lettera l - Tarsia dialetto

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L

In posizione intervocalica e nel caso di doppia, assume il suono fricativo “ddhr”.

Làbbis: matita. Dal latino “lapis” (pietra usata per disegnare); “lapide candiore notare”, disegnare con una pietra bianca (Valerio Catullo, I sec. a.C.).

Lacciàta: scotta, parte di siero non rappreso che rimane nel calderone, dopo aver fatto il formaggio e che, unito ad altro latte puro, serve a fare la ricotta. Dal latino “lactata”.


Lacciàta.

Lacrimijàre: lacrimare, ma anche gocciolare. Dal latino “lacrima”.

Làgana,  laganéddhre: sfoglia di pasta tagliata in fettuccine, che di solito si cucina con i ceci o altri legumi. Dal latino “laganum”, a sua volta dal  greco “laganion” ( in origine era una pasta sfoglia, riportata come termine anche nel Vecchio Testamento); “ciceri refero laganique catinum”, mi preparo un bel piatto di ceci e lagani (Orazio Flacco, I° sec. a.C.).

Ciciri e laganeddhre.
Laganatùru: matterello con cui si spiana la “lagana”.

Laganu: agnocasto (vitex agnus castus). Dal greco "lachanos" (erba in generale). A fasci, veniva usata soprattutto per ramazzare l'aia o la stalla.

Laganu.

Lagnùsu: sporco, lagnone, lamentoso, ma anche pigro. Dal latino “laniare”.

Làitu: sporco, sozzo, in senso morale, turpe, osceno. Da un antico francese normanno “laidh”.

Lamàtu: andato a male, guastato, marcio. Dal latino “lama” (pozzanghera, palude, acqua stagnante).

Làmpa: bevuta smodata e avida di vino. Dal francese “lamper” (più precisamente, vino rosso), forma nasalizzata di “laper”, da un tardo latino “lappare”. In francese “boire une lampée de vin”, bere vino in gran quantità, e “lamper” significa ubriacarsi. Da notare che in Calabria, nella zona di Soverato, si coltiva un vitigno di uva rossa detta “lampa”.

Lampàre, lampiàri: lampeggiare, balenare, rilucere. Dal latino “lampare”. L'espressione “lampami 'inculu” indica un piccolo insuccesso, un risultato inefficace, intempestivo o controproducente. Il racconto popolare lo vuole riferito ad un contadino che, tornando a casa in una notte buia e tempestosa, cade e rompe un recipiente; mentre è chino per raccoglierne i cocci, un lampo gli illumina il didietro, e lui si sfoga contro la sfortuna.

Lancéddhra: piccola brocca di terracotta, a forma di scodella. Da un tardo latino “lancella”.

Lancéddhra.
Landrùne, lindrùne: spilungone, persona alta e magra, ma anche scansafatiche, fannullone, anche persona disonesta. Potrebbe derivare dall'italiano “lanternone”, e quindi come accrescitivo dal latino “lanterna”; oppure, come accrescitivo dal greco “andròs” (uomo). Da una  mia ipotesi suggestiva potrebbe derivare  da un latino medievale “palandrano”, veste lunga e larga che portavano i marinai delle “palandre”, navi che navigavano nei pressi delle coste; oppure da un antico germanico “wallandaere”, vagabondo, o sempre dal germanico “laendern” (vagabondare). Un'altra mia fantasiosa ipotesi potrebbe far derivare il termine dall'unione del latino “malus” e dal greco “andròs”, da cui l'italiano malandrino.

Lannia: pentola di latta, o di alluminio per friggere peperoni, o pomodori, e patate. Dal latino “lamina” (piastra di metallo, lamina).

Lanniùsu: lagnoso, lamentevole, piagnucoloso. Dal latino “laniare” (lacerarsi la persona, quindi dolersi, lamentarsi).

Lanzittàta: dolore, tipo fitta intercostale. Dal latino “lancea”.

Làppa: grosso pezzo, schiaffone. Dal latino “alapa”. Presso i Romani, era usanza dare uno schiaffo allo schiavo prima della sua liberazione, forse come atto  di commiato, e il numero e la forza dei ceffoni erano proporzionali al valore dello schiavo; “multo maioris alapae mecum veneunt”, presso di me gli schiaffi si danno con più forza, cioè l'affrancamento non si ottiene a buon mercato (Fedro, I° sec. d. C.); “nà lappa 'i curtijddrhi”, un grosso coltello; “cì 'à fricata nà lappa”, gli ha dato un ceffone.

Lappàre, lappiàre: bere o mangiare con avidità e in maniera rumorosa, tirando su il liquido come fanno gli animali, i cani in particolare. Dal greco “lapto”, leccare, lambire con la lingua (termine omerico, Iliade); anche in francese antico “japier”.

Laprìsta: specie di rapa selvatica. Dal latino “rapistrum”.


Laprista.

Largasìa: ampio spazio, terreno grande e largo. Dal latino “largus”, oppure dal greco "ergasìa", terreno ampio senza alberi.

Lascàre, làscu: allentare, non ben stretto, sciolto. Dal latino “laxare”.

Làsticu: elastico.  Da un tardo latino “elasticus”, adattamento di un tardo greco “elasticòs” derivato dal greco “elauno”, spingere, tendere (termine omerico, Odissea).

Lataniùsu: noioso. Vedi “lotaniare”.

Lattarùlu: specie di fungo bianco del genere lattario. Dal latino “lacte”.

Làuru: alloro. Anche zona agricola del paese. Dal latino “laurus”.

Lavannàra: lavandaia. Dal latino “lavare”.

Làvija: moine, anche chiacchiericcio, ciarla. Dal greco “lalià” in connessione con la radice “evio”, adulare con chiacchiere (Teofrasto, filosofo III° sec. a. C.).

Lavijùsu: chi fa moine. Stessa etimologia.

Lavìna: corso di acqua e melma prodotto dalla pioggia. Dal latino tardo “labina”(frana, caduta) derivato da “labi”(cadere, scivolare); “acqua fusa ar'a lavina”, operazione inutile,  consiglio superfluo .

Lazzarùnu: becero, scostumato, costretto a tutti i mestieri per campare. E' detto sia in termini dispregiativi che in tono scherzoso. Voce che allude a Lazzaro, mendicante del Vangelo, guarito dalla lebbra da Gesù. E' nome con cui gli spagnoli indicavano spregiativamente i popolani del quartiere Mercato, che a Napoli, nel 1647, furono protagonisti della sollevazione di Masaniello; in seguito fu esteso a coloro i quali, nel Risorgimento, si schieravano a difesa della monarchia assoluta, di cui, nell'ultima fase della dinastia borbonica, finirono per essere valido sostegno.

Lazzu: laccio. Dal latino “laqueus”.

Leccu:  eco. Forse è l'unico sostantivo tarsiano femminile che finisce in "u". Anche in italiano eco è femminile. C'è un legame con roccia. Deriva dal greco "echo" (suono, rimbombo). Il mito dice che "Eco" fosse una ninfa, figlia dell'aria e della terra; fece uno sgarbo a Giunione (questione di corna) e fu trasformata in roccia, condannata a ripetere sempre le ultime sillabe di quelli che parlavano.

Léjiere: leggere. Dal latino “legere”; “cum'a lejia, a scriva”, è uno che non ci pensa su, si comporta in modo istintivo.

Lejì: termine usato soprattutto nella locuzione “t'ara leji”, con il significato di “che ti importa, lascia stare, soprassiedi, lascia perdere”. L'espressione si rifà al primitivo significato del verbo latino “lego” (raccogliere, anche guardare, ascoltare).

Lénza: persona che la sa lunga, furbacchione. Da un tardo latino “lenteum”.

Leppa: termine in disuso. Lama lunga di coltello. Dal greco “lepis” ( lamina di metallo, piastra).

Libbrétta: piccolo quaderno in cui il negoziante annotava la nota della spesa; oppure deposito postale di risparmio. Dal latino “liber”.

Licchétta: bambina leziosa, vestita con ricercatezza. Dal francese “allechant”, chi alletta, lusinga, vuole attrarre.

Licchéttu: paletto per chiudere la porta dall'interno. Dal francese “loquet”.

Liccùsciu: goloso. Dal greco “lichnòs”, ghiotto, goloso, avido (Senofonte, V° sec a. C.); è anche voce proveniente dalle lingue romanze, da un antico germanico “lìcchon”, con lo stesso significato. In alternativa, potrebbe derivare dal latino "lurco" (mangiare avidamente).

Lìentu: sia nel significato di pigrizia, sia in quello di magrezza. Dal latino “lentus”.

Lìestu: svelto, lesto, veloce, presto. Da un antico francese normanno “lest”.

Lignijàre: far legna, ma anche bastonare, prendere qualcuno a legnate. Voce verbale dal latino “lignum”.

Lìjbbricu: invettiva, solenne rimprovero, lavata di capo. E' termine ormai in disuso.  Dal latino “libellus” o “liberculus”, diminutivo di “liber”. In origine il “liberculus” romano era una intimazione fatta per iscritto, ma anche qualsiasi atto scritto o stampato che, sotto forma anonima, attribuiva a qualcuno azioni disonoranti, per cui era prevista la confisca dei beni all'autore reo confesso.

Lijfricari: voce in disuso. Risparmiare, lesinare, dosare, economizzare. Dal latino “replicare”: è un traslato, come di chi, nel maneggiare l'orlo di un fazzoletto lo stropiccia di continuo, torna di nuovo a fare una cosa sovrapponendola, divide il capello in quattro, pensando e ripensando prima di decidersi. Non sono d'accordo con chi fa derivare il termine dal greco "pharé" (dipingo cucendo).

Lijfricu: orlo del fazzoletto. Sostantivo derivato dalla voce verbale latina “replicare” (piegare all'indietro, ripiegare).

Lìjggiu: leggero. Da un antico francese “legier”, derivato dal latino “leviarius” a sua volta da “levis”.

Lìjpru: lepre. Dal latino “lepus”.

Lijtimu: legittimo, valido, regolare, anche ben fatto (riferito a bambino). Dal latino “legitimus”, da “lex”.

Lìjvitu: lievito. Da un tardo latino “levitum”, da “levatum” participio passato di “levare”.

Lima: termine in disuso. Era l'acqua con cui si lavava la madia ( a maìddhra). Dal greco “lyma” (acqua di lavaggio).

Limmérsa: rimbocco del lenzuolo, ma anche indossare un indumento in senso contrario. Dal latino “re inversare”.

Limmìccu: alambicco.  Dall'arabo “al anbiq”, a sua volta dal greco “ambics” (Dioscoride, III° sec. a. C.).

Lìmmitu: confine tra due appezzamenti di terreno. Dal latino “limes”; “partiri limite campum”, dividere il terreno con dei confini (Virgilio Marone, I° sec. a.C.).

Lìmmu: deposito di materia verde in fondo alle acque stagnanti, fango, deposito, feccia. Dal latino “limus”.

Limunciàna: melanzana. Dal latino “malus” e dall'arabo “badingian”; un'ipotesi alternativa potrebbe far derivare il termine sempre dal latino “malus non sana”  (mela non sana: forse non commestibile da cruda). E' un vocabolo risalente al IV secolo d. C., dopo che l'ortaggio era stato introdotto dall'India.

Limunciàna.

Linderna: lanterna. Dal latino “lanterna”, a sua volta dal greco “lampter”, derivato da “lampo” (splendere). “A' mis'a linderna 'mmani ari cicati”: ha dato un mezzo a chi non sa adoperarlo.

Linderna.

Linga: lingua. Dal latino “lingua”.”'A linga 'ùn téna gossa ma rumpa ll'ossa”(ne uccide più la lingua...).

Linnora: donna oziosa che infastidisce, scoccia, molesta altre persone. Credo che la derivazione diretta sia dal francese “lendore”, a sua volta mutuato dal latino “lentus”, apatico, indolente, negligente, pigro, che in alcuni scrittori ha anche un significato poetico di attaccaticcio, molesto, fastidioso ( Virgilio, Silio Italico).

Linnùsu: voce ormai in disuso. Pieno di lendini, uova di pidocchio. Dal latino “lendine”.

Linticchiùsu: lentigginoso. Dal latino “lentiginosus”.

Linzi: striscia di stoffa, brandello. Dal latino “lintea”; “ti fazz linzi linzi”, ti riduco a pezzettini. Dal latino "linteum".

Lìppu: materiale verdastro sulle acque stagnanti; panna che si forma sul latte; pellicola giallastra fra la polpa e la buccia. Dal greco “lìpos”, grasso, untuosità (Aristotele).

Lippùsu: sensazione che producono i frutti immaturi, acerbi. Stessa etimologia.

Lisbergina (libergina): è una varietà di pesca. Dall'arabo “alberchigia”, termine forse introdotto attraverso lo spagnolo “alberchiga”, oppure dal francese “alberghe”, in unione con il latino “persica” (cioè che viene dalla Persia).

Lisbergina (libergina).

Lisciaebbùsse: pestaggio, aggressione, comando di carte nel gioco del tressette. Nel gioco, chi liscia vuol dire che ha delle scartine in mano, chi bussa che ha il tre: probabilmente non saper utilizzare questi due segni può significare perdere l'asso, e quindi sottoporsi ad una severa paternale, o ad un rimprovero, da parte del compagno. I termini derivano dallo spagnolo “alisar” e dal latino “pulsare”, frequentativo di “pellere”.

Lissìja: termine in disuso. Quando le nostre nonne andavano a fare il bucato “ara petra 'i Grati”, utilizzavano la “lissìja” (liscivia, o ranno). Dal latino “lixivia”. In un recipiente i panni venivano ricoperti da un telo, su cui si poneva la cenere setacciata, poi vi si versava l'acqua bollente e si lasciava in ammollo per molte ore; il tutto era quindi portato al fiume per essere sfregato e risciacquato. “A lavà a capa aru ciucciu, si ci appizzad'a lissija”: è inutile insegnare qualcosa a chi non vuol capire, è tempo sprecato.

Litàmi: letame. Dal latino “laetamen” da “laetus” (fertile).

Liticàre: litigare, anche rimproverare, questionare. Dal latino “litigare”.

Littèra, littùnu: era un ampio materasso riempito di foglie di granturco, in uso soprattutto nei casali di campagna (io ci ho dormito sopra). Dal latino “lectus”; in francese antico “letière”.

Littorìna: treno che percorre una breve tratta. Derivato da “fascio littorio”; nome dato, durante il periodo fascista, alle prime automotrici ferroviarie.

Littorìna.

Liùsu: schizzinoso, di gusti difficili nel mangiare. Dal greco “liutòs”, frugalità nel mangiare, semplicità nel cibo (Polibio, II sec. a. C.).

Livantìna: venticello che proviene da oriente. Dal latino “laevans”.

Livurnu: viburno o lentaggine. Dal latino “viburnum”.

Livurnu.

Lizzi: elementi del telaio per tessitura. Dal latino “licium” (liccio).

Lizziddhrùsu: litigioso, rissoso, animoso. Dal latino “litigiosus”.

Lluccàre: parlare a vanvera, a sproposito, anche rimanere attonito, sbalordito, stupefatto. Voce verbale del tardo latino da “alucus”(allocco: composto da “a” privativa e “lux”, uccello notturno che rifugge la luce).

Lòbbia (lobba): termine forse non appartenente al dialetto tarsiano. Ancora negli anni cinquanta, non era infrequente incontrare per il paese dei monaci questanti. Qualche volta si fermavano nella bottega da sarto di mio padre per farsi accorciare, o allungare, la tonaca, che chiamavano “lòbbia”. “A lòbbia” era una specie di tunica con le maniche molto corte usata da questi fraticelli. Il termine deriva dal latino “colobia”, a sua volta dal greco “lope” (vestimento o involto, mantello). Una curiosità, che non c'entra niente con il termine, è il cappello alla Lobbia, dal nome del deputato Cristiano Lobbia, grande accusatore dello scandalo dei tabacchi nel 1867: è un cappello con fenditura e tese piuttosto larghe.

Lòffiu: sconclusionato, meschino, vizioso, insulso, floscio. Forse da una radice onomatopeica “loff” (instabile come il vento), oppure da un gotico “slaf”, con lo stesso significato.

Loggia: pianerottolo della scala, anche costruzione in luogo aperto ed elevato adiacente alla casa. Da un tardo latino “laubìa”, a sua volta dal greco “lògheion” (pulpito, proscenio).

Lotaniàre (litaniare): essere ripetitivo, seccare, lamentarsi, tardare. Dal tardo latino ecclesiastico “litanìa”; in origine, le “lotarnie” o “litanie” erano i pianti delle prefiche, donne pagate per piangere ai funerali e decantare le virtù del morto. Una ipotesi etimologica alternativa potrebbe far derivare il termine dal latino “lotulum”, fangoso, appiccicaticcio, melmoso. Non verosimile è la derivazione proposta da alcuni autori, dal latino "lotos" (flauto, piffero).

Lùcere: risplendere brillare, luccicare, rifulgere. Dal latino “lucere” (brillare, risplendere); “luce lucere aliena”, brillare di luce riflessa (Marco Tullio Cicerone, I° sec. a.C.).

Lucierna: lucerna, lampada ad olio, recipiente di terracotta, a forma di barca, con dei beccucci da cui fuoriescono degli stoppini. Dal latino “luceo”, con terminazione “ernus”, propria di termini che indicano relazione, appartenenza.

Lucierna.
Lucìgnu: stoppino. Dal latino “lux”.

Lucirnaru: abbaino, lucernaio. Stessa etimologia.

Lucìsi: tizzone acceso, fuoco che serve agli usi della casa.  Dal latino “lucens”, participio presente di “luceo”; “addhrumid' u lucisi?”, è accesso il caminetto? In realtà il termine veniva usato per indicare il fuoco del focolare, o del forno; si adoperava la parola “fuucu” (fuoco) per un incendio. E' una particolarità, quella di designare il fuoco dalla sua luce, piuttosto che dal calore, che credo risalga ad una tradizione greca.

Lumméra: luce,  voce riferita soprattutto alla illuminazione festiva ed agli archi illuminati durante la festa del patrono. Da un francese antico “lumiere”, a sua volta da un latino ecclesiastico “luminaria”.


Lummera i San Francischi.

Luntrùnu: vagabondo, poltrone, persona oziosa, sporco, sudicione. Dal germanico “luder”, imbroglione, birbante, carogna. Oppure dal latino "hirudo" (seccatore, importuno, persona che è difficile levarsi di torno). Non sono d'accordo con chi farebbe derivare il termine dal greco "limné" ed "eichòs" (simile all'acqua stagnante: cosa c'entra?), e neanche con chi lo accosterebbe al latino "lutra" (lontra, che c'entra ancora meno).

Lunu: lunedì. Dal latino “lunae dies”.

Lùordu: sporco. Dal latino “luridus”.

Lupijeddhru: pustola maligna, anche carbonchio delle mucche. E' una lesione granulomatosa delle mammelle dei bovini, che poteva essere trasmessa ai mungitori, con sede preferenziale alle mani. La probabile derivazione è dal greco “liupé”, termine che indicava il sapore amaro del lupino. L'accostamento credo sia dovuto al fatto che la lesione cutanea, di consistenza molle, della grandezza di un lupino, è rossa all'inizio, diventa gialla caramello alla vitropressione ed alla diascopia,  al centro leggermente incavata, proprio come il lupino. Altra etimologia possibile è dal latino “lupus”, lupo, attraverso un percorso che includa la radice indoeuropea “vlauck” (strappare, lacerare), in unione col fatto che le lesioni cutanee potevano lasciare degli esiti cicatriziali deformanti e devastanti.

Lupumannàru: licantropo. Dal latino “lupus hominarius”, ovvero "lupus maniarius" (lupo che cammina sulle mani).

Lustru: chiarore, luminosità, bagliore. Dal latino “lustrum”.

Lutùsu: sporco, unto di grasso o di olio. Dal latino “lutum”, fango, melma.

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