal greco “siumfonìa”, accordo di due o più suoni (Platone).

Zampugnàru: suonatore di zampogna. Stessa etimologia.

Zampunìa: confusione, disordine, non accordato. Stessa etimologia.

Zànca: fango, melma. Dal sanscrito “phsanka”, o da un germanico “pfangia”. ”Quanni chijova e 'ùn fa zanga, avant'a porta mìa mina bijntu”.

Zancàru: pozzanghera. Stessa etimologia.

Zanzaniàre: molestare, anche istigare. Da un tardo latino “zinzala”, forse da un germanico “zinzila”, voci onomatopeiche che imitano il ronzio fastidioso della zanzara.

Zapopa, zà popa: termine in disuso. E' una voce che ho sentito qualche volta da bambino. Letteralmente sta per “zia anca” e, per ampliamento semantico, donna sgraziata, goffa, dalla provocatoria andatura dondolante, per mettere in mostra le voluminose natiche, mostra favorita dalla ridondanza delle grosse gonne indossate, spesso ad arte, sui fianchi o sul fondoschiena; stante la sua ineleganza e cattivo gusto, è intesa anche come donna volgare, becera, triviale, incline al pettegolezzo ed alla chiassata. Credo che si possa far derivare da “” (zia) e “popa” (in slavo: parte posteriore del corpo umano): se così fosse, il termine è stato introdotto dopo il Medioevo, con la massiccia migrazione zingaresca. “'Nà vota c'era zà Popa/ jia cacanni stì voti voti/azziccata a 'nà tropp'i fichi/s'à scurciatu tutt'u viddhrichi/à jut'u maritu/e cià scippat'i fichi.

Zappa: zappa. Dal latino “sappa”, a sua volta dal greco “scàpane”, arnese da scavo (Teocrito, III° sec. a. C.).

Zappuliàre: sarchiare, zappettare. Stessa etimologia.

Zaricchji: sandalo di pelle grezza. Dal greco popolare “tzarìchion”; anche in turco “csarich”.

Zazzara: capigliatura lunga e disordinata. Dal longobardo “zazera” (ciocca di capelli). Da quello che sappiamo, i Longobardi erano soliti portare lunghe barbe, lunghissimi capelli spioventi sulla fronte e sulle orecchie e si rapavano la nuca. Potrebbe anche derivare dal latino “caesaries” (capigliatura folta, lunga e tagliata), da “caesus”, participio passato di “caedere” (tagliare).

Ziaréddhra: nome affettuoso dato alla zia o anche alle donne anziane. Diminutivo da un tardo latino “thia”, a sua volta dal greco “theios”.

Zibibbu: specie di uva, zibibbo. Dall'arabo “zabib” (uva passa).

Zibidéi: testicoli. E' una interpretazione popolare e scherzosa del nome di Zebedeo, padre degli apostoli Giacomo e Giovanni. I due Apostoli, nel Vangelo di Luca, sono citati sempre insieme, inseparabili; da qui la similitudine con l'organo in questione. Il termine è usato quasi esclusivamente nella frase “'ùn mi rump'i zibidei”, non mi rompere le scatole, non  mi infastidire, non mi seccare.

Zicàrru: sigaro. Dall'indiano “jicar” (foglie di tabacco), oppure dallo spagnolo “cigarro” (specie di tabacco dell'isola di Cuba).

Zich, zicca: poco. Da un probabile spagnolo “chica” (piccolo). Un'alternativa potrebbe essere il greco “spitx” (una briciola).

Zichi zichi: a pezzettini, a brandelli; “ti fazzi zichi zichi”, ti riduco a pezzettini come una salsiccia. Stessa etimologia.

Zichiddhricàri: solleticare. Dal latino “titillicare”, frequentativo di “titillare”; “titillare sensus”, solleticare i sensi (Tito Lucrezio Caro, I° sec. A.C.).

Zicchijttu: era un gioco che consisteva nello spingere in avanti un bottone, o anche il tappo di una bevanda, con il pollice e l'indice. Forse ha la stessa etimologia di “zich”, un po' alla volta.

Zichiniàre: ridurre a piccoli pezzi, tritare la carne. Stessa etimologia.

Zichiniénza, zichiniénte: un nonnulla, cosa di poco valore, di poco conto, poco o niente. Dall'unione di “zich” e “nec entem” (vedi “nente”). In alternativa dal greco "tsichion" (una piccola quantità, un pochino). E' errata l'ipotesi che farebbe derivare il termine come una parola di “ritorno” degli emigrati negli Stati Uniti: “in the second hands” (in thi sicond hends): siamo sempre alle solite...Dio ci guardi dai dilettanti allo sbaraglio...

Zichitinnosse: pugno dato sotto il mento. Penso sia una deformazione scherzosa di una frase tratta dal Pater noster latino, “sicut et nos”, con il conseguente “dimittimus”. D'altra parte, l'uso di termini tratti dalle preghiere recitate più di frequente, per indicare rimproveri o atti di violenza, si verifica spesso nei dialetti.

Zichitiàre: scricchiolare di scarpe. Voce onomatopeica “zichi”.

Zichittata: colpetto dato con il dito indice. Voce onomatopeica.

Ziculiàre: smuovere lentamente. Da probabile derivazione come “zich”.

Ziccùsu: persona appiccicosa. Derivato da “zzicca”.

Ziddhra: ira, animosità. Vedi “'nzirrare”.

Zifunu: termine ampiamente in disuso ormai dagli anni '50 (l'ho sentito dire solo dai nonni materni). Si intendeva un uragano, un vento foriero di burrasca, anche una tromba d'aria. Dal greco “sìphòn”, turbine, uragano.

Zigo zago: termine usato dai sarti per indicare il sopraffilo fatto con la macchina da cucire. Voce onomatopeica.

Zila: diarrea degli animali. Dal greco “tsìla”.

Zilàta: piccola frana. Stessa etimologia.

Zilatìna, zilareddhra: piccola diarrea. Stessa etimologia.

Zilivrusu: sporco. Stessa etimologia.

Zilòna: tartaruga. Dal greco “chelòne”.


Zilona.

Zimàrra: cappotto, più precisamente era un soprabito indossato dai preti. Dallo spagnolo “zamarra”.

Zìmma: porcile, recinto per maiali, anche luogo disordinato e sporco. Dal greco “zeugmaros”. In alternativa, potrebbe derivare sempre dal greco "sus" (porco) e "bioo" (vivo).

Zimmi .

Zìmmaru: caprone. Dal greco “ghìmaros” (becco giovane); per assonanza, persona sporca, non curata. Oppure dal longobardo “ziber”, animale destinato al sacrificio.

Zinga: segno, mossa perché un altro capisca. Dal latino “signum”.

Zìngara: scacciapensieri.

Zingariàre: ingiuriare, litigare, alterarsi a parole. Dal greco “zyghein” (litigare, alterarsi), o “tezghein” (restare diviso per rissa o inimicizia).

Zinnàre: ammiccare, fare l'occhiolino.  Da un tardo latino “cinnus”.

Zinnu: cenno. Stessa etimologia.

Zinnu: angolo, orlo, spigolo, sporgenza. Dal latino "pinna".

Zinnuliàre: muovere frequentemente le palpebre. Stessa etimologia.

Zinzulàru: merciaiolo ambulante che barattava stracci o residui di lavorazione tessile. Stessa etimologia di “zinzulu”.

Zinzuliàre: scuotere come uno straccio, anche offendere, trattare male una persona. Stessa etimologia di “zinzulu”.

Zìnzulu: cencio, straccio di panno, anche la buccia del pomodoro. Dal greco “tzatzalòn”, oppure dal latino “cento” e il suo derivato “centius” dal greco “chèntron (ritagli di stoffa, veste di più pezzi). Anche in francese “cince” ha lo stesso significato.

Zinzulùsa: vestita di stracci; stessa etimologia. L'espressione “èra zinzulusa” è usata come imprecazione contro la sorte avversa, disgrazia, sfortuna.

Zìppa: zeppa, cuneo di legno. Dal germanico “zippa”, o anche da un tardo latino “cippus” (legno aguzzo).

Zìppula: crespella, frittella di Natale. Da un tardo  latino “zippulla” (dolce fatto di pasta e miele). L'origine della preparazione  è molto antico; già nel 500 a.C., durante le festività delle Liberalia, in onore della divinità dispensatrice del vino e del grano, Seleno, compagno di bagordi e maestro di Bacco, si beveva una gran quantità di vino, edulcorato con miele e spezie, e si friggevano frittelle al miele. Il dolce era chiamato “serpula”, dalla forma di un serpente quando si raggomitola su se stesso, e quindi “zippula” con passaggio da “s” a “z” e assimilazione di “rp” in “pp”.

Zippùnu: grosso tronco di legno adatto per far fuoco, o che serve da scanno. Dal latino “cippus”, a sua volta dal greco “choìpos”.

Zìrra: ira, rabbia, stizza. Dal greco “tzèlos”, animosità, gelosia, ira (Platone, IV° sec. a. C.). Oppure dal latino "hirrio" (ringhiare dei cani in segno di rabbia).

Zirriàre: fischiare, sibilare, digrignare i denti, stridere. Da un tardo latino “zinzitare”, a sua volta dal basco “zinzerri”.

Zirriùsu: iracondo, adirato, rabbioso. Stessa etimologia di “zirra”.

Zirru: grande vaso di terracotta, di forma panciuta, per tenervi olio o il salame sottolio. Dall'arabo “zir”.

Zita, zitu: fidanzata/o sposata/o di recente, anche matrimonio, nozze. Dal greco “ziuctòs”, derivato dal verbo “zeugnumnein” legare, unire, promettere in matrimonio (Euripide, V° sec. a. C.). Anche in spagnolo castigliano “cita”. “Fin'a ccà zita si garma, aru zitu li ghescia l'anima”, il giorno delle nozze, i lunghi preparativi della sposa rendono impaziente lo sposo, che non vede l'ora di portarsela a letto.

Zòccola: prostituta, puttana. Dal latino “soccus”. Nelle rappresentazioni teatrali latine, gli attori erano solo di sesso maschile, perché alle donne era vietato recitare. La parte femminile era interpretata da maschi che, per distinguersi, indossavano dei calzari particolari, i “soccus”, e la parte che recitavano era detta “soccola”.

Zòrba: inezia, sciocchezza, niente, nonnulla, buono da niente, anche espressione di negazione, stupidello. Probabilmente, dal latino “sorbum” (frutto dell'albero del sorbo), dal sapore aspro ed insopportabile, prima della perfetta maturazione.

: zio, titolo dato anche a persona anziana. Da un tardo latino “thius”.

Zuavi: pantaloni a sbuffo, arricciati e rimboccati sotto le ginocchia. Dall'arabo “zwawa”, tribù berbere che portavano tale abbigliamento, poi adottato soprattutto dalla fanteria francese.

Zumpàre: saltare, gettarsi, scavalcare. O voce onomatopeica, oppure dal germanico “tumbjan” (andare da sotto a sopra o viceversa); oppure dal greco “sun poidòs” (insieme con i piedi).

Zumpafìlici: a piccoli salti. Derivato da “tumbjan” e “filex” (felce), come di chi non deve fare un grosso sforzo e perciò compie le cose come vengono, a casaccio, senza seguire una sequenza logica o rispettare un ordine preciso. Lo si riferiva spesso quando, noi bambini, nel ripetere la tabellina dei numeri, imparata a memoria, si saltava qualche operazione.

Zumpafùossu: pantaloni lunghi fino a metà gamba; persona volubile. Da “tumbjan” e dal latino “fussum”. Cosiddetto perché, nel saltare un fosso, bisogna arrotolarsi i pantaloni fino a metà gamba.

Zùocculu: zoccolo del cavallo o dell'asino, scarpa con il fondo di legno. Dal latino “soccus”.

Zùoppu: zoppo. Dal latino, per l'unione di “zanca”e “cloppus”.

Zzicca: zecca (insetto), nome volgare dell'acaro. Voce di origine longobarda “zecke”; anche in arabo “ztsica”.
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