lettera a - Tarsia dialetto

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A

La “a” rimane per lo più inalterata; come vocale finale tende ad affievolirsi.

A: può avere funzione di articolo femminile (la), “a cascia”; di pronome personale,”a vist?”; preposizione, “a mmia”; congiunzione, in funzione di “e”, dal latino “ac”. Una considerazione a parte merita l'uso della “a” per indicare un complemento oggetto; faccio un esempio: “ho visto tuo padre”. Il complemento oggetto è diretto, non richiede alcuna preposizione per essere espresso. Nei dialetti meridionali in genere, quello calabrese in particolare, si interpone la “a”: “ài vist'a parti”, cioè lo esprime come se fosse un complemento indiretto, ma soltanto per i sostantivi di persona o le cose animate, mai per quelle inanimate (la “a”, in quest'ultimo caso, si comporta come articolo): “ài vist'a parti”, “ài vist'a ttìa”, “ài vist'a machina”, “ài vist'a cascia”. Posso solo ipotizzare che questo cambiamento sia stato prodotto dalla trasformazione del latino classico in un latino volgare; la stessa cosa, comunque, si è verificata in altre lingue, dirette discendenti del latino (il portoghese, il rumeno, anche lo spagnolo).

Abbabàtu: attonito, confuso, stupito, stordito. Da una radice onomatopeica “bab”,  da un latino volgare: come di chi imita un parlare impacciato. Oppure può essere un traslato dal greco “babazo”, balbettare. Più che dal greco, io propendo per la radice “ba”, che deriverebbe dall'accorciamento di un termine latino, “Bambalione”, epiteto dato da Cicerone al suocero di Marco Antonio, con il significato di sciocco, semplicione, che parla senza sapere quello che dice, gonzo (Cicerone nelle Filippiche 3, 16 lo definisce homo numero nullo).

Abbacàri: stare in ozio, avere voglia, avere tempo libero, anche calcolare, considerare inutilmente, agire senza che ne valga la pena.  Dal latino “ad” e “vacuum” (verso il vuoto), derivato dal verbo “vacare”, essere vuoto, libero, non occupato; “si forte ad vacas”, se per caso non hai altro da fare (Quinto Orazio Flacco, I° sec. a.C.); in greco “abaches” significa quieto (Saffo, poetessa greca, VII° sec a. C.) e “abachein”, stare fermo, riposare, acquietare (Anacreonte poeta, V° sec. a. C.). “Ti cì abbacad'a ttìa”,  non hai altro da fare. Un'ipotesi etimologica alternativa, seppure fantasiosa, potrebbe essere la derivazione dal latino “abacus”, a sua volta dal greco “abax”, tavoletta usata dagli antichi per eseguire i calcoli; quello dei Romani, per esempio, era costituito da due serie di otto asticciole in cui scorrevano delle palline forate. L'uso dell'abaco, indispensabile nelle civiltà antiche (Cina, Babilonia, Grecia, Roma), per la mancanza di un sistema di numerazione adatto al calcolo, e conservatosi ancora nel Medioevo, decadde dopo l'introduzione nell'Occidente latino delle cifre arabe. Il mutamento di significato da “strumento per contare” a “arte del contare” credo sia in relazione all'opera del matematico pisano Leonardo Fibonacci, che, nel suo Liber abaci, scritto nel 1202, contribuì all'uso dei numeri arabi; questo nuovo sistema stentò molto ad essere accettato, soprattutto dalle amministrazioni del tempo, per cui il procedimento del calcolo poteva, allora, essere sinonimo di fantasticare senza proposito, almanaccare, darsi da fare senza alcun profitto, con risultato nullo, scervellarsi. Un'altra ipotesi etimologica potrebbe far derivare il termine dall'arabo “mbakhala” (fare confusione parlando), ma mi sembra un po' stirata, collegandosi, questa, più al termine “baccagliare” (vedi questa voce).

Abbaccari: termine in disuso. Intendersela con qualcuno, fare lega, parteggiare al gioco, mettersi d'accordo a scopo d'imbroglio. Le ipotesi etimologiche potrebbero essere due: la prima, dal latino “ad vacuum”, verso il vuoto, come “abbacare”, mi sembra un po' stirata; più plausibile la seconda, “ab hac”, composta dall'unione della preposizione “ab” (da) con l'avverbio di luogo “hac” (per di qua, da questa parte). Se così fosse, sarebbe un tardo latino, forse popolare, perché l'avverbio in questione, negli scritti del latino classico, non richiede alcuna preposizione.

Abbadàri: badare, porre mente, avere cura, anche riflettere, osservare con attenzione, indugiare aspettando. Da un tardo latino “batare” (osservare stando a bocca aperta).

Abbaddhràri: ballare. Dal latino “ad” e da un tardo latino “ballare”, a sua volta dal greco “bàllein” (lanciare, gettare la palla, gioco che era accompagnato da canti e danze); oppure dal greco “ballìzein”, danzo, ballonzolo, mi dimeno ( termine omerico, IX° sec. a. C.).

Abbagnàre: bagnare, cospargere di acqua, immergere in un liquido. Voce verbale  “ad balneare”, dal latino “ad balneum”, a sua volta dal greco “balaneion” (Plutarco, I° sec. d. C.), a sua volta da un sanscrito “jalam”, acqua.

Abbalìre: avvalersi, servirsi, essere efficace, prevalere. Dal latino “ad valere”; “satis ad valere”, essere  abbastanza valente da, (Marco Tullio Cicerone, I° sec. a.C.).

Abbampàri: avvampare, bruciare, infiammare, ardere. Verbo derivato da un tardo latino “ad vampa”, a sua volta derivato da “ad vaporem”.

Abbampatìzzu: arrossato dal fuoco o dal gran caldo. Stessa etimologia.

Abbannunàre: abbandonare, lasciare, andarsene, desistere. Da un antico francese “abandonner” (rilasciare), forse derivato, a sua volta, dall'unione del latino “ab” (che indica separazione, distacco) e dal franco “a bandon” (essere alla mercé); oppure da “ab”  ed un antico germanico gotico “handen” (mani), quindi mettere fuori mano un oggetto, cessare di tenerlo, lasciarlo andare.

Abbarrucari: termine in disuso. Fare presto e male, anche confondere; vendere qualcosa ad un prezzo molto basso, barattare. Dal latino “borra”, vestito di lana grezza e mal lavorata, oppure da un tardo latino “burrae”, inezia, roba di poco conto. “Vurra”, termine antico ormai in disuso, è un ammasso di peli e lanuggine che serviva ad imbottire i basti degli animali da soma.

Abbarrunàre: ammucchiare il grano trebbiato, fare un mucchio dei   raccolti della terra. Da un francese antico, nella forma dialettale provenzale, “baron” (mucchio). In alternativa, la voce potrebbe derivare dal greco "bariuno" (premere, affastellare).

Abbasari: baciare, ma anche accostare le imposte delle finestre o le ante della porta. Voce verbale dal latino “basium”.

Abbasàtu: basato, posato, di buon senso, affidabile. Significato in senso figurato dal latino “basis”.

Abbasciàri: abbassare, spostare più in basso, anche umiliare, avvilirsi. Verbo con stessa etimologia di “abbasciu”. Da notare che nel celtico antico “a bascia” ha il significato di essere curvo sotto il carico di un peso; in spagnolo “bajar”.

Abbàsciu: giù,  al piano di sotto. Da un tardo latino “ad” e “bassium”, comparativo di “bassus”. Nel latino classico il termine “bassus” era probabilmente un soprannome dato a persona tarchiata e di corta statura. Il greco ha “bathus”, con il significato di profondo. Oppure potrebbe derivare anche dallo spagnolo “abajo”.

Abbastàri: bastare. O da un arabo orientale “ba asta”(abbastanza) o dal latino “bene stare”. “M'abbastarìa”, mi basterebbe.

Abbàttaru: o forse abbàtteru, non ricordo bene. Termine ormai in disuso da moltissimi anni.  Quando il mio nonno paterno rimaneva senza fiammiferi (i frospiri), utilizzava una sorta di bacchetta, credo in acciaio, che, sfregata su una  pietra focaia, ne faceva  scaturire scintille, dalle quali, per mezzo di uno   stoppino, accendeva il fuoco; mi raccontava anche che lo stesso meccanismo funzionava con il vecchio fucile a miccia di suo padre. Io credo che fosse un congegno applicato alla cassa dell'arma per dare fuoco alla carica propellente. In italiano potrebbe essere l'acciarino. La probabile etimologia potrebbe far derivare il termine dal francese “battre”, in uso dopo la scoperta della polvere da sparo, per indicare una bocca di fuoco. D'altronde in italiano esiste l'espressione come “dar fuoco alle batterie”, se si vuole sferrare un attacco in modo risoluto. Ipotesi etimologica alternativa potrebbe essere la derivazione dal latino "battuere" (battere, percuotere).


Abbattaru.

Abbazàre: rimboccare le maniche, alzare le vesti. Verbo “ad balteare” dal latino “ad balteum” (il balteus era una cintura di cuoio, pendente dalla spalla destra fino al fianco sinistro, per appendervi la spada; o anche una semplice cintura di stoffa utilizzata per trattenere e rimboccare la toga dei senatori romani). In alternativa, sempre dal latino, voce verbale derivata dall'unione di “ad” “altium” (portare più in alto).

Abberitàre, abbiritàre: scoprire o far conoscere la verità, anche confessare. Voce verbale dal latino “ad veritatem” (andare verso la verità).

Abbidìri: accorgersi, avvedersi, percepire, comprendere. Dal latino “ad videre”.

Abbilìre: avvilirsi, abbattersi, deprimersi. Derivato dal latino  “vilisco” (diminuire di valore, svilirsi), a sua volta da “vilis”, con il prefisso “ad”.

Abbìnciri: sopraffare, convincere. Dal latino “vincire”.

Abbintàri: Ha tre significati. a) Stare quieto, trovare riposo, sostare, avere tregua; b) scagliarsi contro; c) presentire, accorgersi di, venire a sapere, scoprire, fiutare. Dal latino “adventare”, frequentativo di “advenire”. Nei tre significati, il tramite etimologico è diverso: nel caso a) da “avvento”, tempo in cui si vietavano, pena la scomunica, le ostilità tra privati, oppure dal latino “adventum” (sosta), da cui anche lo spagnolo “alentar” (riprendere fiato, respiro); nel caso b) da “ad ventum”, nel senso di irrequietezza ed impeto; nel caso c) esprime il significato originale di “advenire”.

Abbiritari: scoprire, svelare, reperire. Dal latino "apertare", frequentativo di "aperire", o da un tardo latino "adveritare".

Abbisàri: avvisare, avvertire, anche rendersi conto, accorgersi, intuire, osservare. Dal latino “ad visus” (allo sguardo), oppure dal francese “aviser”,  o anche dal gotico “ausweisen” (mostrare, far conoscere).

Abbitjìddhru: abitino, anche scapolare. Dal latino “habitus”. Lo indossavano i bambini durante le processioni del Santo Patrono. L'usanza sembra si possa ricollegare all'antica “bulla” romana, un particolare amuleto che veniva portato al collo come un medaglione, subito dopo la nascita e fino al compimento del sedicesimo anno, il cui compito era quello di proteggere da forze e spiriti maligni; a forma di marsupio rotondo, conteneva vari simboli, il “fascinum” che riproduceva i genitali, gli “oscilla”, piccoli dischi su cui erano incisi dei volti. Le bambine indossavano, invece, la “lunula”, portata fino all'età del matrimonio. Dal Medioevo in poi questi pezzi furono sostituiti da un piccolo sacchetto contenente o supposte reliquie di santi, o frammenti di vesti monacali; in epoca più recente da figurine di santi a cui si era devoti.


Abbitjìddhru.

Abbìtu: abete. Dal latino “abies”.

Abbiviràri: abbeverare, portare gli animale al beveraggio, dissetare. Dal latino “ad biberare” , a sua volta da “bibere”.

Abbivìsciri: risorgere, resuscitare, ritornare in sé. Dal latino “ad vivere”.

Abbizziari: far prendere un vizio, indurre in un difetto. Dal latino “ad vitium dare”.

Abbòcca abbàcca: termine ormai in disuso. Era un modo di dire riferito a chi si barcamena perennemente indeciso, senza principi, in modo da scansare danni, o di chi parteggia per una parte e per l'altra. Dal latino “ab hoc et ab hac” (da questo e da questa).

Abbòglia (avoglia): assai, tanto, parecchio, in abbondanza, a volontà, anche inutilmente. Forma avverbiale dal latino “ad volo”.

Abbòncuntu: insomma, in fin dei conti, comunque, in ogni caso. Dal latino “ad bonum computum”.

Abbragàre: essere rauco. Dal latino “ad brachare”, a sua volta dal greco “bràgchos”, raucedine  (Aristotele III° sec. a. C.).

Abbragàtu, abbragatìzzu: rauco. Stessa etimologia.

Abbramàre: urlare, guaire, piangere, desiderare ardentemente, essere famelico, insaziabgile, avido. Dal germanico “bràmmon” (urlare dal desiderio, chiedere con forza), a sua volta dal latino “per amare”. Sono affini al greco “bremein” (fremere con smania). Il termine è presente già nella seconda metà del 1200, in un sonetto di Giacomo da Lentini, della scuola poetica siciliana, per cui la derivazione è dal germanico, però attraverso un provenzale antico “bramer”.

Abbramàtu: allampanato dalla fame, insaziabile, anche avaro. Stessa etimologia.

Abbrancàre, abbrancicàre: ghermire, afferrare, stringere con le braccia, prendere e tenere con la forza. Da un tardo latino “ad brancam”, da un classico “brachium”. In alternativa, potrebbe derivare dal celtico “braànca” (corno con cui alcuni animali afferrano).

Abbrittàre: abbrustolire, bruciacchiare, scottare alla fiamma. Probabilmente dall' incrocio di un tardo latino “brusiare” con il germanico “britnst”, oppure da un tardo latino “apperustare”. Ipotesi etimologica alternativa, dal greco “frugtein”, con cambio dei suoni labiali “f” in “b”, e con l'aggiunta di “a” prostetica.  "A gatta ca s'à 'mparata ara lucerna, pochi si cura si s'abbritta l'ugna" (la gatta che è abituata al lucignolo, non si preoccupa se si brucia l'unghia).

Abbrittàtu: abbruciaticcio. Stessa etimologia.

Abbruscàtu: screpolato, abbrustolito, abbruciacchiato, abbronzato. Dal latino “ab urere” e “bruscum” (nocchio rugoso dell'albero).

Abbuccàre: chinare, rovesciare, riboccare, piegare un recipiente con la bocca in giù. Dallo spagnolo catalano “abocar” (rovesciare), voce  verbale dal latino “ad buccam”; in greco  è “apochenòo”, vuotare, spremere, prosciugare mettendolo con la bocca sotto (Discoride, IV° sec. a. C.). Credo sia errata la derivazione dal latino "abduco" (allontanare, strappare, staccare), che ha significato totalmente diverso.

Abbuffàre: gonfiarsi di cibo, mangiare con ingordigia. Probabilmente dal latino “ad” e “bufonem”, rospo (diventare rotondo come un rospo). Simile ad “abbuttare”.

Abbunari: voce in disuso. Aveva molti significati, tutti riconducibili al latino “ad bonum dare”(porgere verso il buono, quindi apportare migliorìe). Mettere a macerare il lino, oppure bagnare i campi dopo la semina, oppure annacquare i tini, i barili e gli orciuoli in legno in modo da far gonfiare le doghe.

Abbunnàre: abbondare. Dal latino “abundare”. “Villa abundat porco”, la fattoria ha maiali in abbondanza  (Catone il Censore, II° sec. a.C.).

Abbuscàre: prendere percosse, essere picchiato, maltrattato; procacciarsi, trovare, cercare per ottenere. Nei primi significati dal latino “ad pulsatum”; nei secondi dallo spagnolo “buscar”, con il prefisso “ad” (probabilmente, andare per boschi in cerca di selvaggina o di cibo). “M'ài abbuscat'a jurnata”, mi sono guadagnato la giornata, espressione ironica rivolta contro se stessi, quando si fa un danno o un'azione controproducente in senso economico. "Chini si gaza prijst'a matina/ s'abbuscka nu piattu e nu carlinu; chini si gaza a mijnzijuurnu/ s'abbuscka nu bellu cuurnu" (chi si alza presto la mattina, guadagna un piatto ed un carlino; chi si alza a mezzogiorno, guadagna un bel corno: il mattino ha l'oro in bocca).

Abbuttàre: mangiare a crepapelle, rimpinzare, essere gonfio e sazio dopo una mangiata. Da un tardo latino “ad buttem” a sua volta dal greco “butso”, riempire, colmare, rimpinzare (Erodoto, I° sec. d. C.), oppure dal  germanico “butt” (cosa gonfia e rotonda). “U lupu abbuttatu 'un crida aru dijùnu”: chi è sazio, a pancia piena, con crede a chi ha fame ed è digiuno.

Abenànte: toponimo di località. La zona è compresa da Cardiglione ad ovest, Canicella a sud, dal Lauro a Nord e dal Vallone ad est. Il termine deriva, credo, dal possesso feudale dei baroni Abenante di Corigliano, potente famiglia di origine veneziana, il cui capostipite lo ottenne dai Principi Sanseverino, verso la fine del 1400. Toponimi simili si trovano anche nelle province di Treviso e Pordenone, facenti allora parte della Repubblica Serenissima di Venezia.

Accà: qua, ecco qua, fino a qua, da qui a. Dal latino “ad eccum hac”.

Accapàri: capacitarsi di una cosa, venire a capo, ultimare, pervenire, anche scegliere. Voce verbale dal latino “ad caput”, oppure dallo spagnolo “acabar”.

Accarizzàre: carezzare. Dal latino “caro”; “quannu u diavulu t'accarizza, vò l'anima”, quando il diavolo ti accarezza vuole l'anima, guardati dalle blandizie non richieste, nascondono un secondo fine.

Accasari: sposarsi. Voce verbale dal latino “casa”, a sua volta dal greco “chadsa” (capanno, luogo coperto).

Accasioni: circostanza, occasione, opportunità. Dal latino “occasio”, sostantivo da “occidere”.

Accattàre: procacciarsi, prendere da, comprare. Dal latino “ad captare” (prendere da), frequentativo di “capio” oppure dal normanno “acater” (procacciarsi); oppure dal greco “chaoptomai”. Da notare che, con la stessa etimologia, in italiano ha il significato di mendicare, andare in questua. “A' fatt nu bbuunu accattu”, hai fatto un buon acquisto: in senso ironico ed antifrastico, espressione che si riferisce a chi ha fatto un pessimo affare, un cattivo acquisto. “Accatta caru e assettat'mparu”: non badare a spese se vuoi comprare roba di qualità.

Acchianàre: dal latino “ad planare”, salire, allontanarsi dal piano (verbo intransitivo: “acchiana supa”), oppure portare su (verbo transitivo: “acchianima 'a spisa”).

Acchiappàre: afferrare, acciuffare, prendere con forza e trattenere. Dal latino “ad capulare”.

Acchiare: termine ormai in disuso. Trovare, scoprire. Dallo spagnolo “achallar”.

Acchioppàre: mettere il guinzaglio ai cani. La “chioppa”  era il guinzaglio dei cani che serviva non solo a trattenerli, ma era anche dotata di punte arrotondate di acciaio, rivolte verso l'esterno, per difenderne il collo dal morso di altri animali selvatici. Probabile derivazione dal greco “chiuon”, cane e “opaon”, compagno di difesa (Eschilo, VI° sec. a. C.),  oppure dal latino “ad capulam”(portare verso il legame), da “ad cum apio”.

Acchjippari: essere sazio, ma anche mettere pancia, ingrassare. Vedi “chjippu”.

Acchiubbicari: voce in disuso. Si riferisce al riunirsi insieme di molta gente. Dal latino “ad publicare”.

Accia: scure, (in origine, arma da combattimento). Da un antico francese “hache”.

Acciaccùsu: pieno di affanni, di fastidi, di acciacchi. Dallo spagnolo “achàcue”, a sua volta dalla variante dialettale araba “sciackà” (malattia, malessere, indisposizione fisica).

Acciampicàre: inciampare, cadere. Da “ciampa” (variante meridionale di “zampa”), dal francese “jambe”.

Acciampicuni: a tentoni, a stento. Stessa etimologia.

Accijari: tagliare la carne in pezzi molto piccoli, tritare, tagliuzzare, battere il lardo del maiale con la mannaia.  Da un antico francese “hachier”, oppure dal latino "asciare" (digrossare la carne con l'ascia, Vitruvio Pollione, I sec. a. C.). Vedi anche “adacciari”.

Accidire: uccidere, percuotere con violenza. Da un latino parlato “aucidere”, a sua volta dal classico “occcidere”.

Accijessu: ingresso, passaggio, accesso, entrata. Dal latino “accessus”, participio passato dal verbo “accedere”.

Accirari: interrompere, o far deviare il cammino di un gregge, mettendosi di fronte alle prime bestie. Probabile origine dal greco “chircòs”. Termine in disuso.

Accitari: stare zitto, quieto, silenzioso, anche zittire, mettere a tacere. Dal latino “adquietare”, oppure vedi “cittu”.

Accittari: accettare, anche acconsentire ad una proposta. Da un tardo latino “acceptare”, frequentativo di “ad capere”.

Accittiàre: tagliare con l'accetta. Voce verbale dal francese “hachette”, diminutivo di “hache” (scure); “Accittìjmi sti ligni”, taglia questi legni in piccole parti.

Acciu: sedano. Dal latino “apium”, o dal francese “ache”.

Acciungàre: storpiare, azzoppare, essere deforme, anche inciampare. Dal latino “extruncare”; “cà ti vuoni acciungà i mani”, che tu possa rimanere deforme delle mani.

Accivàre: dare da mangiare ai bambini o agli animali. Dal latino “ad cibare” (dare il cibo). Il termine era anche utilizzato dal mio nonno paterno, quando si apprestava a caricare, con la polvere da sparo, il suo fucile a bacchetta: “accivare 'u fucunu”, riempire di polvere il fucile.

Accrianzàtu: di buone maniere, di buoni costumi, essere educato, gentile Dallo spagnolo “crianza”, tramite l'aggettivo "acriansado". Vedi "crianza".

Accriscindari: ammucchiare, sovrapporre i covoni del grano. Dal latino “ad crescere”.

Accucchiàri: accoppiare, riunire, mettere insieme, appaiare. Dal latino “ad copulare”. “Dìi 'i fa e ru munnu accucchia”, Dio li crea e il mondo li accoppia, per dire di due che stanno bene insieme. Mi sia permessa una citazione in latino dallo stesso significato: “pares cum paribus facillime congregantur”. “Chì mi st'accucchijanni?”: espressione usata per far intendere che l'interlocutore sta dicendo fandonie, cose senza capo né coda.

Accùcchiu: vicino, stessa etimologia. “Accucchiu 'a mmia”, vicino a me; “accucchijti cù chiri mijgli'i tia e fanni'i spisi”, frequenta chi è migliore di te, anche a costo di rimetterci; ma io, bastian contrario, lo interpreto in questo senso: frequenta chi è migliore di te e cerca di sfruttarlo.

Accucciari: voce verbale riferita al cane. Giacere, rannicchiarsi. Potrebbe derivare dal greco "culuchein", o, più facilmente dal francese "coucher".

Accuccunàre: accoccolarsi, rannicchiarsi, raggomitolarsi. Dal latino “ad” e dal greco “cochònes”, perineo (Ippocrate, medico V° sec. a. C.).

Accuddhràre: farsi carico di, accollarsi qualcosa, attribuire. Voce verbale dal latino “ad collum”.

Accuddhrì: a quel modo. Dal latino “ ad ecce illic”.

Accufunatu: accasciato, rannicchiato, curvato. Dal latino “ad fundum”.

Accùomitu, accòmita: accomodamento, con comodità, con accordo, commisurato.  Dal latino “commodus”.

Accùongiti: ordinato, sistemato, predisposto, adattato, anche rabberciato, riparato alla bell'e meglio. Da un tardo latino “ad comptiare”, frequentativo di “comitus”, participio passato di “comere”.

Accùotu: accettato, accolto, alloggiato, ricevuto. Dal latino”ad collectum” participio passato di  “colligere”.

Accupàre: soffocare, stringere il cuore per la tristezza. Da un tardo latino adcupare”, derivato da “cupa” (botte, barile). E' una forma secondaria, che ha in comune l'idea della profondità, della cavità, quindi oscuro, privo di luce. In spagnolo catalano “acubar”. In alternativa dal latino “ob” e “cupare”, frequentativo di “capere” (prendere). ”M'accupid'u core”, sono triste e preoccupato.

Accurmàri:  avvicinare la terra attorno alle pianticelle (di patate, fagioli etc), riempire fino al colmo. Dal latino “ad culmare”.

Accussì: così, in questo modo. Dal latino “ ad ecce sic”. “Accussì adda jì”: così deve andare, espressione con cui si accettano le situazioni che non possono essere evitate. “Cum'a vidi, accussì a scrivi”, come la vedi, così la scrivi, cioè della cosa di cui stiamo trattando, non c'è altro da aggiungere, ne basta la presenza. L'espressione sembra sia da riferire alla sposa promessa in matrimonio, di cui si poteva annotare soltanto la bellezza e la presunta illibatezza, senza che ci fosse l'obbligo di contrattarne la dote, o i capitoli economici del matrimonio.

Accussintìre: consentire, approvare, accondiscendere, annuire, essere d'accordo. Dal latino “consentire”.

Accustumbràtu: ben educato, di buone maniere. Dallo spagnolo “acostumbrado”, attraverso una variazione dal latino "consuetido".

Accuzzari: accordarsi alla buona, mettere insieme senza alcun ordine. Dal latino popolare “coictiare”, derivato dal classico “cum iacio, conicio” (rivolgere insieme, spingere in un tutt'uno).

Acina: chicco d'uva e, per estensione, il grappolo. Può essere “janca o nivura” (bianca o nera). Dal latino “acina”.

Acinu: chicco o, anche seme. Dal latino “acinus”.

Acitu: aceto. Dal latino “acetum”, derivato da “aceo” (inacidire). “Puru 'u vinu ogni tanti si fà acitu”, anche le buone persone potrebbero essere corrotte.

Acituseddhra: pianta erbacea perenne ( rumex acetosa), da non confondere con l'acetosella.


Acituseddhra.

Acqua canale: toponimo di località. E' attraversata da una strada che collega S. Giuliano con Serre delle Finestre. Confina con Alboreto a nord, con S. Giuliano a ovest, valle delle Pietre a sud,  Serre delle Finestre a est.

Acqua cerase: toponimo di località. E' delimitata a ovest dalla strada della Cappella di S. Francesco, a nord da Mazzolino e dall'acqua Saveria, a est dalle Vatìe Longhe, a sud dal serbatoio vecchio con strada comunale Fabbricatore.

Acqu'i donne: acqua delle donne. Toponimo di località. Di fronte al paese, al di là del Vallone, verso est.

Acqua nova: toponimo di località.

Acqu'i pali: toponimo di località. Dopo la salita dell'Olivella e la masseria Caputo, la strada che conduce prima a Conicella e poi alla Cona, attraversando Cardiglione. E' delimitata a sud da Abenante, a nord da strada S. Giuliano e strada Principe di Tarsia, a est da Conicellla, a ovest da S. Giuliano.

Acqua saveria: toponimo di località.

Acquata: vino leggero ottenuto aggiungendo dell'acqua alle uva già torchiate, e torchiandole di nuovo. Di grado alcolico minore, si beveva fresco soprattutto nelle calde serate estive. Come vino annacquato non durava molto, trasformandosi presto in aceto.

Acquatina: brina, rugiada, anche pioggerellina. Con lo stesso significato, dallo spagnolo “aquaza”.

Acquazzùnu: acquazzone, pioggia breve ed impetuosa, a carattere locale. Dal latino “aquatio”.

Accrucchiari: prendere, con l'uncino o con il rampone, e portare verso il basso i rami alti degli alberi da frutto. Da un antico francese "accroccher". Vedi anche "crocchia".

Acu: ago. Dal latino “acus”; “acu pingere”, ricamare (Vergilio Marone, I° sec. a. C.).

Acummaru (cacummaru): frutto del corbezzolo. Dal greco “khòmaron”, corbezzolo.

Cacummaru.

Ad ùocchiu: a casaccio, alla grossa, ad occhio. Dal latino “ad oculum”.

Adacciàre: tagliare la carne a piccoli pezzi. Adattamento da un antico francese “hachier”, a sua volta dal latino “asciare” (tagliare, separare); oppure voce verbale “ad aciarium” (portare, avvicinare verso l'acciaio, termine tardo latino, perché in quello classico, acciaio è “chalyds”, ed indicava le punte delle lance o delle frecce: “ferro durior et chalybe”, più duro del ferro e dell'acciaio ((Sesto Properzio, I° sec. a. C.).

Adacquàre: innaffiare, irrigare. Dal latino “ad aquare”. Riferito al vino, significa che questo non è di grado alcolico sufficiente, ovvero che vi è stata un'aggiunta di acqua.

Adanzàre: termine ormai in disuso, sostituito dall 'italiano “affacciare”; dal latino “ad antas”, in origine pilastri delle finestre. “Adànzat'ara porta”, affacciati alla porta.

Adàutu: sopra, al piano di sopra. Dal latino “ad altum”.

Adda: è riferito al verbo “dovere”. E' strano, ma nel dialetto tarsiano non esiste il verbo “dovere”, sostituito dal verbo “avere”. In latino, per indicare l'idea di “dovere, necessità” sono possibili due costruzioni, la perifrastica con il tempo verbale gerundivo (che non esiste in italiano) oppure il verbo “debeo” da “de habeo” (avere da); nel dialetto di Tarsia viene preferita la seconda costruzione. “Adda jì fora”, deve andare in campagna; “adda vinì ccà”, deve venire qua. La differenza sostanziale è che, nel primo caso, si intende l'imminenza di una azione, o anche l'intenzione di compierla, nel secondo se ne ha l'obbligo, la costrizione. “Adda” deriva dal latino “de habeo”.

Addaccussì: così. Dal latino “ad ecce sic”.

Addaccuddhrì: in quel determinato modo. Dal latino “ad ecce hic”.

Addhrà: là. Dal latino “ad illac”.

Addhrirta: in piedi, anche in salita. Dal latino “ad erectum” oppure dal greco “airo”, stare in piedi (termine omerico, IX° sec. a. C.).

Addhrum(m)àre: accendere, bruciare, appiccare il fuoco. Dal francese “allumer” (accendere, ma anche provocare, eccitare), a sua volta dal latino “ad lumen” (luce di lampada ad olio). Da bambino ho sentito questa espressione: “l'àddrhummatu u fuocu 'npijettu”, gli è scoppiato il fuoco nel petto, è innamorato cotto.

Addhrùve: dove. Con tutti e quattro i significati dell'avverbio di luogo. Dal latino “ad de ubi”. “Addhruve c'è gustu 'un c'è pirdenzia”, quando una cosa piace, non ha prezzo. “Addhruva à passat'a stata pass'u vijrnu”, riferito a chi si fa vivo nel momento del suo bisogno, oppure quando gli pare e piace. “Attacc'u ciucciu addhruvu vò u patrunu”: riferito a chi deve sottostare alle direttive ricevute.

Addimmannàre: indovinare, riconoscere un fatto, un avvenimento (in questo senso è un latino ecclesiastico). Dal latino “divinare” (presagire, o predire il futuro), verbo derivato da “divinus” (divino, profetico).

Addirizzàre: raddrizzare, rimettere in piedi. Dal latino “ad directiare”, da “dirigere” ( porre in linea retta).

Addiviniri: convenire, concordare, indursi, risolversi. Dal latino “ad venire”; “condicionem alicuius ad venire”, concordare la condizione di qualcuno (Marco Tullio Cicerone, I° sec. A.C.).

Addivintàri: diventare. Forma frequentativa di “ad venire”, forse mutuata dallo spagnolo castigliano “reventar”.

Addomitari: soggiogare, assoggettare, rendere trattabile un animale, per esempio per mettergli la soma, o il giogo per attaccarlo ad un carro, o per arare; potrebbe derivare dal greco "damatso"(sottomettere al giogo), oppure dal latino latino “domitare”, iterativo di “domare”.

Addubbàri: convenire, aggiustare, accomodare, sistemare, rimediare alla meglio. Dal francese “adouber”, oppure dallo spagnolo “adobar”. E' un termine di origine gotica: “dubba” era un colpo che si dava sulla spalla del cavaliere all'atto dell'investitura; poi passò al significato di vestire, e quindi a quello di ornare, preparare. Di diversa interpretazione, quando ha, anche, il significato di mangiare a sazietà, abbuffarsi, satollarsi, anche se l'etimologia è identica. Quando ancora esisteva il latifondismo, gli operai chiamati a svolgere lavori agricoli, erano assunti, quotidianamente, secondo due modalità, “ara dijuna” oppure”ar'addubbata”, cioè senza pasti, che dovevano portarsi da casa, ovvero con i pasti, a cui provvedeva il datore di lavoro; consisteva in una colazione di prima mattina, a base di pane, salame o formaggio, e di alimenti caldi a metà giornata.

Addumannàre: domandare, chiedere, rivolgersi con parole a qualcuno per ottenere risposta, manifestare un desiderio di avere o ottenere qualcosa. Dal latino “ad de mandare”.

Addunca: dovunque, in ogni luogo. Dal latino “de ubi unquam”.

Addunga: dunque. Dal latino “de unquam” (da qualche volta), oppure tramite il francese "donc".

Addunnàre: accorgersi, avvedersi, informarsi, considerare, rendersi conto. Dallo spagnolo “adonarse”, o dal francese “adonner” (dedicarsi). Non è esatta la derivazione data da alcuni Autori, secondo i quali potrebbe derivare dal latino “odorari”.

Adduràre: odorare, anche fiutare, avere indizio, avere sentore. Dal latino “ad odorari”.

Adduru: odore, profumo. Stessa etimologia. “Su vicinu n'i tene, adduru ti vena”, se il vicino di casa ha qualcosa, anche tu ne godi (esempio della solidarietà passata).

Adèja: presto, alla svelta.. E' una interiezione derivata dal latino "heia".

Adiènza: dare ascolto, dare retta, prestare attenzione. Dal latino “audientia”, dal verbo “audire”.

Aduccari (adoccari): termine in disuso. Ricoprire di terra, interrare i semi. Dal latino “ad occaecare”. Il vocabolo è usato da Cicerone, “terra semen occaecatum cohibet” (la terra trattiene il seme ricoperto). La voce verbale deriva dal sostantivo latino “occa”, erpice.

Adugliari: era un termine soprattutto religioso, nel significato di somministrare l'estrema unzione, l'olio santo,  al moribondo.  Deriva da un tardo latino “ad oleare”. Termine in disuso.

Adunca: dunque, allora. Dal latino “ad tunc”, forse attraverso un francese provenzale “adonc”.

Aduracà: nel tempo che , ad ora che, finché. Dal latino “ad horam quam”.

Affaccintèrra: bocconi, con il viso per terra, prono. Dal latino “ad faciem in terra”.

Affafùtta: alla malora, a farsi fottere. Dal latino “ad futuere”.

Affascinàre, affàscinu: magia, malocchio, maleficio, stregoneria; sedurre, attrarre a se in modo irresistibile. Dal latino “ad fascinum”, oppure dal catalano “fascinar” (malia, affatturazione).
Tradizione e religiosità si fondono in una consuetudine popolare, conosciuta come la pratica dell’ “affàscinu”, rituale finalizzato a scacciare il malocchio, che affonda le sue radici in un passato remoto ancora vivo nella cultura calabrese.
Una locuzione legata alla pratica è quella di “fòra affàscinu” (che stia lontano il malocchio, l'incantesimo) utilizzata quando si vuole fare un complimento, per esempio ad un neonato, in modo da fare degli apprezzamenti, allontanando, nello stesso tempo, qualsiasi inconscio sentimento di invidia o malocchio. Altra consuetudine, adottata per allontanare il malocchio, è quella del “cuntraffàscinu” a cui si provvedeva,  in passato, cucendo all’abbigliamento intimo una “vurza” (piccola sacca di stoffa contenente del sale e delle immagini sacre) che garantiva, per chi la indossava, la tutela permanente da ogni forma di “jettatura”. Il termine “affàscinatu” indica colui che diventa oggetto di lode o di invidia da parte di altre persone. Il soggetto in questione, una volta preso di mira, inizia a sbadigliare e ad accusare un forte mal di testa. A questo punto si può decidere di intervenire, scientificamente con un farmaco analgesico o, secondo tradizione, con lo “sfàscinu”. Infatti, sono in molti quelli che, ancora oggi, quando avvertono questa sintomatologia, decidono di rivolgersi per lo più a donne anziane, per farsi togliere questa forma di malocchio. In alternativa, chiunque fosse impossibilitato a rivolgersi direttamente alle esperte può appellarsi con il pensiero a tre di loro e l’effetto, così come tradizione docet, sarà il più delle volte garantito.  Il rituale dello “sfàscinu” è articolato e per molti aspetti ignoto ai più. Da quanto si sa, le fasi dello stesso si ripetono in modo metodico e nella massima segretezza; infatti consuetudine o regole esoteriche, dettano che la pratica possa essere svelata solo nelle feste comandate quali Pasqua o Natale.  L’”esperta”, non appena viene contattata, inizia a recitare sottovoce un insieme di preghiere (per lo più Padre Nostro, Ave Maria e Gloria Pater), accompagnate da una lacrimazione crescente e da un numero indefinito di sbadigli. La stessa, a seconda dell’intensità e del ripetersi dei fenomeni, riesce ad identificare sesso e numero dei fautori del malocchio, allontanandone così gli effetti negativi. Spesso l’esperta, per rendere più efficace l’effetto della pratica, accompagna la recita delle preghiere con un altro rituale consistente nel versare in un pentolino acqua e sale su cui viene più volte fatto il segno della croce. Una volta raggiunta l’ebollizione la miscela di acqua e sale verrà buttata in un punto particolare, quello in cui più strade si intersecano formando una croce (“crucivia”). A questo punto allo sfortunato malcapitato non resta che attendere il fatidico momento in cui i fastidiosi sintomi si allevieranno o addirittura scompariranno. La ritrovata situazione di benessere da parte del soggetto “sfàscinatu” (colui che è stato guarito dall’affàscinu) sarà la prova evidente del corretto espletamento della pratica.

Affijéttu: affetto, benevolenza, amore, anche essere infermo, ammalato. Dal latino “adfectus”, participio passato del verbo “adficio”.

Affinàre: tagliare per il sottile, anche appuntire. Dal latino “finis”.

Affrajatu: abbattuto, fiaccato, rotto prima che diventi maturo (se riferito a frutti). Dal latino “frango”.

Affrummicàtu: intorpidito, addormentato (delle mani, delle gambe, avere il formicolio). Participio passato dal latino “ad formicare” ( solleticare, prudere, avere il formicolio, propriamente: preso dalle formiche).

Affruntàre: andare incontro, affrontare, imbattersi in qualcuno, anche avvicinarsi con cattive intenzioni, scontrarsi. Voce verbale dal latino “ad frontem ire”.

Affucàre: affogare, annegare, strangolare, perire impedito nel respiro. Dal latino “ad suffocare”.

Affutticari (o affrutticari, o affrucari, non ricordo bene): termine non più in uso. Contenere, rimboccare, sostenere, succingere. Durante la raccolta delle olive, le donne ripiegavano la sottana annodandola di dietro, di modo che sul davanti si formava una sorta di sacco in cui riporvi il raccolto, che poi veniva versato “'ndi panari”. Credo che il vocabolo possa derivare da un verbo tardo latino “adfulticare”, tratto dal participio passato “fultus” da “fulcire” (sostenere, contenere).

Aggarbàre: avere belle maniere, essere garbato, piacevole, cortese. Ha due etimi: dall'arabo “galib” (essere modello, avere bella forma); oppure dall'inglese “to garb” (avere stile, essere acconciato in modo grazioso).

Aggattunére: si dice dei bambini piccoli, strisciare a quattro zampe, carponi. Dal latino “ad cato”.

Agghiajàre: agghiacciare, gelare, allibire, spaventarsi, impallidire, anche essere stanco, affaticato.  Dal latino “ad algere”. Non credo si possa supporre un'etimologia dal latino “gladius” (spada), che in senso metaforico può assumere un significato di dolore morale, secondo la similitudine evangelica del passo del Vangelo di Luca (2.35): “et tuam ipsuis animam pertransibiti gladius” (e una spada attraverserà la tua anima).

Agghiancàre: diventare pallido, bianco. Dal latino “ad” e dal germanico “blanck”.

Aggiu: comodità, facoltà, opportunità, piacere, agio. Da un antico francese “aise”, a sua volta derivato dal latino “adiciens”, participio presente di “adicere”.

Aggiuvari: favorire, avere un beneficio, anche recare aiuto. Dal latino “ad juvare”.

Aggrancàre, aggrancàtu: essere rattrappito, intirizzito, assiderato, avere un crampo. Si dice soprattutto riferito alle dita. Dal latino “ad cancer” (granchio). “M'an'aggrancat'i mani”, mi si sono rattrappite le dita.

Aggrangàre: prendere, afferrare, acchiappare. Dallo spagnolo “agarrar”.

Aggrazziatu: ben fatto, di bella forma, grazioso, piacevole. Voce verbale dal latino “ad gratiam”.

Aggrizzàre: rabbrividire per paura, spavento. Dal latino “ad” e dal greco “rytis”, grinza, crespa (Platone). Ovvero, sempre dal greco "gritso". “M'aggrizzin'i carni”, ho la pelle d'oca; “a nnà mugliera sanizza doppo nà bella mangiata 'a peddhra s'aggrizza”, è bello giacere con una moglie vogliosa dopo una gran mangiata.

Aggualari: essere uguale, pareggiare, somigliare. Dal latino "aequalis", forse attraverso lo spagnolo "igualar".

Agguantàre: afferrare, prendere con forza, sostenere. Potrebbe derivare o dallo spagnolo catalano “aguantar”, o da “ad” e dal germanico “wuant”.

Agguattàre: nascondersi, spiare. Da un antico francese “aguatter”, a sua volta dal latino “ad coactum”, participio passato del verbo “cogere (co agere)".

Agliaru: termine in disuso. Crivello di steli di paglia, o di piccole canne, utilizzato per separare, con movimenti circolari, loglio dal grano. Dal latino “joliaria”.

Aguànnu: quest'anno. Dal latino “hoc anno”. “Avantanni ghè muurtu Pijtri e aguanni ti venid'u fijtu”: riferito a chi si accorge tardi di alcune situazioni.

Aguniàre: avere la fregola, desiderare il montone da parte della pecora in calore. Dal latino antico “agnidiare”, oppure dal greco “agoniao”, essere agitato.

Agunu (aunu): agnello. Dal latino “agnus”.

Aguràre: fare un augurio, augurare, ma anche sperare, aspettarsi, desiderare. Dal latino “augurare”. In latino, gli àuguri erano i sacerdoti che predicevano il futuro dal volo o dal modo di cibarsi o dal grido degli uccelli.

Agùriu: augurio. Dal latino “augurium”.

Aijimmatu: ingobbito, incurvato, piegato in avanti. Da un tardo latino “ghymbus” da un classico “gibbus”.

Ajìna: avena. Dal latino “avena”.

Ajina (avena fatua).

Ajìri: ieri. Dal latino “ad heri”, oppure dal francese "hier".

Ajiùccari: riferito alle galline, appollaiarsi. Da un antico francese “ajocquer”.

Ajiùnnare: avventarsi contro qualcuno, slanciarsi per afferrare qualcosa. Dal latino “ad fundulare” (essere svelto come il lancio della fionda), oppure da “ad iungere”(attaccare, unire insieme).

Ajiùtari: dare aiuto, soccorrere, favorire. Dal latino “adjuvare”; “fortes fortuna adiuvat”,  la fortuna aiuta gli audaci (Terenzio Afro, II° sec. a. C.).

Alàre, (galare): sbadigliare. Dal latino “halare”, che più propriamente significa “ respirare a bocca aperta, esalare, olezzare”, forse attraverso lo spagnolo “alear”. In latino, sbadigliare: “oscitare”.

Alìva ( e derivati): frutto dell'albero. Dal latino “oliva”, a sua volta dal greco “elaia”. I tipi di ulivo presenti nel territorio sono diversi. “U gliastru”, ulivo selvatico, che può anche fruttificare, ma che serve soprattutto per le infiorescenze, l'impollinazione e per innesto; “a marineddhra”, cultivar autoctono, con il tronco dell'albero che presenta nodosità, dal frutto piccolo, rotondo, che si addolcisce subito dopo la caduta, di resa minima, dà un olio leggero, dolciastro; “a cumignana”, oblunga, di grande dimensione, meno buona per la produzione di olio, da tavola; “ruggianisa”, varietà prevalente nel territorio, con pianta di media vigorìa, a portamento espanso, molto resistente ai parassiti, rustica, autofertile, dal frutto sferico, che a completa maturazione diventa nero cianotico, ottimo per olio, si può utilizzare anche in salamoia; “duci”, si raccoglie già ad ottobre, è utilizzato soprattutto per mensa; “alivunu”, dal frutto grande, dà un olio piuttosto leggero, che, almeno per quel che ricordo io, veniva dato specialmente agli ammalati; “carolea”, di introduzione relativamente recente, con drupa piuttosto grossa, a maturazione in dicembre, dà una produzione costante ed elevata, ma può essere utilizzata anche da tavola.

Alivéddhra: Via Olivella. Toponimo di località. Non credo che si riferisse ad una piantagione di ulivi; nel paese ve ne erano altre di maggiore consistenza. Penso che il toponimo derivi da “livella”, inteso come un terreno piano o semipiano posto tra due dislivelli (da una parte “u cuuzzu 'mpisu”, dall'altra “u gaddhrunu” e di fronte “u cuuzzu dà gliastra”), forse adoperato per il passaggio di animali o come via di transito per carri. Vorrei aggiungere, però, che la porzione di terreno che va, grosso modo, dall'attuale edificio che ospita la banca fino alle case popolari (ex Ina Casa) era chiamato "l'uurt da crucia" (orto della croce), ma non so a cosa fosse riferito.

Allamatu: essere affamato, avere voracità. Dall'arabo “lahama”, oppure dal greco “limazo”; “loimò thaanein”, morire di fame (canto IX°, Odissea).

Allampanàre (allampanatu): farsi secco, smunto, emaciato per la fame, pallido come la luce di una lampada. E' usato quasi sempre al participio. Dal latino “lampas”.

Allampàre: lampeggiare. Dal latino “ad” greco “lampein”, splendere, rilucere; “oftalmo oi làmpeton”, gli splendono gli occhi. (canto XIII°, Iliade).

Allanzari: avventarsi, lanciarsi contro. Dal latino "ad lanceare".

Allascàre: allentare (una corda), allargare, distaccarsi (delle assi di legno), ma anche schiarire del tempo dopo una pioggia. Dal latino “laxare”; “laxare ab stricto nodo”, allentare il nodo troppo stretto (Tito Livio, I° sec. A.C.).

Allazzàre: allacciare, anche emanare, emettere, affliggere. Dal latino “laqueare” (legare, stringere con un laccio). “Allazzat'i scarpi”, allacciati le scarpe.  Nei secondi significati, la probabile derivazione è dal latino “lancea”:  “mò ci'allazzi na lampa”, adesso mi faccio una gran bevuta.

Alleggiàre: mitigare i dolori, lenire, rendere più leggero, alleviare. Da un tardo francese “alegier” derivato da un tardo latino “ad leviare”, da “levis”.

Alliccàre: leccare. Da un tardo latino “ligicare”, affine a “lingere”, oppure dal francese “allecher”.

Alliccàta, alliccatìna: un piccolo assaggio. Stessa etimologia.

Alliéggiu: adagio, con comodo, piano, lentamente. Dal francese “legier”, a sua volta dal latino “levis”.

Alliffàre: essere pulito, azzimato, imbellettato, abbigliato con una certa eleganza. Dallo spagnolo “alifare”, a sua volta dall'arabo “aleifw” (unto con i profumi); in greco “aleipho”, ungersi, spalmarsi di grasso (termine omerico, IX° sec a. C.): i guerrieri greci di alto lignaggio erano soliti cospargersi la pelle di unguenti, come preparazione alla battaglia.

Alligàre: si dice dei denti, per il gusto aspro di frutti acerbi. Dal latino “ad” e “legare”.

Allintàre: diventare magro, emaciato; rendere meno teso, meno tirato, meno stretto. Ambedue i significati dal latino “ad lentum”.

Allippàre: lo stesso significato di “alligare”. Dal latino “lappago”, pianta che ha frutti con succo molto aspro (per es. la bardana).

Allisciàre: lisciare, accarezzare, adulare, lodare qualcuno per ingraziarselo, punire. Probabile provenienza dal germanico “lisso” e “lisi”;.“mò t'allisciu u pilu”,  adesso ti punisco; oppure dallo spagnolo “alisar”.

Allistànti: adesso, subito. Dal latino “instans”.

Allistàre: abbellire, allestire, preparare. Dallo spagnolo “alistar”.

Allizzàre (allissare): aizzare, istigare, incitare il cane contro qualcuno. E' composta dal latino “ad” e “izza” voce onomatopeica (izz). Potrebbe derivare  anche dal greco “lissao”, slanciarsi, avventarsi, agitarsi, muovere alla rabbia (termine omerico).

Alluccàre: parlare a lungo ed in modo noioso, straparlare. Dal greco “logheion”, pulpito, proscenio, tribuna (Demostene, III° sec. a. C.), oppure dal latino “alloquor”.

Allupàre: diventare o essere bramoso di qualcosa, anche eccitarsi sessualmente. Voce verbale dal latino “ad lupum”.

Allùra: dunque, ebbene, in questo caso, anche a quel tempo. Contrazione dalle voci latine “ad illam horam”.

Allurdàre: sporcare, imbrattare, insudiciarsi. Voce verbale dal latino “ad e “luridum” (diventare verde giallognolo).

Allustràre (lustrare): lucidare, illuminare, risplendere, rendere lucente qualcosa. Dal latino “ad” e “lustrare”.

Alluttàre (luttare): lottare, combattere, sforzarsi. Dal latino “luctari”; “luctari cum vitiis”, sforzarsi di combattere i vizi ( Anneo Seneca, I° sec. D.C.).

Alòje: pianta grassa (agave). Dal greco “aloé” (Dioscoride, III° sec. a. C.).


Aloje (agave).

Amàru: povero, infelice, misero, triste. (amar'a mmia: povero me!). Dal latino “amarus” (penoso, amaro, acerbo), oppure dal greco "amoiros". “Amarus me senectus facit”, la vecchiaia mi fa diventare infelice (Marco Tullio Cicerone, I° sec. A.C.). “Amaru a chini tena bisuognu”, triste è il destino di chi è indigente. Lo stesso concetto è ribadito da “amaru chini nascia povaru, cà ogni vijnd'u pò” (triste è il destino di chi nasce povero, perché è sempre in balia dei venti, esposto a tutte le avversità. "Debbiti e piccati, amar'a chini ni tena" (debiti e peccati, povero e infelice chi ne ha).

Amaruùsticu: amarognolo. Dal latino “amarus”.

Ambrunàta: ora in cui comincia ad imbrunire il cielo, dopo il tramonto. Da “ad” e dal francese “brunir”.

Ammacànta: a vuoto. Dal latino “ad manum vacantem”.

Ammacardìa (ammacari) : esclamazione di desiderio (che Dio volesse, magari). Dal greco “màcari eìthe”, Dio volesse (termine omerico, IX° sec. a. C.).

Ammaccàre: schiacciare, pestare, ammaccare, battere. Dal latino “ad” e spagnolo“machar”, ovvero dal francese “macquer” (maciullare, gramolare).

Ammagàri: incantare, ammaliare, rendere stupidi, stregare, Dal latino “ad” e “magus” (mago, sacerdote di riti esoterici, incantatore), oppure dal greco "magheuo"; anche il francese provenzale "esmajar" ha lo stesso significato. "Ohi beddhra, ccù l'uucchi tuui ca m'ani ammagati/ài pers'u suunu e sugnu sturdutu" (canto popolare).

Ammajàticu: riferito al mese di maggio (nel senso dei frutti o di attinente alla terra). Dal latino “ad” e “Maia”, la madre di Mercurio, divinità italica che simboleggiava la madre terra. Quando ancora esistevano i latifondisti, era un antico tributo pagato il 1° Maggio al padrone della terra, per il diritto di coltivarla o di farvi pascolare le pecore.

Ammalappéna: appena, a stento, a poco a poco, come, subito che. Dal latino “ad” e “mala" e “poena” (difficoltà), a sua volta dal greco “poinè”, castigo, pena (termine omerico IX° sec. a. C.).

Ammalignàre: diventare più grave. Riferito di solito ad una ferita che comincia a suppurare. Voce verbale dal latino “ad malignum”.

Ammammàre: far prendere la mammella ad un neonato, allattare. Dal latino “ad e “mammilla”, che è diminutivo di mamma; oppure dal greco “mamman”, mangiare proprio dei bambini, domandare la pappa (Ferecrate, V° sec. a. C.).

Ammancàre: difettare, scarseggiare, mancare. Dal latino “ad e “mancum” (difettoso, manchevole, imperfetto). Mia nonna materna, quando sferruzzava nel fare la calza, lo riferiva al restringimento delle maglie “d'i cuazitti” nel punto dove il piede è più stretto.

Ammanicàtu: unito, collegato, riferito a persona che ha aderenze. Dal latino “ad manicam”.

Ammannillàre: vestirsi a lutto, per la morte di una persona molto cara, cingendo sul capo un indumento nero. Dal latino “ad mantele” (tovaglia, anche copricapo). Termine ormai in disuso.

Ammanzari: addomesticare, cioè togliere un animale da uno stato di selvatichezza, anche renderlo ubbidiente, avvezzarlo, (per esempio, "stai ammanzann'u cani"). Deriva dal latino "ad masuetum", contrazione di "ad manum suetus", cioè abituare, educare una bestia a venire sotto la mano, e quindi rispondere agli ordini; oppure dal greco "damazo".

Ammanzunàre, ammanzupìre: diventare manzo, poltrone, uomo grave a muoversi, che ha perso le forze. Dal latino “ad” e “mansus” (ammorbidito), oppure “mansuetus” (mansueto, addomesticato).

Ammaricari: rammaricarsi, dolersi, essere afflitto. Da un tardo latino “amaricare” (rendere amaro, rattristare).

Ammaritàre: dare in sposa, maritare. Dal latino “maritus”, a sua volta da “mas” (maschio).“Quanni chiova ccù sulu  s'ammaritid'a vurpa ccù lupu” ( quando piove con il sole si sposano la volpe ed il lupo: per dire di due cose opposte).

Ammarmarùtu: intorpidito, riferito agli arti. Dal latino “ad marmore”, a sua volta dal greco “marmarios”.

Ammarràre: rendere ottuso un coltello (è diverso da “ammulare”), come una zappa. Dal latino “marra” (zappa), a sua volta dal semitico “marru”.

Ammarràre: socchiudere, chiudere, accostare gli infissi, anche coprire, occupare. Dal francese “amarrer”, o dallo spagnolo “amarrar”. I due significati diversi probabilmente son dovuti al fatto che con la zappa, oltre che lavorare il terreno in superficie, si ammucchiava la terra per formare argini e termini di chiusura; oppure può essere una voce mutuata dalla marineria: in francese “ammarrer un vaisseur” legare una barca ben stretta, assicurarla a terra.

Ammarrunàre: fare o dire cose sbagliate, imprecise. Dal latino “ad errare”, forse in unione con lo spagnolo ”marron”, pietra che si lancia diritto, quindi “ad marron errare”, sbagliare il lancio; “ad errare vero”, allontanarsi dalla verità (Tito Lucrezio Caro, I° sec. A.C.).

Ammartinatu: termine in disuso. Guappo, bravaccio. Dal latino “a Marte natus” (figlio di Marte, Dio della guerra).

Ammasciata: informazione, notizia portata in proprio o su incarico altrui. Da un antico francese provenzale “ambaissata”, o da un latino con contaminazione gallica “ambactus” (servo che porta notizie; Giulio Cesare, nel “De bello Gallico”).

Ammasculàre: connettere insieme tavole o legni in modo che combacino perfettamente, calettare. Mastu  Francisc 'a monaca, che era un valente falegname, usava spesso questo termine quando cercava di inserire la ruota sull'asse del carro (u' trainu). Da un tardo latino “ad masculare”, cioè riunire il maschio con la femmina.

Ammassàre: radunare in modo confuso, accumulare, impastare. Dal latino “ad” e “massa”, attraverso un tardo latino medievale “ammassare”; oppure dal greco “masso”, impasto  (Tucidide, V° sec. a. C.).

Ammasunàre: condurre gli animali al ricovero ( al pollaio, alla stalla). Potrebbe derivare dal latino “ad” e dal francese “maison”, o dallo stesso latino “mansio” (permanenza, dimora). D'altra parte, anche in greco “mòssun”, capanna  e “matzeuein”, radunarsi, cercare di raggiungere (termine omerico IX° sec. a. C.). In senso traslato, lo si riferisce, scherzosamente, quando un amico lascia la compagnia e rientra a casa molto presto; “ti v'àmmasunu prijst stasira, cum'i gaddrhini”, ritorni a casa presto questa sera, come le galline.

Ammattulàre: raccogliere il fieno o i sarmenti in fascio. Stessa etimologia di “mattulu”. Termine usato anche per indicare una bella mangiata.

Ammattunàta: pavimento. Dal latino “maltha”.

Amménna, amménna: e così sia, in verità. Dall'ebraico “amen”. E'  segno di ricambio d'imprecazione.

Ammentàre, ammintàri: chiamare di nuovo alla mente, ricordare, fare menzione. Dal latino “ad mentem”. Oppure anche attaccare qualcosa, accrescere, connettere, appiccicare. Dal latino “ad menda”.

Ammenticà: benché, anche se. “Ammenti cà ti chiami, 'un ci sijnti”, anche se ti chiamo, tu non ci senti, fai il finto tonto. Dal latino “ad mentem hanc”.

Ammérsa: supino, contrario, opposto all'abituale. Dal latino “inverto” in cui la preposizione “ad" ha preso il posto di “in”.

Ammicciàre: unire, connettere, combaciare. Forse dallo spagnolo catalano “mecha” (estremità  a forma di cuneo di un elemento naturale che va fissato nel suo alloggio). Il corrispondente italiano è “maschio”.

Ammicizia: amicizia. Dal latino “amicitia”. “Si vù cà l'ammicizia si mandéna, nà mana và e l'ata véna" (do ut des).

Ammijénzu: in mezzo, tra. Dal latino “in medio”; “in medio stat virtus”, il valore sta nel mezzo.

Ammilinàre, abbilinàre: usato come riflessivo (m'ài abbilinatu). Essere amareggiato, addolorato, afflitto. Voce verbale dal latino “ad” e “venenum” (veleno, ma anche tormento). “M'à fattu ammilinà u sangu”, mi ha fatto arrabbiare moltissimo.

Amminazzàre: minacciare. Dal latino “minari”; “alicui crucem minari”, minacciare qualcuno di crocifiggerlo (Marco Tullio Cicerone, I° sec. a.C.). Anche in spagnolo “amenazar”.

Amminestrari: scodellare, mettere i cibi nei piatti a tavola. Dal latino "ministrare" (servire a tavola).

Amminnìculu: oggetto di poco conto, minutezza, oppure pretesto, cavillo. Dal latino “ad” e radice “min”, da “minimus”.

Ammuccare: prendere per buono ogni cosa, accettare acriticamente. Dal latino “ad buccam”.

Ammucciàre: nascondere, celare. Potrebbe derivare dal francese “mucer, mucher, musser” oppure dal greco “mùchios”, luogo occulto, luogo interiore, parte più interna e nascosta (Eschilo, VI° sec. a. C.), ed il prefisso latino “ad”; oppure dal latino “ad mutium”, forma volgare di “mutum”. Non credo che altre derivazioni siano plausibili: da "mucia", parola con cui si chiama il gatto che si nasconde; o dal latino "amicio" (avvolgere, coprire), ; ovvero, ancora dal greco "amunatso" ( tenere lontano in luogo sicuro, difendere).

Ammucciateddhra, ammucciareddhra: giocare a nascondino, a rimpiattino. Stessa etimologia. Detto anche “gioco del trentuno”. Si giocava con una decina di partecipanti: sorteggiato “aru tuoccu” chi doveva stare “ara merca”, questi contava fino a trentuno, con gli occhi chiusi e con il viso al muro, mentre gli altri trovavano un nascondiglio; alla fine della conta doveva indovinare il nascondiglio di ognuno, toccando la “merca”; se qualcuno, più veloce o più furbo, toccava la “merca” senza essere scoperto, il gioco ricominciava daccapo; se, invece, la base indovinava tutti i nascondigli, si ricominciava con il primo ad essere stato nominato. Poteva succedere che si sbagliasse di indovinare il nome di chi era nascosto; questi, allora, gridava “scacogna”, ed il gioco ricominciava daccapo.


Ammucciateddhra.

Ammucciuliàre: spiegazzare, sgualcire, stropicciare. Dal greco “musunizo” letteralmente, nemico delle cose ordinate (termine omerico, IX° sec. a. C.).

Ammucciùnu: di nascosto. Stessa etimologia di “ammucciare”.

Ammuddhràre: mettere a mollo, inzuppare, immollare. Forma verbale dal latino “ad” e “mollium” (rendere molle immergendo in un liquido). Oppure da un antico francese “amolier”.

Ammuddhricàre: rivoltare il pane grattugiato, impanare. Dal latino “ad molle”.

Ammujnàre: derivato dal napoletano. Fare chiasso, confusione, affaccendarsi a vuoto, affannarsi, prendersi fastidio. Dal verbo spagnolo “amohinar”. Sembra che il verbo sia stato un proclama della marineria borbonica del 1800; in un articolo del regolamento interno “Faciti ammuina” così recitava: “tutti chilli che stann'a prora, vann'a poppa e chilli che stann'a poppa vann'a prora; chilli che stann'a destra vann'a sinistra e chilli che stann'a sinistra vann'a destra; tutti chilli che stann'abbascio vann'in coppa e chilli che stann'in coppa vann'abbascio, passanni ppé lo stesso pertuso; chi nun tiene nent'e fa, s'aremena ccà e llà”. Non vorrei entrare nel merito, ma io credo che questo articolo sia un vero e proprio falso per denigrare a posteriori l'organizzazione marinaresca del Regno di Napoli; prova ne sia che i termini  destra e sinistra, nel 1800, non erano usati a Napoli, ma venivano usati “dritta” e “mancina”. Un'altra derivazione possibile è da un tardo latino "immoviziare".

Ammulafòrbici: arrotino.

Ammulàre: affilare, arrotare. Dal latino “ad mola”, attraverso un tardo latino medievale “ammolare”; anche in spagnolo “amolar”.

Ammulatùru: cote per affilare arnesi da campagna. Stessa etimologia.

Ammuntunare: mettere una cosa una sopra l'altra. Dal latino “ad montem”, fare un piccolo monte.

Ammunziddhràri: ammassare, ammucchiare alla rinfusa. Dal latino “ad monticellum”, diminutivo di “mons”, o dal francese “amonceler”(ammucchiare).

Ammupiàre: anestetizzare, dare sonno. Dal latino “opium”, a sua volta dal greco “òpiov”, e in arabo “afium”; oppure può essere forma che deriva dalla radice greca “ipnos” (sonno).

Ammurràre: riunire gli animali del gregge in un recinto. Dal latino “ad murum” (circoscrivere in un muro), oppure dal greco "mora" (moltitudine).

Ammurtàre: spegnere, estinguere. Da un tardo latino “admortare”, frequentativo di “mori”. “Ammorta u fuocu”, spegni il fuoco del focolare; anche in spagnolo “amortar” ha lo stesso significato.

Ammusciàre: diventare moscio, perdere energia, appassire, anche riferito all'organo sessuale maschile. Dal latino “ad” e “mucidus”, oppure "musteus".

Ammussàre: tenere il broncio, cipiglio, muso lungo. Da un tardo latino “ad” e “mussitare”, oppure dal greco "moutzounein".

Ammùzzu: all'ingrosso, a occhio e croce, alla rinfusa, senza andare per il sottile. Dal latino “ad multum”; oppure sempre dal latino "mutilare" (tagliare, diminuire).

Ampràre: stendere i panni, spandere. Dal latino “amplare” (allargare), oppure dal greco “aplòo” (stendere).

Ampréssa: in fretta e furia, a tempo, presto. Dal francese “empresse”, a sua volta dal latino “pressum”, participio passato di “premere”.

Amùri: amore, ma anche a causa di. Dal latino “amor”; “p'àmuru ttùu” a causa tua. “Rispettid'u cani ppà amuru dù patrunu” (si rispetta il cane per amore del padrone).

Anca: gamba. Dal germanico “hanka”.

Ancafuddhràre (ancufuddhrare): accorrere in folla, premendo ed urtandosi a vicenda (è un vocabolo comparso tardi nel dialetto). Per estensione, anche mangiare molto e in fretta, quasi “facendo folla di bocconi”. Probabile origine germanica: nota “full” in inglese e “voll” in tedesco (pieno).

Anchianàre: vedi “acchianare”.

Anda: movimento circolare, anche curvatura. O voce deverbale da un tardo latino “andare”, oppure da “ambire”(andare in circolo); “simi all'anda i Cristu”, siamo in buone mani perché siamo nell'ambito del Signore. Quando i terreni erano arati dai buoi, era il solco tracciato dall'aratro. “Stami mangianni all'anda”: ci rifocilliamo sul posto di lavoro.

Angariàre: fare prepotenza, molestare, vessare. Dal greco “anghareios” (corriere a cavallo). Per ulteriori spiegazioni, vedi “cangariare”.

Angìddhra: anguilla. Dal latino “anguilla”; “'angiddhra 'i terra”: biscia d'acqua.

Angìna: rami di cespuglio o di albero a cui i contadini appendevamo la bisaccia. Dal latino “uncus”, a sua volta dal greco “àngchistron” (uncino). “A mal'angina àppicata 'a viertula”: a un cattivo sostegno hai appeso la tua bisaccia, riferito a chi frequenta compagnie poco raccomandabili, o di chi si fida di persona inaffidabile.

Anginàglia: regione inguinale; anche ingrossamento delle ghiandole inguinali. Dal latino “inguen”, (regione inguinale), in unione con “angere”, affine al greco “angchein” (stringere), quindi parte del corpo umano che si restringe.

Angòra: ancora. Dal latino “hinc ad horam”  (di là fino a quest'ora).

Angùnu: qualcheduno, qualcuno. Dal latino “aliqui unus”.

Aniàre: vedi “aguniare”.

Anìmulu: arcolaio. Dal greco “anème” ( letteralmente, che gira come un venticello, dato il moto che fa l'arcolaio nel dipanare la matassa).


Anìmulu.

Annacàre: cullare, dondolare la culla. Dal greco “nache”, vello di pecora usato come culla. Nelle antiche abitazioni non c'erano le comodità di oggi: la culla era legata al soffitto, sospesa sul letto, ed era fatta di pelle di pecora.

Annasàre: odorare, fiutare. Dal latino “ad nasum”.

Annascàre, annaschiàre: da “nasica”, stessa derivazione di “annasare”. Comprende l'idea di un certo studio nell'odorare, adoperando il naso più da vicino: ma “nasus”  è anche spirito critico, mordacità, per cui, in senso lato, significa  avere dubbi su qualcosa, diffidare, imbronciare.

Annegliàre: annebbiare. Dal latino “ad” e ”nebula”.

Annettàre: pulire, ma anche mondare, cioè togliere la parte non buona (riferito a qualcosa di commestibile). Dal latino “niteo”, oppure dal greco "nipto" (lavare), o dal francese "nettajer".

Annicàre: annegare. Dal latino “ad”e “necare”.

Annivurari: annerire, anche oscurarsi (del tempo). Voce verbale dal latino “niger”.

Annumminàre: ha più significati. Indovinare, immaginare: dal latino “ad” e “numen” (presagire, prevedere cosa che deve ancora accadere, cogliere nel segno); invece, dal latino “ad” e “nomen” (avere rinomanza, notorietà, reputazione); “annummina annumminaglia quanti gova ci su nt'a paglia?”.

Annumminàta: vedi “nnumminata”.

Annusìare, annusìa: nausea, disgusto, ripugnanza, voltastomaco. Dal latino “ad” “nauseia”, a sua volta dal greco “nautìa”, da “naus”, nave (più propriamente, la “nautìa” era il vomito conseguente a mal di mare).

Antìcchia: un pochettino. Probabilmente deriva da “anta”, per indicare una piccola parte del mobile o dell'imposta. Potrebbe essere anche dal latino “in indice” (“index” è il sommario, il riassunto, piccola quantità di qualcosa), attraverso un parlato “indicula” (piccola parte).

Antraménte, attramente: nel mentre, nel frattempo, frattanto, nel tempo che, per tutto il tempo che. Dal francese “entremets”, a sua volta dal latino “intra missum”. O anche dal latino “ad interim” e poi dall'italiano antico “domentre”; in spagnolo “entremedias”. Oppure sempre dal latino “intra momentum”. “Interim contenti sumus exemplo”, per ora accontentiamoci dell'esempio (Fabio Quintiliano, I° sec. d. C.).

Antùra, anturéddhra: poco fa. Dal latino “ante horam”.

Anza: pretesto, appiglio, anche sicurezza, alterigia, boria. Dal latino “ansa”.

Appaguràre: impaurire, spaventarsi, temere. Dal latino “ad” e “paveo”.

Appanzallària: supino. Dal latino “ad”  e “panticem aeream”; “simi 'a panzallaria”, siamo in ristrettezze economiche.

Appanzasùpa: supino. Dal latino “ad” e “ panticem supram”.

Appanzasùtta: prono, bocconi. Dal latino “ad”e “panticem subtam”.

Apparàri: ha più significati. Rendere uguali due cose, pari, simili, dello stesso valore. Dal latino “ad” e “par” (aggettivo). Ovvero, preparare, allestire, disporre. Dal latino “ad” e “paro” (verbo),  pareggiare, far tornare i conti; sistemare, spianare la terra.

Apparicchiàre: Stessa etimologia di “apparare”. Mettere insieme cose della stessa specie, disporre la tavola per mangiare.

Apparigliàre: fare pariglia. Stessa etimologia di “apparare”. Si usa nel gioco delle carte, o nel mettere in coppia animali.

Apparramùne: lanciare contro, scagliare. Probabilmente la voce è data dall'unione di due vocaboli, ambedue spagnoli: “marrar”, alterazione dell'arabo “marrir” , uscire dal cammino, (o dal germanico “marrjian”), e da “marron”(pietra lanciata, sempre in antico spagnolo). Se così fosse, avremmo un gioco in più lingue, con l'aggiunta del latino “ad” e “per”.

Apparìnchiri (pirìnchiri): riempire a ribocco, colmare, rabboccare. Dal latino “re” (rafforzativo)  e “implere”.

Appattàre: Specie nel gioco delle carte. Essere uguale, confrontarsi a patto. Dal latino “empantar”.

Appattumàtu: assopito, acquietato, calmato. Dal latino “ad e “pacatum”. Oppure dal greco "pathéma" con l'aggiunta di "a" privativa (senza sofferenza). Non credo sia giusta la derivazione dal latino “ad pactum” proposta da alcuni autori.

Appiccapànni: appendiabito. Dal latino “ad picare” e “pannus” (veste).

Appicàre: appendere, sospendere qualcosa ad un sostegno. Dal latino “ad” e “picare” (attaccare con la pece).

Appicciàre: accendere il fuoco, incendiare. Dal latino “ad picare”, forse derivato dal fatto che la pece era utilizzata nel corso di un assedio alla città fortificata: quando i nemici appoggiavano le scale sulle mura di una città, gli assediati buttavano pece bollente, o accesa, dall'alto delle mura. Oppure, verosimilmente, dal greco "pecho apto" (accendere).

Appiccicàre: attaccare, unire insieme. Dal latino “ad” e “picare” (munirsi di pece). La pece, fin dall'antichità, era utilizzata per calafatare le navi, sfruttandone l'impermeabilità; oppure era usata per fabbricare le maschere teatrali; quindi, per traslato, qualcosa che si univa al viso.

Appiddhràre: infangarsi, impantanarsi, restare bloccato nel fango. Da “ad” e dal greco pedein pedoi” (trattenere al suolo, ritenere a terra).

Appidùni: a ciascuno. Dallo spagnolo “catauno” dal latino “unus” e “per”, con l'aggiunta di “a” tratta probabilmente dal greco “cata”. Potrebbe anche derivare dal latino “apud” (presso) e “unum”. “Nà vota appiduni 'ncavaddhri aru ciucciu”: una volta per uno in groppa all'asino, oggi a me, domani a te.

Appilari: termine in disuso. Chiudere la bocca, o il naso. Dal latino “oppilare” (ostruire). “Appilita stà vucca”, sta zitto.

Appinnìni (aru pinnìni): in giù, verso la discesa. Dal latino “ad” e “pendeo”.

Appinnulàre: appendersi, anche dormicchiare, o ciondolare la testa vinto dal sonno. Dal latino “ad” e “pendulare”, frequentativo di “pendere”.

Appistàre: ammorbare l'aria con la puzza, maleodorare. Dallo spagnolo “apestar”, forse derivato dal latino “pestis”.

Appizzàre: sprecare, sciupare, disperdere (in senso economico), ma anche pagare, impiegare (nel senso sia  di corrispondere denaro, sia in senso morale). L'etimologia più semplice è “ad” e “petia”, aggiungere pezzo a pezzo, porzione a porzione. Oppure anche dal greco “episithéo” (pagare per rifornirsi di cibo). "Ciai appizzat'u tijmp'e ra fatica" (ho perso il tempo ed il lavoro).

Appizzicàre: arrampicarsi, inerpicarsi, salire sulle piante, ma anche afferrare, stringere. Probabile etimologia da “ad” e radice “pinz”, dal verbo latino “pungo”.

Appizzintìre: diventare povero. Dal latino “ad petentem”, che è participio presente di “peto”, pregare, chiedere, domandare.

Appizzutàre: smussare, fare la punta a qualcosa, appuntare, aguzzare. Da un germanico gotico “spietz”, punta.

Appojàre: posare, appoggiare. Dal latino “ad”e “podium” (mensola, seggio, base), da cui una voce verbale del tardo latino "adpodiare".

Appòsta: proprio perché, con intenzione deliberata, ad uno scopo preciso, invece. Dal latino “ad” e “positam”, participio passato di “pono”.

Appracàre: calmare, pacificare, rabbonire. Dal latino “ad placare”, frequentativo di “placere” (essere gradito).

Apprattàre: nascondersi, appiattarsi. Dal latino “ad”e dal greco “plàtos” (esteso in superficie, in ampiezza). Si dice di animali che vogliono nascondersi.

Apprìjessu: in seguito, poco dopo, uno dopo l'altro. Dal latino “ad” e “pressum”; “gunu appriessu all'atu”, uno dopo l'altro.

Apprittàre: mettere alle strette, incalzare, provocare, stimolare, questionare, molestare, importunare. Da un tardo latino “adpectorare” (stringere al petto), oppure dal greco “epi erethein” (provocare); anche in spagnolo “apretar” ha lo stesso significato. Nei documenti delle cancellerie napoletane, durante il regno dei Borboni, era spesso usato il vocabolo “apreto” (urgenza).

Appundiddhràre: mettere un sostegno, in senso lato fare uno spuntino. E' tardo latino “ad” e “pontem”; “m'aij appundiddhrat'u stomacu”, ho appena mangiato qualcosa.

Appuntàre: fermarsi, aspettare, arrestarsi, bloccarsi. Dal latino “ad” e “punctum”; “appuntiti nù pocu”, fermati un po'.

Appuràre: scoprire, verificare, venire a sapere, rendere chiaro. Voce verbale dal latino “ad”e “purum”.

Appustàre: stare alla posta (riferito alla caccia), tendere un agguato. Dal latino “adpositare”, frequentativo di “ponere”, attraverso il suo participio passato “positum”.

Appuzàre: sopportare, soffrire, sopportare. Da un tardo latino “appulsare” (apporre).

Appuzzàre: abboccare la bottiglia, appressare la bocca ad una sorgente, anche tracannare. Dal latino “adputeare” (avvicinare al pozzo), oppure dal greco "putizo". Da notare che Maccio Plauto, già nel II sec. a. C. aveva utilizzato un termine simile nelle sue Commedie, "appotus" (colui che ha ben bevuto).

Aquasantìjera: pila dell'acqua benedetta. Dal latino “aqua sancta”.

Aquatìna: rugiada del mattino. Dal latino “aquaticus” (acquoso).

Arammucciùnu: a nascondino. Vedi “ammucciare”.

Arandrasàtta: all'improvviso, quando meno te lo aspetti, nel bel mezzo di una cosa. Dal greco “dram” radice di “draecho”(correre), e quindi : di corsa, all'improvviso. Forse, in alternativa, dal francese “entres acte”, a sua volta dal latino “in transactum”; oppure, sempre dal latino “intra res actas”, tra le cose fatte, tra i normali impegni.

Aràtu: aratro. Dal latino “aratrum”.

Arbrésc: italo albanesi. Nome che si dà agli albanesi in Calabria. Da “arbenesc”.

Arcera: termine in disuso. Nelle vecchie case dei contadini, in campagna, nel muro dirimpetto alla strada, si lasciava un'apertura, sia per controllare, non visti, eventuali estranei di passaggio, sia per introdurvi il fucile contro malintenzionati. L'etimologia del vocabolo è dal francese antico “archiere” (feritoia), a sua volta dal latino “arcus”.

Arére: erede. Dal latino “haeres”; “haeres ex asse”, erede universale (Fabio Quintiliano, I° sec. d.C.).

Argiànt: denaro, soldi. Dal latino “argentum”, tramite il francese “argent”.

Aria: aia. Dal latino “area”.

Ariali: termine in disuso. Era una specie di crivello che veniva usato per cernere il grano direttamente sull'aia, subito dopo la trebbiatura. Dal latino “arealis”.

Arìgani: origano. Dal greco “origanon”.


Arigani.


Armàggiu: costituzione fisica molto robusta, imponente, ben messa. Dal latino “armus” (spalle,  in specie degli animali).

Armàre (garmàre): accomodare, acconciare, ordire, inventare (una bugia),  preparare una trappola. Dal latino “arma” (arma, ma anche arnese), oppure dal greco “armozo”, organizzare per bene, congiungere, connettere (termine omerico, Iliade). “Garma 'na minzogna, quanni 'c'è bisogne”, dì una bugia soltanto se c'è veramente bisogno.

Arpagùne, arpàju: Vocabolo ormai in disuso. Era una sorta di arpione, o rampone, usato per adattare i cerchi alle ruote del carro durante la sua costruzione, oppure per adattare i cerchi metallici alle doghe delle botti. Dal greco “arpax” (rampone).

Arrabbattàre: darsi da fare, affaccendarsi, cercare tutti i mezzi per riuscire in uno scopo, fare le cose in fretta e furia. Dallo spagnolo “arrebatarse”, di probabile origine araba “hal harebsàr”.

Arracamàra: ricamare. Dall'arabo “raqama”.

Arraccummanàre: raccomandare, affidare, segnalare una persona. Dal latino (ha tre rafforzativi) “ad” e “re” e “cum” e “mandare” (consegnare, affidare).

Arradicàre: attecchire, mettere radice. Voce verbale dal latino “ad radicem”.

Arragàre: essere stanco per un lungo cammino, trascinare i piedi, stancarsi, portare addosso faticosamente. Dal greco “regnumi”, abbattere, in senso personale (termine omerico).

Arraggiàre: usato di solito al riflessivo. Stizzire, arrabbiarsi, andare in collera, inquietarsi. Voce verbale dal latino “ad” e “rabies”.

Arragunàre:  vivacchiare, sbarcare il lunario, tirare a campare. Dal prefisso latino “ad” e dal greco “rachòdes”, cencioso, straccione, pezzente, morto di fame (termine omerico, Odissea).

Arramazzàre: Pulire grossolanamente con scope fatte da steli di canne. Probabile etimologia da “ad” e “ramus”.

Arrambàre: prendere con destrezza, raccogliere con fretta, afferrare. Dal germanico “rampfon”, oppure dallo spagnolo catalano “arambar”.

Arrancàre: avvicinarsi in fretta, mettersi in movimento, ma anche trascinarsi, zoppicare. Probabilmente da “ad” e “ranco” (dal provenzale: zoppo); oppure da “ad” e dal germanico “hanka”. Vedi “anca”.

Arrangàre: socchiudere la porta. Probabilmente da “ad” e francese “rang”, nel senso di mettere in riga al muro.

Arrangiàre, arrangiuliàre: accomodare, rabberciare, arraffare, acconciarsi alla meglio, aggiustare, mettere insieme in qualche modo, trarre il miglior profitto da una circostanza. Da un antico francese “arranger”.

Arrapàre: eccitarsi sessualmente. Probabilmente dal greco “rapto” (Erodoto, V° sec. a. C.), oppure dal latino “ràpere” nel suo significato traslato “prepararsi con impeto ad un rapporto”; in spagnolo catalano “arrapar”.

Arrappàre: raggrinzire, increspare. Voce verbale dal “rapum”, forse per assonanza con le foglie della rapa. Oppure da un gotico “rappa” (ruga).

Arrasiàre: togliere per il sottile, avvicinare. Stessa etimologia di “arrassare”.

Arrassàre: scostare, allontanare. Dal latino “ad” e “rasum”. Potrebbe derivare anche dallo spagnolo “arrastrar”, a sua volta dal greco “arasso” , trascinare, scagliare, urtare con rumore (termine omerico); oppure da un etrusco simil latino “arse verse”(sta lontano dal fuoco). Anche in arabo “harrada” ha lo stesso significato. Da questo termine deriva l'esclamazione di buon augurio o di scongiuro “arrassu sia!” (che stia lontano).

Arrassimigliàre: rassomigliare.  Dal latino “ad” e “re” e “similis”.

Arrassinùve: lontano da noi, eccetto che noi. Stessa etimologia di “arrassare” con il latino “nos”.

Arrassitutti: lontano da ciascuno. Stessa etimologia di “arrassare” con il latino “totus”.

Arrassusìa: (esclamazione). Stia lontano, alla larga. Stessa etimologia di “arrassare” con il latino “sit” (congiuntivo presente del verbo “esse” a funzione esortativa).

Arravugliàre: ravvolgere, riunire, affardellare, arrotolare, anche abbindolare qualcuno con chiacchiere. Dal latino “ad” e “re” e “volvere”, oppure dallo spagnolo “arrebujar”, ma la derivazione è sempre dal latino “volvere”; ipotesi etimologica alternativa, soprattutto per il secondo significato, è dal greco “arrébon olluein” (mandare a rovina la caparra, e quindi imbrogliare).

Arrazzàre: allevare, fare razza, ma anche mettere radice. Due etimologia possibili: dal latino “ad” e “radix” (radice), oppure dall'arabo “ras” (origine, principio).

Arré, arrivò: voce per incitare o stimolare i buoi; “arrivò Catarina, vò”, lo diceva mio zio “Finannuzzu 'i cicchi”, che era solito dare nome di persona ai suoi buoi. Sembra una voce onomatopeica, ma non lo è. Potrebbe derivare dal greco "tharros" (coraggio, voce di incitamento); oppure da un antico francese "harier" (incitare); ancora da un antico spagnolo "arrear" (stimolare le bestie con la voce), da cui deriva pure "arriero" (mulattiere); infine, l'arabo "harrià", voce di stimolo per gli animali da soma. Io propendo per l'ultima ipotesi. Vedi anche "scì".

Arregliàre: mettere in ordine, sistemare nel posto giusto. Dallo spagnolo catalano “arreglar”.

Arregnàre: attecchire, durare, crescere bene (di solito riferito a piante). Dal latino “ad”e “regnum”.

Arricciuliàre: fare un ricciolo, avvolgere un filo, riferito anche alle cartine di sigarette. Dal latino “ad” e “ericius”, per assonanza con il riccio che si avvolge per paura; oppure dal latino "adrigere", attraverso una forma intensiva "arrictiare".

Arricintari (arrisindari): termine in disuso. Quando mia madre lavava i piatti  e cambiava l'acqua ( non corrente) di lavaggio, diceva spesso questo termine. Dallo spagnolo “recentar” (cambiare nella forma); anche in un tardo latino volgare “recentare”.

Arricittari: riassettare, rimettere in ordine. Dal latino “receptare” (ricevere, accogliere) in unione con “asseditare” (mettere ordine).

Arricriàre: vedi “ricriare”.

Arriddùciri: ridursi in una situazione, in una condizione peggiore o per una forzata limitazione o per stato di necessità, immiserirsi. Dal latino “re ducere”.

Arrìjetu: indietro, qualche tempo fa. Dal latino “in de retro”; in francese “arriere” ha lo stesso significato.

Arrimiscàre: arrangiarsi, fare quanto meglio si può, prendere parte, mischiarsi. Dal latino “ad” e “misceo”.

Arriminari: vedi “riminari”.

Arrinacciari: vedi “rinacciari”.

Arringàre: riferito agli animali. Sospingere, incitare. Probabile etimologia da “ad” e “hring” (germanico: recinto a forma di cerchio). Tramite un tardo latino “arengum”(circolo, recinto).

Arripàre: accostare, socchiudere, appoggiarsi. Dal latino “ad” e “ripam”, oppure dallo spagnolo “aribar”.

Arripizzàre: rattoppare, rappezzare. Stessa etimologia di “appizzare”, ma con il suffisso “re”.

Arriscìri: risultare, fare capo a, finire bene qualcosa. Dal latino “re” e “exire”.

Arrisicàre: correre un rischio. Dal latino “resecare” (sopprimere, reprimere, frenare con pericolo).

Arrisiddhrari, risiddhrari: sistemare, fare un piccolo accomodamento di un'opera, mettere in ordine, ultimare un lavoro. Potrebbe derivare dal latino “ad resedare”, calmare, e quindi, in senso traslato, dare sistemazione, ordine, ma è una derivazione che non mi piace molto. Più verosimilmente, potrebbe essere una voce verbale dall'aggettivo latino "residuus".

Arrissimigliàre: vedi “arrassimigliare”.

Arrittàre: vedi “addirizzare”.

Arrivittàre: abbellire con ornamenti, decorare, guarnire un orlo, fregiare. In origine il rivetto era la ripiegatura verso l'esterno dell'orlo dell'impugnatura della spada, che serviva, oltre che per finimento, anche per arrestare la punta della lama avversaria e impedire che, strisciando, potesse ferire la mano o il braccio. Diminutivo dal latino “ripa”, in senso traslato estremità, quindi orlo. Ipotesi alternativa, la derivazione dallo spagnolo “enripetar”, riferito però alle scarpe.

Arrivotàre: mettere sottosopra, rivoltare, sconvolgere. Dal latino “re” e “voltare”, frequentativo di “volvere”.

Arrivugliari: involgere, avvolgere. Dal latino “involvere”.

Arrivulàre: lanciare, scagliare con impeto, buttare, balzare. Dal latino “ad” e “re” e “volare”.

Arrizzàre: arricciare, aggrinzare. Voce verbale dal latino “ericius”, oppure da “arrectiare”, intensivo di “adrigere”.

Arrizzicàre (arrisicàre): azzardare, rischiare, mettere a repentaglio. Due etimologie possibili: dal greco “risicon”(rischio, destino), o dall'arabo “rizig” (vita che dipende dal destino).

Arrozulàre (arruozzulàre): rotolare, fare un capitombolo, cadere per terra. Dal latino “ad” e “rotulam” (diminutivo di “rota”). "U puurc'abbuttatu arruozzul'u scifu", il porco sazio ruzzola il trogolo.

Arrummàre: tuonare. Dal greco “rome”, forza rumorosa (Erodoto, V° sec. a. C.); o forse anche onomatopeico “rumm” (il rumore del tuono).

Arruocculàre: uggiolare, gemere con insistenza e fastidio, anche fare le cose in fretta, parlare facendo confusione con le parole. Da “ad” e “rouculer” (francese: tubare dei piccioni). O forse, “ad” e “rucc” (onomatopeico). O, ancora, dal greco "rouchalòn" (grido, lamento propio degli animali).

Arruommulàre: involtare, involgere, ma anche precipitare rotolando. Da “ad” e  dal grecorombos”, trottola, ruota (Pindaro).

Arrunchiàre, arrugnare: rattrappirsi, restringersi, contrarsi, rannicchiarsi, ma anche arricciare il naso. Da “ad” e “runcare (runculare)” (sarchiare il terreno in modo superficiale, increspare il suolo. Per assonanza); oppure, sempre dal latino “ad corrugare (raggrinzare), attraverso uno spagnolo “arrugar”.

Arrunzàre: far presto e male, abborracciare, pigliare alla rinfusa, ma anche avvoltolare in modo sgraziato. Potrebbe derivare da “ad” e “ronzare” (verbo da voce onomatopeica “rrzz”, propria di alcuni insetti, api, calabroni, che, volando, producono un rumore sordo e vibrante). O forse anche dal francese “roder” (gironzolare, aggirarsi). La mia fantasia me lo fa accostare anche allo spagnolo “roncin” (ronzino), cavallo sgraziato, goffo e sgangherato, riferimento al famoso Ronzinante del cavalier Don Chisciotte, dal romanzo di Cervantes; d'altra parte, potrebbe derivare pure dallo spagnolo “roncear”. Ipotesi alternativa, la derivazione diretta dal greco “arrutmeo” (manco di regole, di ordine,  di simmetria).

Arrussicàre: arrossire per vergogna o per pudore. Dal latino “russesco” (diventare rosso).

Arrutàre: circondare, attorniare, accerchiare; anche affilare, smussare, molare. Dal latino “ad rotam”.

Arruzzàre: arrugginire. Dal latino “ad” e “robigo” e “aerugo”.

Arsìculu: pernio, assicella, chiodo che trattiene la ruota nell'asse. Dal latino “axiculus”.

Asciuttare: asciugare, detergere. Dal latino “exsuctus”, participio passato di “exsugere”.

Assaccari: avere affanno, perdere il fiato, respirare con difficoltà.  Voce verbale derivata  dall'incrocio tra  due vocaboli latini: "anxia" (ansia, tardo latino) e "asthma" (asma, latino classico).

Assambràre: riunire, mettere insieme. Da un antico francese “assembler”.

Assitazzare: setacciare la farina. Dal latino “saetacium”.

Assittàre: sedersi. Da un tardo latino “asseditare” derivato da “sedere”.

Assùgliu: subbio del telaio. Dal latino “insubulum” (come vari elementi del telaio).

Assulicchiàre: stare al sole durante i mesi invernali. Voce verbale dal latino “sol”.

Assumbràre: sembrare, parere, somigliare, adombrare. Da un antico francese “semblar”, che è il tardo latino “similar” derivato da “similis”.

Assummàre: sporgersi, affacciarsi da una finestra. Dal latino “ad summum”, dall'alto, oppure dallo spagnolo “asomarse”. Voce in disuso.

Astutàre, stutàre: spegnere, smorzare (il fuoco); estinguere la sete. Vedi “stutare”. Da “ex”e “tutari” (più propriamente: difendersi da, proteggersi). Più verosimolmente, potrebbe derivare da una voce verbale tratta dall'aggettivo latino "aestus" (bollore, calore, vampa) con "a" privativa (quindi togliere il calore, la vampa).

Asuliàre: ascoltare, origliare, stare a sentire, orecchiare. Dal latino “ad” e dall'osco “ausis”, affine al latino “auris” (orecchio), da cui “auscultare”, attraverso una forma “ausuliare”.

Attagnàre: fermare il sangue da una ferita, arrestare il flusso di un liquido. Da “a” (greco: alfa privativo) e “stazo”, gocciolare (Erodoto, V° sec. a. C.), quindi far cessare di gemere o versare. Altra etimologia: dal latino “stagnare”, con radice di “sta” (stare fermo, immobile); “Nilus effusus stagnat aquas omnes”, il Nilo straripato ristagna tutte le acque (Virgilio Marone I° sec. A.C.); in spagnolo catalano “atajar”.

Attassare: voce ormai in disuso. (Vocabolo suggerito da Maria Grazia Crispino). Raggelare, atterrire, agghiacciare per lo spavento, per una paura improvvisa, anche stordire. La probabile derivazione è dal latino “taxus”, albero dell'ordine delle conifere. Sembra che non vi sia alcuna connessione tra i due termini. Epperò... Il tasso ha due particolarità: il legno è unico, perché molto resistente e molto lavorabile, e veniva usato soprattutto per la costruzione di archi e frecce, fin dal tempo dei greci (vedi “tuossicu”). L'arco rinvenuto accanto ad Oetzi, l'uomo del Similaun, ritrovato nel 1991, e risalente al 3.000 circa avanti Cristo, era di legno di tasso. L'altra particolarità è che il fogliame, le bacche, la corteccia sono altamente tossiche se ingerite e la sintomatologia è data da tremori, grande sensazione di freddo, svenimento, paralisi respiratoria e quindi morte; da qui il significato del vocabolo.  Anche l'estratto era mortale, tanto che ne venivano intinte le lance e le frecce (questo ce lo racconta Teofrasto, un botanico greco del 3° sec. a. C., mentre Shakespeare dice che re Claudio  uccise suo fratello, il padre di Amleto, versandogli nell'orecchio, mentre dormiva, una sostanza estratta dalle foglie e dalle bacche di tasso).  Dallo studio di questo veleno è anche derivato l'odierno termine di tossicologia. Vorrei fare ancora qualche considerazione sull'albero, collegandomi al viale che dall'ingresso del cimitero di Tarsia porta alla piccola cappella in fondo: gli alberi sono tutti delle conifere. Questa usanza di piantare il tasso nei cimiteri è propria dell'occidente, e per vari motivi. Data la sua longevità, la credenza popolare antica credeva di assicurare ai morti una qualche immortalità; i popoli nordici piantavano questi alberi nei cimiteri, pensando che la pianta, inviando una radice ad ogni corpo sepolto, potesse proteggerlo dagli spiriti maligni; per i greci ed i romani era l'albero della morte, inteso come passaggio ad una vita nuova, messo a guardia della porta che separa due mondi. Infine,  anche la medicina ha dato il suo contributo, nella considerazione che in questo albero la vita e la morte si uniscono: dalla sua corteccia si estrae un alcaloide, detto taxolo, efficace nella cura di neoplasie ormone-dipendenti ( ovaie e mammella); l'unico problema è che per avere 1 grammo di questa sostanza sono necessari migliaia di alberi.
Al termine di questa presentazione, vorrei aggiungere ancora qualcosa. L'albero del tasso (taxus baccata) non va assolutamente confuso con il Verbascum thapsus, tasso barbasso, né va confuso con il termine tarsiano “tassu” (daphne gnidium, o dittinella), il cui veleno, opportunamente preparato, serve per la pesca. Anche l'etimologia è diversa.

Attiddhràtu: attillato, vestito con cura e ricercatezza. Dal francese “atillier” (acconciare). Oppure da un diminutivo “aptillare”, derivato dal latino “aptare” (porre in assetto, adattare, aggiustare). Se derivasse dal francese, si spiegherebbe anche l'origine di “atelier” (negozio, laboratorio di alta moda).

Attinnitùru: pezzo di legno cilindrico che serve a fissare il subbio del telaio. Dal latino “ad tendere”. Un vecchio telaio lo aveva mia zia Teresina: a lei devo tutti i termini delle parti attinenti.


Attinnituru.

Attippàre: tappare, chiudere, turare. Dal francese “taper”. In alternativa, dal latino “stipare”, con l'influsso di un tardo latino “stuppare”.

Attisari: tendere, tirare. Da un tardo latino “tensare”, frequentativo di “tendere”.

Attizzari: ravvivare la fiamma disponendo e accomodando i ceppi di legni in modo che brucino meglio. In senso figurato, anche eccitare, stimolare. Istigare contro qualcuno. Voce verbale dal latino “ad titium”.

Attrassu: termine in disuso. Era la parte di raccolto (grano, olive o quant'altro) che il colono doveva al proprietario del fondo, e che, in caso di insolvenza, prometteva  di consegnare l'anno seguente. L'etimologia è dal latino “ad trans” ( al di là di, oltre), forse tramite il termine spagnolo “atraso” (indugio, ritardo).

Attroppicàre: inciampare, incespicare. Dallo spagnolo “tropezar”, oppure “trompicar”. In greco “truptico”, rompersi, piegarsi (termine omerico, IX sec. a. C.).

Attuppàre: incappare, imbattersi, capitare a proposito. Da un antico spagnolo “atopar”. Potrebbe anche derivare dal greco "topos"(luogo) con la congiunzione latina "ad", cioè andare verso un luogo, un posto.

Aùnci: stare attento, sulla difensiva, stare all'erta. Probabile voce onomatopeica, oppure dal latino "unde hic" (dove qui).

Autu, autru: altro. Dal latino “alter”, in unione con “uter”, l'altro fra due. Mentre in tarsiano è semplicemente “l'altro”, in latino “alter” è uno dei due”, e “uter” è quale dei due. Sottile differenza.

Avantànnu: l'altro anno. Dal latino “ante annus” (prima del presente anno).

Avantarsi: vantarsi, esaltarsi, magnificare. Dal latino “venditare” (ottenere lodi: usato in questo senso da Cicerone), frequentativo di “vendere”. “Carta véna e jucaturu s'avanta”: espressione presa in prestito dal gioco delle carte. Chi, presuntuoso, si fa meriti di un proprio successo, non dovuto alle capacità o valore, ma alla fortuna o alla buona sorte.

Avantìjeri: avantieri, l'altro ieri. Dal francese “avant hier”: è forma relativamente recente, da contaminazione con altri dialetti, perché a Tarsia si diceva, e si continua a dire, “nustierzu”.

Avantisìne, vantisìne: grembiule. Dal latino “ante sinus”.

Avastàre: essere sufficiente, continuare, durare. Vedi “abbastare”. Potrebbe anche derivare dal latino “bastare” (essere di sostegno).

Avéste (avestra): eccetto che, fuorché. Dal latino “ab extra”. “Avesta  i tìa”, all'infuori di te.

Avintàre:  essere in forze, capace di compiere qualche azione, non stanco. Probabile dal latino “habens”  (avente), participio presente del verbo “habeo”;  “angòra s'aventa”, è ancora in gamba, ancora in forze.

Avissammende: abbastanza, a sufficienza, fin troppo.

Avòglia: inutilmente. Vedi “abboglia”.

Azàta: alzata, levata. La mia prima ipotesi è stata di far derivare il termine da un tardo latino medievale “altiata” (levata, cioè un giorno in cui si leva la carne); non mi ha convinto molto. “U Marte d'azata” è il martedì grasso, dal latino “dies a Martis atsolis” da “altsus”, alimento di carne grassa (Teodosio Macrobio, V sec d. C), vocabolo derivato dal verbo “alo” (alimentarsi, nutrirsi).

Azz: caspita! Tronco per “cazzu”.

Azzancàre: usato in senso riflessivo. Inzaccherarsi, infangarsi. Probabilmente dal germanico “fanz” (fango) e “hanka” (gamba).

Azzariatu: forte, di acciaio. (Vocabolo suggerito da Maria Grazia Grispino).  Voce verbale derivata da “azzàru”. Nell'espressione “ghè azzariatu ccù diavulu”, ci si riferisce a persona fisicamente forte, di non comune resistenza, oppure che sia guarita da grave malattia. In passato, non nella provincia di Cosenza, ma in altre parti della Calabria Ultra, si usava somministrare alle donne malate di malattie riferibili al sesso, oppure come prevenzione per l'aborto alle donne incinte, un infuso di acqua ferruginosa, con  l'acqua lasciata a macerare in un intingolo di erbe, in cui veniva poi immerso del ferro rovente (il ferro da stiro pulito dalla brace andava bene): era la cosiddetta “acqua azzarriata”. Non mi spiego quale possibilità terapeutica potesse avere un'usanza del genere.

Azzàru: acciaio (vocabolo suggerito da Maria Grazia Grispino). Da un tardo latino “aciarium”, ferro temperato, a sua volta derivato da “acies”, punta degli strumenti da taglio.

Azziccàre: salire, montare, andare su un luogo più alto e staccato da terra, anche colpire giusto, affibbiare un colpo. Dal latino “ad” e “titulum” (segnale in alto), da cui il verbo “adtitulare” (andare verso un titolo di onore, di merito, di vanto, qualcosa di più elevato), oppure dal latino “actius agere”, fare del moto verso l'alto (questo termine era usato soprattutto nelle rappresentazioni teatrali); nel secondo significato dal germanico “zecken”.

Azzinnàre: vedi “zinnare”.

Azziddhràre: vedi “allissare”.

Azzorràit: tutto bene. Voce di ritorno dagli emigranti negli Stati Uniti, “that's all right”.

Azzuppàre: diventare o far diventare zoppo, inciampare. Vedi “zuoppu”.

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