Cibo e dintorni.
A chini mi duna pani, u chiamu tatu: rispetterò come genitore chi mi dà da mangiare.
A nnà mugliera sanizza doppo nà bella mangiata 'a peddhra s'aggrizza: è bello giacere con una moglie vogliosa dopo una gran mangiata.
A pignata ti vuddhra 'mpara a ttìa: tutto ti va per il meglio.
A tavula misa, chin'un mangia perdid'i spisi: quando sei invitato, accetta l'invito, altrimenti ci rimetti.
Acqua fusa ar'a lavina: operazione inutile, consiglio superfluo.
Ad acini ad acini s'accucchiad'a macina: chicco dopo chicco si fa la macina; un po' alla volta si fa la grande quantità.
Adduvi cè panza, cè crianza: c'è educazione dove c'è abbondanza.
Addhruve c'è gustu 'un c'è pirdenzia: dove c'è gusto non c'è perdita; quando una cosa piace, non ha prezzo.
Alivi e fichi, minili cum'u nimichi: pota spesso e a fondo l'albero di ulivo e di fico.
Alliccat'u tiganijddhri, cà fa i figli bijddhri: lecca il tegame, se vuoi avere dei bei figli; esortazione a una buona alimentazione durante la gravidanza.
Ami sciuddhrat'u furnu: abbiamo rotto il forno: abbiamo avuto da ridire, abbiamo litigato.
Ara casa di pizzendi 'un manchini i stozzi: a casa dei poveracci non mancano tozzi di pane.
Ara faccia du casicavaddhru: alla faccia del caciocavallo. Colorita locuzione riferita a stupore o meraviglia, a fronte di un avvenimento inaspettato. Il termine “casicavaddhru” è usato in luogo di altri più volgari.
Ara fatica Micuzzu Micuzzu, ara tavula Micuzzu nù cazzu: quando si tratta di lavorare, mi chiami e mi inviti, ma quando si tratta di mangiare...
Aru magazzin'i Gadeddhra 'un cè caputa nà misureddhra: constatazione di genitori o nonni, quando si lasciava nel piatto qualche boccone.
Cà ti vuoni fa aru suzu: che tu possa diventare come la gelatina del maiale.
Cà vù avì l'erva aru scalunu e 'u ragnu ara cridenza: che tu possa avere l'erba davanti la porta e le ragnatele nella credenza, invettiva con cui si augurava un avvenire di povertà e di solitudine.
C'è chiavatu Santu Martinu: è arrivata l'abbondanza.
Campani glorianni, cuddhrurijddhri scataruzzanni: in quanto andavano spezzati il giorno di Pasqua. Io credo che fosse un'abitudine in qualche modo collegata a riti propiziatori usati nell'antichità.
Ccù culu ruttu e senza cirasi: avere un danno senza alcun beneficio, aver fatto un lavoro inutilmente, senza alcun ricavo.
Ccù tijmpu e ccà paglia maturin'i nijspuli: con l'operare adagio si fa meglio a perfezionare le cose, i risultati sperati si ottengono soltanto avendo pazienza. La nespola si raccoglie acerba e poi si fa maturare su tralicci di paglia in locali arieggiati.
Chini manijd'a farina si 'nchianchijd'i mani: chi ha le mani in pasta, senz'altro ne trae qualche vantaggio.
Chini sparti si frichi'a meglia parta: chi divide, tiene per sé la parte migliore.
Chini stà appuggiatt'all'ati e n'un cucina, a sira si ricoglia murmuriannu: chi si fida delle promesse altrui, spesso rimane deluso.
Chini tocchid'a farina si nchjand'a mana: chi è coinvolto in una situazione favorevole, ne trae comunque un beneficio.
Chini va all'acqua si'abbagna e chini va aru mulinu s'imparina: chi all'acqua va si bagna e chi va al mulino si infarina.
Chiss'umminni ghijnchia panza: questa azione non mi dà alcun beneficio.
Cià pers'u curtijddhru?: domanda ironica usata per far capire che uno, anche se amico, è poco gradito.
Conzula cumu vò, ma sembi cucuzza ghè: aggiustala come vuoi, sempre zucca è: per dire che non puoi travalicare la natura delle cose, non si può negare la realtà.
Dunimi tijmpi ca ti rusichi: da tempo al tempo.
E cum'à ditta Renza Renza adduve c'è gustu 'un c'è pirdienza: come ha detto Renza dove c'è gusto non esiste perdita. Il detto mi dà l'occasione di parlare di “wellerismo” (dal nome di un personaggio del romanzo Il circolo Pickwick dello scrittore inglese Charles Dickens): cioè una frase, un proverbio, di solito espresso tra il serio ed il faceto, attribuito ad un personaggio reale o immaginario. In questo caso, non si sa bene chi sia stata questa Renza.
Fà ù spijertu ara vigna i l'ati (oppure: fa u patrunu ara vigna i l'ati): riferito a chi si fa bello con la roba, i prodotti, o le cose altrui.
Figli fimmini e vutt'i vini, spicciali quanti prima: cerca di disfarti prima possibile delle figlie e del vino, perché altrimenti le prime rimangono zitelle e diventano un carico per la famiglia, il secondo diventa aceto.
Gagli e cipuddhri, cummiglici a miduddhra: aglio e cipolla non vanno piantati in profondità, ma sotto un sottile strato di terreno.
Ghè cchiù fiss'i l'acqua cauda: è più stupido dell'acqua calda. Riferito allo sciocco, equiparato al sapore insipido dell'acqua riscaldata, senza alcun condimento.
Ghè nu pitrusinu ppì ogni minesta: è prezzemolo per ogni minestra. Riferito a chi non perde l'occasione di essere sempre presente, di intromettersi in ogni discussione e dire sempre la sua.
Gisù Cristu duna pani a cchini nun tena dijnti: la provvidenza provvede sempre per chi non può usufruirne.
I guai d'a pignata 'i sà sul'a cucchiara: soltanto chi è dentro alle cose ne può capire la sostanza.
Jinnari sicchi, massari ricchi: se il mese di gennaio non piove, il raccolto dell'anno sarà senz'altro buono.
L'amur'i lundanu ghè cumi l'acqua 'ndu panaru: non ci si può amare a distanza, perché l'amore necessita di presenza.
Largh'i caniglia, stritt'i farina: risparmia sul necessario, spendi sul superfluo.
M'à dunata a trippa aru curtieddhru: mi ha dato la pancia al coltello, mi ha provocato in senso di sfida.
Mangia a gustu tuu e vesta a gust'i l'atri: mangia secondo il tuo gusto, ma vesti a gusto degli altri.
Mazzi e panelli fan'i figli belli, panelli sanza mazzi fan'i figli pazzi: per crescere bene i figli sono necessari sia il pane che l'intransigenza.
Mi para nù ciciru 'ndù crivu: mi sembra un cece nel crivello; riferito a chi non sta mai fermo, è sempre in giro.
Mijgli pan'e cipuddhra ara casa ttua, ca carna e maccarruni ara casa i l'ati: meglio pane e cipolla, cibi poveri, a casa tua, che non carne e maccheroni, cibo da ricchi, a casa degli altri.
'Nda casa du pizzenti non mancunu mai i stozzi: in casa del poveraccio non mancano mai tozzi di pane.
Panza e prisenza: pancia e presenza. Lo si dice riferito a chi, invitato a mangiare, si presenta a mani vuote.
Parma 'mbusa, gregna gravusa: pioggia alla domenica delle Palme, covoni abbondanti: se piove prima di Pasqua i prodotti della terra saranno più ricchi.
Puru 'u vinu ogni tanti si fà acitu: pure il vino, ogni tanto diventa aceto. Anche le buone persone potrebbero essere corrotte.
Quann'i figli ar'allivà cap'i chiuuvi ara rusicà, quanni vù sapì i duluri ti mariti e ti 'nzuri: per crescere bene i figli devi fare qualche sacrificio; se vuoi conoscere i dolori, ti basta il matrimonio.
Quanni ghera cirasa: quando ero giovane.
S'arrisic'a ttuttu ppì nà corchia 'i lupinj: si appiglia a tutte le scuse per un nonnulla.
S'u tamarri canuscijd'i chiappiri, 'un ci lassava aru patrunu: se il villano conoscesse i capperi, non li lascerebbe al proprietario del fondo dove si raccolgono. Espressione icastica e risentita, per indicare che solo la conoscenza delle cose, o delle situazioni, ci permette di apprezzare appieno ciò che, altrimenti, sarebbe solo appannaggio altrui.
Si 'un cè pasta 'ndà majiddhra, ghè nutulu c'ammassi: per indicare chi aveva scarse competenze e capacità.
Si vò ghijnchi u ciddhraru, zappa e puta a jinnaru: se vuoi riempire la dispensa, zappa e pota a gennaio: bisogna fare le cose al momento giusto.
Si vò mangià a carna ccù gustu, prima ara vuddhra, ppù ara rrusta: consiglio culinario.
Si vò minti culuri, mangia e biva prima che ghescia 'u sulu: se vuoi mettere colore, mangia e bevi prima che faccia l'alba (se vuoi combinare qualcosa di buono, attivati presto la mattina).
Sì vò mmità amici, carn'i vòi e lign'i fichi: perché la carne di bue è dura da mangiare e il legno di fico vale poco.
Sizzi, sizzi, sizzi... nu poch'i pani e sazizzi: cantilena che si ripeteva nei giorni di Carnevale.
Sta mangianni a ddui, o a quattru parmijenti: si fa riferimento a chi mangia con ingordigia, avidamente, anche in senso traslato, con allusione a guadagni e profitti illeciti, soprattutto da parte di chi ricopre cariche pubbliche.
Su vicinu n'i tene, adduru ti vena: se il vicino di casa ha qualcosa, anche tu ne godi (esempio della solidarietà passata).
Tà vò f'a fricata: hai da fare con questo una gran mangiata.
Tena tutt'vizzji d'u rosamarinu: ha tutti i difetti del rosmarino, questo perché la pianta in questione, oltre che dare un po' di aroma al cibo, non serve praticamente a nulla; non è albero che dia ombra o frutti, se acceso non dura tanto da dare calore, fa fumo, dà una cenere inservibile.
Ti salutu, ped'i fichi: è una sorta di commiato o di liberazione da un impegno gravoso, oppure per indicare un'opera incompiuta, non portata a buon fine.
Trippa chijna canta e nò cammisa janca: è meglio avere la pancia piena che non avere un bel vestito.
U citrulu va 'nculu all'uurtulanu: la beffa si ripercuote contro chi ha fatto le cose a fin di bene.
U Patiternu duna pani a chini 'un tena dendi: il Signore da il pane a chi non ha denti: la fortuna capita in ritardo, a chi non ne può più usufruire. Spesso nella vita si viene premiati oltre i propri meriti, o si viene in possesso di fortune che si è incapaci di gestire.
U piruni dicia ghùnu: invito a piantare soltanto un albero di prugna, data la capacità di questa pianta a formare getti alla base.
U scarciofili si munna na frunna a vota: il carciofo va mondato brattea dopo brattea. Le cose vanno fatte con calma, se si vogliono ottenere risultati certi bisogna procedere con cautela e giudizio.
U suvierchiu rumpid'u cuvierchiu: il troppo stroppia, ogni eccesso è un difetto.
Un c'è pasta 'nta majiddhra: non c'è impasto nella madia, per indicare una carenza di qualcosa.
Un ti vò abbuttà manchi a sira d'azata: che tu non possa rimpinzarti di cibo neanche il martedì di Carnevale: se non lo puoi fare allora, non potrai farlo il giorno dopo, perché inizia la Quaresima.
Và truvannu finuucch'i timpa: riferito a chi cerca il pelo nell'uovo, oppure accampa pretesti.
Vigna e guurtu vuunu l'uomini muurti: vigna e orto vogliono l'uomo morto di fatica: per ottenere qualcosa di buono dalla terra bisogna lavorare tanto.