lettera c - Tarsia dialetto

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C

: ha molte funzioni. Che,  congiunzione (t'ai ditti ca st'ai vinijnni), dal latino “quia”;  che, nelle relazioni di paragone (miegli 'a mmìa c'attìa), dal latino “quam”; perché , congiunzione causale (gazati, ca ma 'jì fora), dal latino “quia”; come, davanti ad aggettivi ed avverbi, nelle esclamative ed interrogative, dal latino “quam”.

Cà pòca: come no?!, anzi, altroché. Forma di affermazione, dal latino “quam  paucum”.

Cacaddhrirta: cacasotto, pavido, codardo. Dal latino “cacare” e “ertum”.

Cacafujinnu: inetto, che non ha voglia di fare, incapace. Dal latino “cacare” e “fugire”. In senso figurato, allontanarsi da qualsiasi cosa che richieda impegno.

Cacagliare (cacagliu): essere balbuziente, tartagliare. Da voce onomatopeica “kak”, oppure dal greco “cacòs” e “loghein” (parlare male).

Cacare: defecare. Dal latino “cacare”.

Cacareddhra: diarrea, flusso di ventre, anche paura, spavento. Stessa etimologia di “cacare”.

Cacatu: sporco, imbrattato di cacca, insudiciato. Stessa etimologia di “cacare”; “cacata carta”, carta insudiciata (Valerio Catullo, I sec. A.C.). E' termine utilizzato anche in modo affettuoso verso i bambini.

Cacaturu: pitale, anche cesso. Contenitore alto e cilindrico per le necessità corporali. Stessa etimologia di “cacare”. Il termine è utilizzato anche per indicare escrementi d'insetti, come mosche, bruchi.

Cacazza: paura, terrore. Stessa etimologia di “cacare”.

Caccaveddhra: marmitta, anche piccola caldaia. Era un contenitore per tenere in caldo il cibo che i contadini si portavano appresso. Stessa etimologia di “caccavu”.

Caccavu: grande paiolo in cui i pastori fanno cagliare  e cuocere il latte. Dal greco “cacchàbe”, tramite il latino “caccabus” (vaso per cuocere il cibo).


Caccavu.

Cacchiu: alterazione eufemistica di parola triviale, specialmente come esclamazione di sorpresa o asseverativa, o anche con funzione rafforzativa, oppure usato in locuzione volgare. Da “cazzo”.

Cacchiu: laccio, cappio, fune del basto a nodo scorsoio. Dal latino “capulum , derivato dal verbo “capio”. “Giuvineddhra i Santa Sufia/dunimi n'acu e nu poch'i fili/fili filacchiu, nu puntu e nu cacchiu/nu cacchiu e nu cugnu/nu piru cutugnu.

Cacchiuolu: propaggine, getto infruttifero di un albero coltivato, talea. Dal latino “catuleolus” (gattino, cagnolino, in genere il nato da qualsiasi animale o pianta).

Cacchiulu: Cappio formato annodando la parte terminale dell'ampelodesmo (u vùtamu), usato per catturare le lucertole. Dal latino “capulum”.

Cacciare: mandare via in modo brusco, togliere, fare uscire. Dal latino “captiare”, frequentativo di “capere”.

Caccijare: andare a caccia. Stessa etimologia. Anche se la derivazione è la stessa del verbo precedente, la differenza sostanziale è che il primo è trisillabo (cac-ci-are), il secondo è quadrisillabo (cac-ci-j-are)

Caccune: tappo della cibbia o dell'apertura superiore della botte; anche il foro praticato su una doga delle botti, in corrispondenza del diametro massimo, per riempirle o svuotarle o per prelevarne campioni, per pulirle. Dal latino “calcare” (premere, pigiare). Di solito, era di legno di “fiddhrurazza”. Anche in Corsica si dice “cucone”, ma non è termine francese.

Cacinaru: toponimo. Luogo delle acacie. Vedi “caggia”.

Caddhru: callo. Dal latino “callum”; “callum ducere”, fare il callo (Anneo Seneca, I sec. D.C.).

Caforchia, cataforchia): catapecchia, tana della volpe, o del tasso. Dal greco “cata” e “folas”, grotta, rifugio, nascondiglio (Teocrito, III° sec. a. C.). Non credo sia possibile la derivazione dal latino "foricula" (imposta delle finestre).

Cafune: zoticone, grossolano, rozzo. Probabilmente riferito alle modalità del mangiare, dal greco “fagas”  (mangione), per trasposizione di sillabe, “gafos”. Altra etimologia potrebbe farlo derivare dal latino “claponus”, a sua volta per metatesi da “culponia”, calzari  con suola di ferro che portavano solo persone di bassa classe sociale. Secondo Indro Montanelli (Storia di Roma, 1957), Cafo era un caporalaccio, a cui Giulio Cesare aveva dato delle terre per ricompensarlo, dai modi particolarmente rozzi e volgari, da cui il senso dispregiativo. Altre ipotesi: sostantivo latino “cavonus” dal verbo “cavare”, di origine osca “kafare” (zappare). Ancora già Cicerone, nelle Filippiche, accostava il termine, in senso dispregiativo, al nome di una persona villana; infine potrebbe derivare dal greco “sckapheus”, affine a “sckaphaneus”, colui che zappa la terra. Non credo sia verosimile la derivazione dal greco "chacòs" e "phoné" (rozzo nel parlare).

Caggia: acacia. Dal greco “acachia”.

Caggia: gabbia per uccelli. Dal latino ”cavea”.

Cagnuolu: soprannome degli albanesi, in senso dispregiativo. Di etimo incerto; forse, per assonanza all'aspetto sottomesso e remissivo dei transfughi nel quindicesimo secolo. Da “caneolus” ( piccolo cane).

Cajazzu: voce in disuso. Uomo spregevole, ignorante, becero, sudicio, sporco. Potrebbe derivare dal latino “gaia”, gazza, con l'aggiunta del suffisso dispregiativo “azzu”, oppure dal greco "kuratza"(riferito ai bambini sporchi).

Caìnu: traditore, uno che pugnala alle spalle. Da “Caino”, fratello di Abele.

Calanca: dirupo, solco profondo e stretto del terreno, provocato da erosione. Dal  greco “calào”, spazio vuoto, interstizio, intervallo nel terreno (Polibio , II° sec a. C.).

Calamandrune: uomo di grosso aspetto, di grande statura. Dal greco “calame”, stelo di canna e “andros”. (Teofrasto III° sec. a. C.), letteralmente, uomo alto e secco come uno stelo di canna.

Calandhreddhra: allodola, piccolo passeraceo (melanocorypha calandra). Dal greco “càlandros”, o dal latino “calandra”; anche in francese “calandre”. Forse il termine è derivato dal fatto che è un uccello che canta nelle “calenture”, cioè, in latino, nelle ore più calde dei pomeriggi estivi.

Calandreddhra.

Calare: scendere, mandare sotto. Dal greco “calao” (allentare, mandare giù).

Calarusu: triste, malinconico. Dal greco “chalaròs”, rilassato, molle, cadente (Ippocrate, V° sec. a. C.).

Calascinni: saliscendi di infissi.
Calascinni  (foto di Zazzaro Claudio).

Calipso: eucalipto. Dal greco “chalipthòs”.

Callòra: esclamazione. Certamente, di sicuro. Dal latino “quam ad horam”.

Caloscia: sovrascarpe. Dal francese “galoche”, a sua colta dal latino "gallica" (sorta di calzature che i Romani acquisirono dai Galli).

Calosce ('n): a cavalluccio sulle spalle. Forse dal germanico “galoper”. (portare il cavallo al galoppo).

Camastra: catena del focolare a cui si appendeva la pentola. Dal greco “cremathra” (cesto sospeso per conservare viveri) e dall'aggiunta del termine latino “caminus” (camino), ovvero direttamente dal greco "cremasterìa" (uncino, catena).

Vari tipi di “camastra”.
Cambric (tila 'i cambrich): tela molto fine e trasparente di cotone bianco, usata di solito per fazzoletti e camicie e come corredo della sposa. Dall'inglese “cambric” o dal francese “cambrai”, dal nome della città, dove per prima fu prodotta. In italiano detta anche tela batista, dal nome del primo fabbricante di questo tessuto in Cambrai, città della Francia, nel tredicesimo secolo.

Cambusandaru: becchino, custode del cimitero. Dal latino “campus sanctus”, con suffiso “aru”.

Camele: persona ingorda, insaziabile, famelico. Potrebbe derivare dal latino “famelicus” da “fames” (che ha grande fame, avido), oppure da  “camelus”.

Cammarare: mangiare di carne durante il periodo di digiuno ecclesiastico, divieto da cui erano esonerati i malati (il venerdì e la settimana santa). Dal greco “cammaronein”, essere sofferente, malato, infetto, sfinito, spossato (Plutarco, I° sec. d. C.). L'uso è stato introdotto negli antichi monasteri: i monaci ammalati non mangiavano con gli altri nel refettorio ma in una “camatera”, piccola stanza adiacente. “Gòi 'un si cammara”, oggi non si mangia carne (o derivati dalla carne). Non mi sembra esatta la derivazione proposta da alcuni, da un tardo latino “cammarare” (sporcare, disonorare, anche infettare); né mi sembra verosimile la derivazione dal greco  "chàmùs" (freno) e "ero" (togliere), cioè togliere il freno (di che cosa, poi?).

Campa: bruco di cavolaia. Dal greco “campe”, o dal latino "campa".

Campana: gioco di bambini, che si fa saltando su un solo piede su dei quadrati tracciati per terra, dopo aver lanciato un disco in sasso in uno degli stessi quadrati.

A campana.

Campaneddhre: fiore a calicetto della pianta “silene vulgaris”.

Campaneddhre.

Campare, campuliare: salvarsi, vivere,  sopravvivere. Voce verbale dal latino “campus” (trovare campo dove salvarsi); “cà vò campà centanni ccà bbona saluta”, augurio di vivere ancora cento anni in buona salute; in spagnolo “campar”. “Na mamma po' campà cijnti figli, cijnti figli 'un campani nà mamma” (l'amore di una madre non ha confini). “Si vò campà aru munnu cundijndu, chiri ca vidi vidi e chiri ca sijndi sijndi”, fatti i fatti tuoi che vivrai meglio,

Campu: luogo del paese, dal latino “campus”. Il significato originale era “campo di esercitazione per la preparazione alla battaglia”. Con il tempo ha assunto notevole varietà di accezioni e di usi.

Campusantu: cimitero. Dal latino “campus sanctus”.


U campusantu.

Camurrìa: confusione, fastidio, chiasso, impertinenza. Probabile etimologia da un tardo latino “morra” (massa, moltitudine, banda, e da qui confusione), rinforzato da un prefisso “cata”, accorciato in “ca”; oppure dallo spagnolo “camorra” (lite, rissa, alterco); oppure anche dall'arabo “qamara” (litigare giocando).

Can'imandra: cane che abbaia e non morde. Si dice di persona ingorda, smodata, ma anche indifferente, incurante. Potrebbe derivare dal  latino “canis”e da una radice “man” dal verbo “maneo” (indugiare, sostare, rimanere), oppure dal greco “mandra”, gregge, ovile, recinto, ma anche monastero, residenza (Sofocle, IV° sec. a. C.).

Canaletta: cunetta, anche tubo della grondaia. Dal latino “canalis”.

Canariu: uccello della famiglia fringillidi (serinus canarius), il canarino.

Canatu: cognato. Dal latino “cognatus”.

Cancaricchi: peperone. Diminutivo dal latino “cancer” (che dà calore: Ovidio Nasone I° sec. a. c.); più probabilmente riferito al peperoncino; oppure dal greco “gangraina”; “cancaricchji fritti ncruscati”, peperoni  secchi fritti.

Cancijddhru: cancello, toponimo di località. Dal latino “cancellus”. Credo fosse una delle vie d'accesso secondario.


A vota du Cancihddhru.

Candusciju: termine in disuso. Era un vestito da donna, vecchio, liso, mal cucito, che si indossava per le faccende di casa. Probabile provenienza dall'arabo “qatus”, o anche dal turco “qotos” (sopraveste che scende a mezza coscia). In greco, lo stesso vocabolo è "chàandus" (sopraveste).

Cangareja: qualcosa di male, cancro. E' voce usata di solito come imprecazione: “cà ti vinissa nà cangareja” (che possa venirti un male). Dal latino “cancer”.

Cangariare: usare prepotenza, fare un sopruso, vessare, sgridare. Da un tardo latino “angarìa”, a sua volta dal greco “anghareìa”; anche in persiano “angard” ha lo stesso significato. L'”angard” era un messaggero del re di Persia che poteva imporre requisizioni e tasse nei paesi attraversati. Le angarie erano, nell'antica Roma, gli oneri imposti dai soldati quando eseguivano trasporti lungo le vie, nell'interesse dello Stato (per esempio requisire cavalli, esigere vettovaglie); caduto l'Impero Romano, divennero prestazioni personali che diedero luogo ad abusi gravissimi, trasformandosi da oneri pubblici in aggravi di natura privata, a carico soprattutto dei lavoratori agricoli, usanza che persistette fino alla rivoluzione francese. Un'etimologia alternativa potrebbe essere dal greco "chàcharizein" (parlare con grida, con strepito).

Cangariata: solenne rimprovero, lavata di capo, strapazzata. Stessa etimologia.

Cangaru: cancro. Dal latino “cancer”.

Cangiare: cambiare, mutare. Dal francese “changer”, a sua volta dal latino “cambio”. “Cangiami l'oru ccù chiummu” (cambiamo l'oro con il piombo). “Ani cangiat'i sonaturi, m'à sunata ghè semb'a stessa” (tutto cambia, ma niente cambia).

Caniglia: pastone preparato con acqua e crusca per gli animali, anche forfora, segatura. Dal latino tardo “canilia” (semola): in origine era la semola di farro data in cibo ai cani.

Canna: canna, pianta, anche unità di misura. Fino all'introduzione del sistema metrico decimale, verso la fine del 1800, le unità di misura erano diverse da zona a zona. A Tarsia si utilizzava la “canna”, che era un multiplo del “parmu”: “'nu parmu” era circa 25 centimetri di lunghezza, e “na canna” era 8 volte tanto, cioè circa 2 metri (almeno così mi raccontava mio nonno “mastu Riccardo”, non ricordando neanche lui le misure esatte).  Anche zona del paese.

Cannaruozzu: gola. Dal greco “kanna” (canna), riferito al canale dalla faringe alla trachea.

Cannarutìa: golosità. Stessa etimologia.

Cannarutu: ghiotto, goloso. Dal latino “canna gutturis”.

Cannaruzzijdhri: pasta a forma di piccoli cilindri vuoti. Ottima con i legumi. Stessa etimologia.

Cannata:  brocca per il vino, bevuta da una brocca, anche unità di misura. Dal greco “chanàta”, brocca di legno. Con questo significato è citato negli scritti di San Venanzio, vescovo vissuto nel 600.


Cannata .

Canneddhra: pezzo di canna tagliata sopra il nodo che i mietitori infilavano nelle dita della mano, a mo di ditale, per proteggerla dalla falce. La mietitura a mano presupponeva una notevole abilità nel coordinare le due azioni del falciare con la destra e mantenere gli steli del grano con la sinistra. Mio zio “Damian'i sciatani” era ambidestro per cui poteva spostare da una mano all'altra sia la falce che le “canneddhre”; le sue sorelle lo prendevano spesso in giro dicendo che era un “cangia canneddhre”, detto che nel paese significava voltafaccia, uno che cambia spesso atteggiamento, opinioni, idea. Dopo l'automazione della mietitura, non credo che si dica più. “Aru malu mijtituru s'impingini i canneddhre”, espressione usata per indicare chi non riesce ad utilizzare un arnese in  modo appropriato e corretto.

Cannila: candela. Dal latino “candela”, a sua volta dal verbo “candere”, rifulgere, essere infuocato.

Cannizzu: steccato fatto di cannucce o di assi di legno; graticcio adibito a seccare la frutta. Dal latino “cannetum”.


Cannizzu  (foto di Sergio Spina).

Cantarata: zona del paese, sotto la “cava”, dove si perdono i liquami e dove le donne, ogni mattina, andavano a “divacare u cantaru” (a svuotare il vaso da notte). Stessa etimologia di “cantaru”.

Cantareddhra: cantaride, un coleottero di un colore verde metallico, che vive soprattutto sulle viti, di cui rode le foglie.


Cantareddhra.

Cantaru: cantaro, unità di peso, equivalente a circa 90 Kg. Dall'arabo “qintar”.

Cantaru: vaso da notte per bisogni corporali solidi. Dal greco “cantaros” (Plutarco, I° sec. d. C.). “Avant'a porta i zì Catrina c'è nù bellu cantaru chijni/chini si levad'a matina su gliutta du pinninu/sugnu figl'i zà Barà puuzzu riri   o puuzzu cantà/ma p'amuri da cumpagnia mi stai cittu puri ghia”. Vedi anche “rugagnu”.

Cantaturi: compagnia che accompagnava l'esibizione canora sotto le finestre “da zita”; si indicava con questo termine anche le donne che intonavano lamentele funebri, tessendo l'elogio del defunto.

Cantunera: angolo della casa, cantone. Dal francese “canton”, ovvero dal greco "chàntounì". “Petra disprizzata, cantunera 'i muri”,  pietra disprezzata sostegno per il muro, anche le cose disprezzate hanno una loro funzione.

Canzirru: animale riottoso, bizzoso, irrequieto, puntiglioso. Voce derivata dal temperamento di due animali, dal greco “chantélios”, asino, giumenta (Senofonte, V° sec. a. C.),  o dal latino “cantherius”, giumenta (Varrone Reatino, I° sec. a. C.) e dall'arabo “hinzir”, maiale.

Capa: testa. Dal latino “caput”; il passaggio dal neutro latino al genere femminile del termine può essere spiegato, forse, per influenza del corrispondente greco “chephalè”, femminile.“Tened'a capa frisca”, persona che pensa a divertirsi, a fare scherzi. “Tenid'i cazzi ca l'abbadhrani'ncapa”: becera ed icastica espressione che indica peni significanti gravi problemi che occupano tutti i pensieri. “Ten'a capa gluriusa”: riferito a chi ha espedienti improvvisati, soluzioni astruse ed ardite.

Capabbota: dal latino “caput volutus”. Quando il terreno era arato da buoi, era l'ultima parte del solco, prima di tornare indietro e tracciarne un altro.

Capaccuoddhru: capicollo, salame. Dal latino “caput collum”.

Capaddhrirta: che si mette in mostra, civettuolo, lezioso, vezzoso. Si dice di solito di una ragazza. Stessa etimologia del seguente.

Capadirtu: in alto, in salita. Dal latino “caput ad erectum”.

Capatosta, capituostu: testardo, cocciuto, duro di comprendonio, ostinato, ottuso, insomma un asino. Dal latino “caput tostum”.

Capicch'i vacca: varietà di uva bianca. Dal latino “capitulum vacca”.

Capicchiu: capezzolo della mammella. Dal latino “capitulum” (piccola testa).

Capiddhraru: merciaiolo che comprava capelli di donne: opportunamente lavorati servivano per fare i capelli delle bambole, oppure parrucche. Dal latino “capillus”.

Capipinninu (capapinnini): discesa, verso il basso. Dal latino “caput ad pendium”.

Capitiari, caputiari: scagliare, lanciare con forza, tirare verso un bersaglio. Da un tardo latino “capitare”, derivato da “caput”: in questo caso ha significato figurato, nel senso di fare capo, aver un fine, una meta.

Capitune: grossa anguilla femmina, ricercata per le feste di Natale. Dal latino “càpito” (testa grossa).

Capizza: fune che serve a tenere legato per il capo una bestia da soma. Dal latino “capestrum”, a sua volta dal greco “càpuistros”;  spagnolo “cavezzo”.

Capizzi: testa del letto. Dal latino “capitium”.

Capocchia: testa di spilli, fiammiferi, chiodi. Riferito all'organo sessuale maschile, il glande. “A capocchia”, operare in modo sconclusionato. Dal latino “caput”.

Cappeddhra: chiesetta. Anche se l'etimologia è tarda latina, da “cappa” (ampio mantello), la provenienza del termine è francese, attraverso un diminutivo latino medievale “cappella”, da un oratorio dei re merovingi in cui si conservava una reliquia della cappa di San Martino di Tours. Per estensione, qualunque piccola chiesetta destinata a culto. Potrebbe derivare anche dal greco “capéleia”, osteria, bettola, taverna, ma mi sembra fuorviante rispetto al significato attuale.


A cappeddhra i san Francischi (foto di Maria Grazia Grispino).

Cappeddhra: la testa di un chiodo, o di un fungo, anche il glande. Forma diminutiva dal latino volgare “cappa”, nel significato originario di contenere, avvolgere.

Caputu:  contenuto, entrato in un luogo ristretto. Verbo usato quasi solo al participio passato. Dal latino “capere”.

Capuzziari: chinare, dondolare, oscillare in avanti e indietro, quando ci si addormenta seduti, una volta dinanzi al focolare.  il capo per il sonno. Voce verbale dal latino “caput”; in spagmolo "cabucear" ha lo stesso significato.

Capuzzieddhru: arrogante, prepotente, riottoso, testardo. Dallo spagnolo “cabezudo” (testardo, ostinato), a sua volta dal latino “caput”.

Caramella a lastica: gomma da masticare.

Carcara: fornace. Dal latino “calcaria” (forno da calce).

Carcarazza: ciuffolotto, o monachino, un piccolo fringuello. Dal greco “charàchacsa”.


Carcarazza.  

Cardacìa (cardasìa): dispiacere, malumore, affanno. Dal greco “cardialghes” (Dioscoride medico, I° sec. d. C.).

Cardarella: bigoncia, piccolo recipiente in uso presso i muratori per il trasporto di calce, acqua, sabbia. Forse dal latino “caldarium” (fatto con il rame).

Cardiddhru: lucchetto che si applica ai cassoni, ai bauli. Dal latino “cardinulum” (piccolo perno).

Cardiddhru: cardellino. Dal latino “cardellus”.

Cardunu: cardo (cardus nutans). Dal latino “carduus”.

Carianni, caroianni: toponimo di località. Probabilmente, e anche per rifarsi alla storia del paese,  dal latino “carere” (essere privo, mancare) e “janua” (porta, accesso custodito, ingresso controllato); cioè, luogo aperto senza alcun controllo.


I fundan'i Carijanni.

Carmata: campo di stoppie. Dal greco “chàlame” (stoppia). Termine in disuso.

Carminiari: pettinare, scardassare la lana o il lino. Dal latino “carminare” da “carmen” (strumento per cardare).

Carnalivari: carnevale. Dal latino “carnem levare”, perché poi si sarebbe entrati nella Quaresima. Ipotesi alternativa sarebbe il termine “carnualia”, sorta di giochi contadineschi in uso presso i Romani, che si facevano saltando e ballando su dei recipienti. Altra ipotesi, una derivazione dal latino“carnem valére”, salutare, dire addio alla carne, ed in questo caso sarebbe termine ecclesiastico mutuato dal latino classico.

Caroleja: specie di oliva grossa e dura. Dal greco “caruelaia” (oliva come noce).

Carr'armatu: sui bordi di un  rocchetto di legno dismesso si praticavano dei tagli triangolari; nel foro si infilava un grosso elastico insaponato o passato nella cera, tenuto ad un'estremità da un pezzetto di legno corto come fermo, e dall'altra da un legnetto più lungo, che si faceva girare per attorcigliare l'elastico. Posto per terra, il rocchetto si muoveva finché l'elastico era in tensione, riuscendo ad andare anche in salita, o a superare piccoli ostacoli.


Carr'armatu.

Carracchiu: recipiente di legno, in forma di piccola botte, per contenere e trasportare il vino. Forse diminutivo di un tardo latino “carrata” (botte trasportata su carro); oppure da un tardo latino "quadraculum".

Carra carra: o gioco delle noccioline. Era un gioco che si praticava durante le serate invernali. Su un muro si appoggiava una tavola inclinata (u chiastijru); ogni giocatore faceva rotolare la sua nocciolina sull'asse e cercava di colpirne qualcuna tra quelle sparse per terra. Quella che colpiva rimaneva sua , mentre se indovinava il tiro colpendo un arancio posto nel mezzo, si appropriava di tutte le noccioline per terra.

Carrara: strada stretta e tortuosa, passaggio angusto. Dal greco “caradra” (viottolo aperto dalle acque di un torrente e frequentabile in periodo di secca).

Carretta: era il carro a quattro ruote, mentre quello a due ruote era “u traìnu”. Voce di un tardo latino, “carrus”, proveniente dalla radice gallica “char”.

Carriare, carrare: trasportare con carro, portare roba. Voce di origine germanica “car”, oppure dallo spagnolo “acarrear”.

Carrubba: carrubba. Dall'arabo “harrub”.

Carrucchiaru: avaro, scroccone, taccagno, tirchio. Dall'unione di “carus” e “clarus”, manifestamente caro. Non sono d'accordo con chi vorrebbe far dervare il termine dal latino "cavillum".“A rrobba du carrucchiaru sa frichida 'u sciampagnunu”, gli averi dell'avaro li sperpera il prodigo. Potrebbe anche derivare da un primitivo greco “charà”, testa, trasformato in latino regionale “caròclum”, che sarebbe un piccolo colpo assestato al capo, e, quindi, in senso metaforico, piccoli colpi di risparmio, come fanno gli avari che mettono da parte, un po' alla volta, soldo dopo soldo, la propria fortuna economica. In alternativa, potrebbe derivare da un tardo latino “conrotulare”(avvolgere), come se fosse riferito ad un rotolo di monete.

Carruolu, carriuolu: viottolo, sentiero, solco di rivolo d'acqua. Stessa etimologia di “carrara”.

Carteddhra: era un contenitore avvoltolato in cui il farmacista, “don Giovanni Armentano”, metteva il farmaco galenico da lui confezionato, quando ancora le medicine erano preparate in farmacia.

Cartulina: cartolina. Diminutivo dal latino “chartula”; fino a quando è stato obbligatorio il servizio militare di leva, era il precetto inviato per presentarsi alle armi.

Caruocciulu: trottola di legno. Da un antico germanico “carl” (avvoltolare, girare su sé stesso) e “ilece” (leccio); oppure dal latino “currilis ilex”, legno di leccio che corre girando. In alternativa, dal greco "peri oicheo" (andare intorno, girare), in unione con "orgon" (filo). I “caruocciuli” più resistenti alle “pirnate” erano fatte con questo legno, o con ulivo, mentre i più vulnerabili erano di pioppo. Ipotesi alternativa, la derivazione dal greco “charuon” (qualsiasi tipo di legno duro, a forma di noce). In alternativa, ancora, da un tardo latino “curruculus”, variante di “curriculum” (piccolo carro).


Caruocciuli .

Carusare: tagliare i capelli a spazzola, rasare, ma anche tosare le pecore. Dal greco “chorsoo” (tagliare, radere, tosare). E' termine che si trova già nel greco classico. Durante la guerra di Troia, dopo l'uccisione del suo amico Patroclo, Achille, in segno di lutto “il biondo si recise florido crine”(Omero IX° sec. A.C., Iliade canto XXIII verso 187, nella traduzione di Vincenzo Monti).

Carusijddhru: salvadanaio di terracotta, rotondeggiante, che assomiglia alla testa rasata di un bambino. Stessa etimologia di “carusare”. Potrebbe anche derivare dal greco ”carasso” (moneta); “caràsso nomisna” (Polibio, storico greco  II° sec. a.C.). Potrei fare altre due ipotesi interessanti: dal greco "chrusiòn" (oro), oppure sempre dal greco "charàsulon" (guardia, custodia). Fuorviante, e francamente esilarante, l'ipotesi, proposta da dilettanti dialettologi calabresi, di far derivare il termine da “carus” e “sedeo” (siedo e sono caro). Mah!


Carusijddhru.

Carvacare: montare la gallina, da parte del gallo. Da un tardo latino  “caballicare”.

Carvariu: calvario, ma anche impegno gravoso da sostenere. Dal monte Calvario, dal latino “Calvariae locus” (luogo del cranio) che traduce l'aramaico “gulguta” (cranio, teschio).

Carvunaru: venditore al minuto di carbone. Dal latino “carbonarius”.

Carvunchiu:  grosso foruncolo. Forse dal latino “carbo” (carbone) o dal greco “càleo”, nel senso di essere caldo al tatto.

Càscia: cassa, contenitore. Dal latino “capsa”, forse per connessione con il verbo “capere” (prendere). Nella “cascia” erano contenuti i viveri, mentre nel “baguddhru” si ponevano le coperte o le vesti; “cà ti vò piglià ( o cadi) 'ncuuddhru 'a cascia”, che tu possa essere decapitato dal coperchio della cassa a mo di ghigliottina. In spagnolo “caixa”.

A cascia.

Cascittune, casciunu: grande cassa. Stessa etimologia.

Casenteru: verme, lombrico. Dal greco “gaies entera” (verme di terra, Teofrasto, IV° sec. a.C.). Credo che non sia verosimile la derivazione dei soliti dilettanti allo sbaraglio, "cacòs" (brutto, schifoso, viscido), e "thérion" (animale di terra).


Casenteru.

Cassarola: casseruola. Dal francese “casserole”.

Castagneddhra: schiocco che si produce premendo il dito medio sul pollice e facendolo poi battere sulla base di questo. Dallo spagnolo “castaneta”, in francese “castagnette” ed in inglese “castanets”.

Castijare: punire, castigare, correggere. Da un tardo latino “castigare”, formato da “castus” (puro) e “agere” (rendere). Questo verbo ha, però, un significato diverso rispetto all'italiano “castigare”, riferendosi più al primitivo senso etimologico di “ammaestrare, essere ammaestrato” a non ripetere atteggiamenti che possono aver provocato un danno, ovvero a emendare a degli errori.

Casu: formaggio. Dal latino “caseus”. Sui modi di preparazione del formaggio, ricordo che i miei nonni materni adoperavano questo sistema. “'U caccavu” si riempiva di latte e si poneva sul fuoco, aggiungendovi “u cagliu” o “prisami”, miscela enzimatica con la proprietà di provocare la precipitazione della caseina del latte. “U cagliu” era estratto da una parte dello stomaco di vitelli o di ovicaprini lattanti, il cosiddetto abomaso ( le altre parti sono l'omaso, il rumine e il reticolo) e poteva essere anche conservato: i nonni lo tenevano  appeso al soffitto in speciali contenitori. Prima dell'ebollizione, quando il tutto cominciava a fare la schiuma (il latte comincia a bollire già alla temperatura di 40 gradi), si toglieva “u caccavu” dal fuoco e, dopo circa un quarto d'ora, si raccoglieva “a tuma” dal fondo per versarla “'ndi fisceddhre” di varie dimensioni; qualche volta facevano pure “u paddhracciu”, una piccola caciotta rotonda. Al liquido rimasto “ndu caccavu”, si aggiungeva ancora del latte e si portava tutto ad ebollizione fino a che non si formava un agglomerato schiumoso: era “a ricotta”.

Catabummulu: piccola zona del paese, oggi occupata da case,  sulla destra all'inizio della salita “da timpa”. Dal greco “catabolaion”, che può avere un doppio significato: a) magazzino, deposito di viveri, anche fossa; b) fondamenta, base. Io propendo per il secondo significato.

Cataforchia, forchia: tana. Dal greco “cata foleiòs” (tana per animali di piccola taglia, oppure ricovero per animali che vanno in letargo, Teofrasto filosofo, IV° sec. a.C.). In alternativa, sempre dal greco “cata” (sotto) e “forica”, diminutivo di “furca”, tardo latino per indicare delle canne intrecciate che delimitano un ricovero per animali.

Catanannu, catananna: antenato, bisnonno. Dal greco “cata” e dal tardo latino “nonnus” (più propriamente “monaco”).

Catarratta: botola per salire o scendere ai piani. Dal greco “catorrucs”; “oichémata catorrucsa”, abitazioni di sotto (Dione Cassio, I° sec. d.C.).

Catijddhru: sottoscala, ripostiglio. Vedi “catuuju”.

Catina: catena. Dal latino “catena”.

Catinazzu: chiavistello. Dal latino “catenaceum”, a sua volta da “catena”. Un detto del paese “Catinazzi avìa nà mala faccia” si riferisce ad un personaggio del paese, uomo mite e tranquillo, sempre disponibile per i lavori più umili. Non sono mai riuscito a capire perché si portava dietro questo detto.


Catinazzu  (foto di Claudio Zazzaro).

Catreja: schiena, parte inferiore della spina dorsale. Dal greco “cathedra”, sedia con schienale, anche deretano, e poi da un latino volgare “cathegra” (Ippolito, ecclesiastico greco II sec. d.C.).

Catreja: trappola per prendere vivi gli uccelli (si faceva una buca per terra, si riempiva con molliche di pane e, sospesa sulla buca con un bastoncino, si poneva una pala di fico d'India). Dal latino “cratis” o “craticula”; oppure dal greco "ctareìn" (prendere e chiudere dentro). “garmare na catreja”, tendere una trappola, ordire un tranello.

Catreja.

Catringulu: oggetto inservibile, come un mobile rotto, una sedia sgangherata, arnese in disuso, o una serratura che si apre con difficoltà. Dal greco “catatriubsis” consumato, logorato, rovinato, rotto (Nicodemo epigrammatico IV° sec. a. C.).

Catu: secchio, o bigoncia di legno, di zinco, di alluminio. Dal latino “cadus” (recipiente per liquidi), in greco “chadòs”(recipiente a bocca larga, termine omerico); in arabo “qadus”, nella variante dialettale egiziana.

Catuuiu: sottoterraneo che serve da riparo per le galline, o come ricovero per legna, stambugio. Dal greco “catogeion”. Potrebbe anche derivare dal greco “cata oikon” (presso la casa, termine omerico). In senso dispregiativo, è anche riferita a persona decrepita, malandata, malconcia.

Catuuju.

Cauce: calce. Dal latino “calcis”.

Cauciu: calcio, pedata. Stessa etimologia del seguente.”Furtuna e cauci'nculu vijati a chini ni tena”: beato chi ha fortuna e raccomandazioni dall'alto.

Caucijare: prendere a calci, a pedate. Da un tardo latino “calcio” da “calcitro”.

Caudijare: riscaldare. Dal latino “calidus”.

Caudu: caldo. Dal latino “calidus”. ”Vatt'u fijrru quanni ghè caudu” (batti il ferro quando è caldo).

Cauzi: pantaloni, calzoni. Da un tardo latino “calcea”, come accrescitivo (perché i Romani non usavano ancora i pantaloni).

Cava: luogo del paese (suttu 'u muragliunu da timba). Può stare o per via campestre, scoscesa, stretta, oppure per infossatura del terreno, da dove si sono estratti materiali da costruzione. Dal latino “cava”.

Cavaddhraru, cavaddhru d'a casa: trave maestra di una costruzione.

Cavaddhri luonghi: gioco. Un ragazzo, appoggiato ad un muro, doveva sopportare il peso di altri che gli saltavano addosso.

Cavaddhru: cavallo. Da un tardo latino “caballus”, probabilmente di origine celtica. “Vò paglia ppì cijnti cavaddhri”, riferito a chi si altera facilmente; “u cavaddhru da pruvingia”, ci si riferiva a qualche dongiovanni, o casanova, che si vantava aver conquistato molte donne. Era, comunque, un detto ironico, una presa per i fondelli.

Cavaddhruzzi: piccole forme di caciocavallo. Termine composto da cacio e cavallo. Formaggio tipico del Sud, a pasta elastica che, riscaldata, diventa morbida, fatto con latte di vacca ed a forma di pera. Probabilmente,  il caciocavallo era così detto perché si conserva, legato e appaiato, a cavalcioni su un asse. I “cavaddhruzzi” erano venduti soprattutto nelle fiere, o nelle feste di paese.


Cavaddhruzzi  (foto di Giuseppe Kris).

Cavagliunu: mucchio di una diecina di covoni di grano. Da un tardo latino "caballione".

Cavatijeddhri: gnocchi incavati. Dal latino “cavus”.


Cavatijeddhri.

Cazicadutu: uomo buono a nulla. Letteralmente: uomo con i pantaloni caduti, abbassati.

Cazzetta: termine usato nell'espressione : “u guadagn'i Cazzetta, accatt'a gott e binn'a sett”, riferito a chi, in un affare, va in  perdita. E' una locuzione iperbolica, un commento amaro di chi, dalle proprie opere, non ottiene i risultati sperati, ma, al contrario, ci rimette soltanto. Il personaggio Cazzetta è nome fantomatico.

Cazziare: rimproverare, rimbrottare. Da “cazzo”.

Cazziddhrusu ('ncazziddhrusu): irascibile, iracondo, litigioso. Da “cazzo”, di etimo incerto, forse da “capitium” formato da “caput”.

Cazzu: cazzo. Di etimo incerto. Dal latino “caput”, calco di “capitium”; oppure dal greco “àchathiòn”, albero maestro della nave (Plutarco biografo, I° sec. d.C.).); oppure da “capito” (grossa testa); oppure da un tardo latino“capitiare” (mettere dentro con forza) come sostantivo deverbale. “'Ara fatica Micuzzu Micuzzu, ara tavula Micuzzu nù cazzu” (quando si tratta di lavorare, ti tiri indietro, ma quando si tratta di mangiare...).

Cazzunu: sciocco, stupido, uomo dappoco. Stessa etimologia. “Cazzunu miricanu”: locuzione piuttosto recente, forse riferita ai soldati di stanza a Napoli durante e dopo la seconda guerra mondiale, facilmente gabellati ed imbrogliati dagli scugnizzi, come, ad esempio, in alcune scene del film “Paisà” di Rossellini del 1946.

Cca: avverbio di luogo. Dal latino “hac”.

Ccaffora: qua vicino. Dal latino “hac foras”.

Ccamienz: qui in mezzo. Dal latino “hac in medio”.

Ccassupa, ccassutta: quassù, quaggiù. Dal latino “hac supra” e “hac subtus”.

Cchi: che cosa (interrogativo). Dal latino “quid”.

Cchiù: di più. Dal latino “plus”.

Cci: a loro, a lui, a lei. Dal latino “huic”.

Ccu: con. Dal latino “cum”.

Cccumé: come è. Dal latino “quomodo est”.

Ccussì (accussì): così. Dal latino “ecce sic”.

Centimulu (cintimulu): voce in disuso. Era un mulino, costituito da massi circolari di non grosse dimensioni, con cui si macinava il grano, per mezzo di una stanga spinta da un asino. Ricordo che, da bambino, curioso com'ero, ho chiesto ad un arrotino (ammulaforbici) come si chiamasse la ruota con cui affilava i coltelli o le forbici; mi ha risposto: “centimulu” e ancora: “'un mi mangià i centimuli”, cioè non mi annoiare. Non credo che fosse un modo di dire tarsiano, perché gli arrotini venivano da altri paesi. L'etimologia del termine deriva dal greco “chentèo” (spingo) e “mylos” (mulino).

Cera: viso, volto. Aspetto del volto, come manifestazione di stato di salute. Dal francese “chere”, oppure dal greco “chara” (Ocello Lucano, filosofo, I° sec. a. C.). Il termine non va confuso con “cèra”, nome generico di sostanze costituite da esteri di sostanze grasse (la candela, per esempio), oppure il prodotto di secrezione delle api: in questi ultimi casi deriva dal latino “cira”, a sua volta dal greco “chiròs”.

Ceramile: tegola. Dal greco “cheramìs” (Tucidide, storico greco. V° sec. a. C.; Erodiano, storico, III° sec. a. C.).

Cerca: questua dei monaci. Dal latino “querere”, con voce deverbale “querca”.

Cercinari: è un termine, in disuso, che ho sentito soltanto da mio nonno Riccardo. Lo riferiva ad una particolare operazione che faceva, con movimenti circolari, quando toglieva il miele dai favi. Credo che l'etimologia sia dal latino “circinare” (tagliare in tondo).

Cernere: scegliere, separare, distinguere. Dal latino “cernere”.

Cerza: quercia. Dal latino “quercea”.


Cerza.

Cesa: cicatrice. Dal latino “caesus” (tagliato); “silvae caesae”, alberi tagliati (Caio Giulio Cesare, I° sec. A.C.).

Chiacchiariare: canzonare, prendere in giro, burlare, cianciare. Probabile voce onomatopeica, forse derivata dall'arabo “sziachar” (raccontare).

Chiaga: guidalesco degli animali da soma, dovuto allo strofinio dei finimenti; piaga. Dal latino “plaga” (ferita).

Chianca: macelleria. Dal greco “falanca”( ceppo di legno rotondo su cui i macellai tagliavano la carne); oppure da una radice greca “qhjank”, incrocio di due sinonimi “khàinein” e “khaschein” (aprire, spaccare). Altra ipotesi, la derivazione diretta da un tardo latino “planca”, tavola di legno, tenendo presente che, dopo la preparazione, la rivendita delle carni macellate avveniva esponendole su dei tavolacci situati all'esterno dei locali.

Chianchiari: macellare, uccidere le bestie. Stessa etimologia.

Chianchieri: macellaio. Stessa etimologia.

Chianda: palmo della mano, pianta dei piedi, albero.  Dal latino “planta”, derivato da “planus”.

Chiandunu: piccola pianta da trapiantare, pollone. Stessa etimologia.

Chiantare: piantare, assestare. Dal latino “planctare”, nel primo significato; dal greco “chentào, chentemào”, stimolare ferendo, nel secondo (Sofocle, I° sec. d. C.). ”Davant'a porta tua chiantaci spini, cà matina, quanni ti ghazi, ccì truuvi nà rosa” (cerca di essere discreto nelle tue cose, ché avrai sempre il rispetto degli altri). ”Adduvi arrivi, chiantaci nù palu”: fermati se hai intenzione di non andare oltre.

Chiantaturu: piolo per fare buchi per le pianticelle, cavicchio. Stessa etimologia.


Chiantaturu.

Chianteddhra: pianta delle scarpe. Stessa etimologia.

Chiantima: quantità di pianticelle che si trapiantano, oppure semi per ortaggi, marza. Stessa etimologia.

Chiantu: pianto. Dal latino “planctus”, participio passato di “plangere”.

Chianura: pianura. Dal latino “planus”.

Chianùuzulu: pialla, pialletta. Dal latino “planus”, attraverso il diminutivo “planula”.

Chjapperi: capperi. Dal greco “chapparìs”. Ipotesi alternativa potrebbe essere la derivazione dall'arabo-persiano “al chàbar”.


Chiapperi  (foto di Maria Grazia Grispino).

Chiastijri: tavola su cui si preparano gli alimenti. Dal latino “planus”, “dis” e dal francese “tirer” (distendere su una superficie piana).

Chiattiddhra: piattola, pidocchio, ma anche persona noiosa, seccante. Da un tardo latino “plattilla”.

Chiattiddhra: pipistrello (animale coperto di piattole, nella credenza popolare). Stessa etimologia.

Chiattu: ampio, grosso, riferito ad uomo o ad animali. Dal latino “plattus”, a sua volta dal greco “platus (largo, vasto, ampio, termine omerico).

Chiàttula: blatta, scarafaggio. Dal latino “blatta”, animale rosso purpureo dell'ordine degli insetti Blattoidi.  per estensione si indicano tutti gli scarafaggi. Il termine è già presente in Seneca (1° sec. d. C.): “blattaria balnea” (stanze poco chiare, perché le blatte rifuggono la luce).

Chiattula: travicello, listello di legno che forma l'orditura su cui poggiano le tegole (termine suggerito da Antonio Bonvicino). Diminutivo da un latino volgare “platus”, derivato dal greco “platìs”.

Chiavare: conficcare, tirare (un ceffone), fornicare, cogliere nel segno, colpire. Dal latino “clavare (inchiodare), da “clavus” (chiodo), oppure da “clava” (clava).

Chiavica: fogna, anche persona sporca, donnaccia. Da un latino popolare “clavica”, rifacimento di “clavaca” per il latino classico “cloaca”.

Chiazza: piazza. Dal latino “plàtea”, a sua volta dal greco “plateia”, piazza (Eronda, mimografo greco, III° sec. a.C.); con questo significato si trova anche nel Vecchio e nel Nuovo Testamento.

Chiccara: tazza per il caffè latte o la cioccolata. Dallo spagnolo “jicara”, risalente ad una parola azteca, indicante il guscio, tagliato a metà, del frutto di un albero tropicale del sudamerica (la guijra).

Chiddhru: quello. Dal latino “ecce ille”.

Chignu, chigna: niente; anche membro virile. Posso supporre una derivazione diversa tra i due termini. Nel primo caso dal latino “hic nec unum” (qui nessuno, niente); nel secondo caso, significato in senso traslato dal latino “hic cuneum” (qui il cuneo perforatore): a sostegno di quest'ultima ipotesi è il movimento mimico che si accompagna al detto, indicando l'apparato genitale maschile.

Chjianu chjianu: piano piano (locuzione avverbiale). Dal latino "planus".

Chijcare: piegare, inclinare, muovere in una direzione. Dal greco “clino” (termine omerico), oppure dal latino "plicare".

Chjicatura: piegatura. Dal greco “clino”.

Chjinu: sazio, pieno zeppo, riempito. Dal latino “plenus”.

Chjippu: pingue, florido, grasso, obeso. Dal greco “epiploon” (per metatesi), omento che avvolge intestino e fegato (Eubulo, IV sec. a. C.), forse attraverso una forma latinizzata “epiplum” e poi “plippu”.

Chjippu: gobba. Dal latino “gybbus”, per influenza del greco “chjiphòs” (piegato, curvo). In greco “chiupto” è piegarsi in avanti, anche inchinarsi (termine omerico, Odissea), ed “epiploon” è l'omento.

Chjirica: chierica, ma anche alopecia rotondeggiante. Dal latino “clericus”. In origine era un rito a cui venivano sottoposti i chierici, con il taglio di cinque ciocche di capelli, come simbolo della rinunzia alle tentazioni dei cinque sensi, da parte degli aspiranti sacerdoti. Pratica abolita negli anni '70, rimane come detto “ti sta vinijnn'a chijrica”, stai perdendo i capelli.

Chiocaru: persona rozza, stupida, rustica, di carattere mite e remissivo, anche ignorante. Potrebbe derivare dallo spagnolo “còchear” (rammollito, stupido), oppure da “chiochia”, calzature latine dei contadini, o anche avere origine onomatopeica, dal verso del tacchino (chiò – chiò). Da non escludere una derivazione dal greco "piòteros", con lo stesso significato.

Chioppa: collare dei cani, a cui si lega la catena. Vedi “acchioppare”. Ipotesi etimologiche alternative, potrebbero essere le derivazioni, sempre dal greco,  “opé” (apertura, foro, buco) e “chiuon”, quindi per estensione cerchio del cane, oppure da “opta” (occhio) e “chiuon”, dove l'occhio, in questo caso, ha il significato di cerchio.  Ma queste due ultime etimologie mi sembrano piuttosto deboli.

Chiovere: piovere. Dal latino “pluere”.”Cà vò chiovi sordi” (che possa venire abbondanza). “Chiova, chiova, chiova, a Madonna cogli'i juri, e li coglia ppì Gesù, e dumani 'un chiova cchiù”.

Chiri: quello. Dal latino “ecce ille”.

Chiri chiri: voce per chiamare il porco. Non è onomatopeica, ma deriva dal greco “choiros”, porcellino.

Chiriddhru: maialino, porcellino. (vocabolo suggerito da Maria Grazia Grispino). E' termine ormai in disuso. Probabile derivazione da voce fonosimbolica “chiri chiri”, con cui si chiamava il maiale giovane, per avviarlo a mangiare.

Chirieleisonn: dal greco “kyrie eleison”, invocazione ecclesiastica che nella liturgia italiana è stata tradotta con “Signore, pietà” o “Signore, sii benevolo”. L'ho citato perché in tarsiano c'è una frase particolare: “'un mi fa  vin'ì i chirielesonn”, non mi fare arrabbiare, non mi fare incazzare. A mio modesto parere, la locuzione si riferisce al crescendo del canto, come fa appunto l'arrabbiatura.

Chissu: questo. Dal latino “iste”.

Chissuccà: questo qua. Dal latino "iste hac".

Chissuddhruucu: questo qui, costui. Dal latino "iste in loco".

Chiubbica: dal latino "publica". Mulattiera situata tra la riva di un fiume e la selva, secondo il significato che ne dà Plinio il giovane. E' la strada sterrata che collega la diga al ponte di Terranova, sulla riva sinistra del Crati.

Chiummàre: impiombare, giungere in  modo inaspettato, ma anche assalire con veemenza. Dal latino “plumbo”.

Chiuovu: chiodo. Dal latino “clavus”.

Chiuppu: pioppo. Dal latino “populus”, e quindi da un latino volgare “populus”, con cambiamento di “pl” in “chi”, proprio dei dialetti meridionali.

Chiuritu: prurito, prudore, anche curiosità. Dal latino “pruritus”. “U chiurit'i culu ghè cchiù forti du tarramutu”, la curiosità è più forte di un terremoto. “Ccù nu forti chiuritu ciàa appizzat'u maritu, u maritu sa 'nquitatu e a cauc'inculu mà cacciata”.

Chiusa: si dice di terreno recintato, delimitato. Dal latino “clausa”.

Ciacciagaddhru: uomo di alta statura, ma anche persona stupida, che si dà un gran daffare ma senza costrutto. Probabile derivazione dal latino “ad” e “agere” e “gallus”, cioè avere il comportamento di un gallo.

Ciaciali: intestini di maiale. L'etimologia di questo termine non è chiara, posso soltanto fare una supposizione. Il vocabolo ciacco indica il porco, il maiale, anche qualcosa di sporco, lurido, mentre il suffisso -ale ha il significato di appartenenza; quindi, qualcosa di sporco che appartiene al maiale. "Ciacco" potrebbe derivare, come suono onomatopeico, dal suono "ciacc", che fa il maiale rivoltandosi nella melma, oppure dal greco "siubachòs" (porco), con mutazione in "siacco" ed in "ciacco".

Ciambata: pedata, zampata, calcio. Stessa etimologia di “ciampiare”.

Ciambrotta: (ciambotta): mangiare allegramente in compagnia. Dal francese “chambrée” (camerata, compagnia). Oppure sempre da un antico francese “chabrot”, un insieme di vari cibi vegetali, un miscuglio di vino e di brodo.

Ciampa: gamba, zampa. Probabilmente da un incrocio dal greco “champe” (piegatura, giuntura) e dal latino “tziancka” (orma di stivali).

Ciamp'i voj: zampe, o orme, di bue. Erano fossette di acqua piovana, che si formavano, quando pioveva, in piccole depressioni del terreno.

Ciampanu: in senso figurato, chi opera con lentezza, senza costanza, in modo impacciato, senza costrutto, anche bifolco, uomo rozzo, di bassa estrazione. Dal "tsompànes": "mi pari nù ciampanu", sembri un villano.

Ciampiare: calpestare, schiacciare. Dal francese “jambe”. Derivazione etimologica più antica potrebbe essere il latino volgare “tsapellum” (orma, solco sul terreno), oppure potrebbe avere origine da un aramaico latinizzato “tziancka”, orma di stivali, come attestato nelle epistole di Gallieno, imperatore romano vissuto attorno al 250 d. C.. Il mio buon amico Antonio Bonvicino sostiene che lo stesso termine è adoperato dagli albanesi d'Italia; credo che, da parte loro, sia una parola d'acquisto, dopo la migrazione forzata sul finire del 1400.

Ciamprune: grossolano, malfatto. Il “cianfrone” era una antica  moneta di rame, piuttosto grossolana, al tempo di Carlo V di Spagna, che aveva scarso valore. Dallo spagnolo “chanflon”.

Ciancianijddhri: piccoli sonagli che portavano i cavalli, anche il bargiglio della capra. Da probabile voce onomatopeica (cian – cian), oppure dal turco "tcian tcian".

Ciangiri: piangere.  Dal latino “plangere”. “Un tèna manch l'uocchi ppè ciangi”, non ha neanche occhi per piangere (è talmente povero che non può neanche commiserarsi). “I debbiti si paganu e i piccati si ciangini”, chi è causa del suo male pianga se stesso. “Ciangi u giustu pù piccaturu”, chi non ha alcuna colpa a volte ne paga le conseguenze.

Ciangiosu: piagnucoloso, lamentevole. Stessa etimologia.

Ciangiuliari: lamentarsi, piagnucolare in modo scherzoso, anche vezzeggiare. La derivazione più probabile dallo spagnolo “chanza” (motteggio, scherzo), oppure da un antico tedesco “zanzeln” (chiacchierare familiarmente).

Ciappa: fermaglio, fibbia. Dallo spagnolo “chapa”, forse a sua volta dal latino “capulum”.

Ciapparroni (cipparroni): rione del paese. Posso solo fare delle ipotesi sull'origine del termine. Potrebbe derivare dal latino “cippus”, tronco di colonna o di pilastro, e dal greco “reos”, flusso, corrente. Presumibilmente vi si trovava una colonna da cui sgorgava acqua. In alternativa, il toponimo potrebbe derivare il nome da una famiglia che abitava in loco.


Ciapparroni  (foto di Maria Grazia Grispino).

Ciarra (ciarrune): vaso di terracotta per conservare alimenti. Dall'arabo “giarra”.


Ciarra.

Ciarameddhra: zampogna. Dal francese “chalumeau” a sua volta dal latino tardo “calamellus”.


Ciarameddhra.

Ciarciagaddhru:vedi“ciacciagaddhru”.

Ciaula: vedi colo colo. Il termine potrebbe derivare dal longobardo "t'achaola", oppure essere onomatopeico dai versi del canto "ciau ciau".

Cibbia: vasca murata per deposito o contenimento d'acqua. Dall'arabo “giabiya”, oppure dal greco “chiùmbe”, bacino (Nicodemo, epigrammatico greco, IV sec. a. C.).

Cibbiunu: era la stessa cosa di “cibbia”, solo che era una conserva d'acqua ad uso del mulino. Stessa etimologia.

Cicateddhra:  gioco della mosca cieca. Dal latino “caecus”.

Cicatu: cieco. Dal latino “ceacus”; “cà ti vò vidi cicatu”, che tu possa vederti accecato, contraddizione in termini. “I sordi fani vinì a vista ari cicati”, con i soldi si possono risolvere anche situazioni (quasi) impossibili.

Ciccifricu: uccello passeraceo, strillozzo.

Cicculatera: bricco di latta con cui si faceva sciogliere al fuoco la cioccolata, o a far bollire il caffè. Dallo spagnolo “chocolate”, a sua volta dall'azteco “chocolatl”.


Cicculatera.

Ciciriammuudhri: moine, smancerie, vezzi, cerimonie, leziosaggini. Etimologicamente è un incrocio tra due termini latini: "caerimonia" e "mollis" (tenero, delicato, molle, effeminato). Il primo termine  ha, però, un significato spagnoleggiante (convenevoli, complimenti). Quindi blandizie, smancerie, svenevolezze, sdolcinature.  Nell'espressione "mindi i cicirammuuddhri" si vuole significare azioni prive di risultati pratici, senza alcuna sostanza ed essenza.

Cicirata: dolce natalizio. Stessa etimologia di “ciciri”. Delle palline, simili a ceci, vengono formate con un impasto di farina, uova, mandorle tostate polverizzate, e tenute insieme da uno sciroppo di miele, con granellini di frutta candita.


Cicirata.

Ciciri: cece. Dal latino “cicer”; “ciciri e laganeddre”, piatto tipico calabrese.

Cicirinella: forse derivato da Pulcinella. Maschera, pagliaccio.

Ciciruni: allodola. Derivazione onomatopeica dal grido “ci cì”.


Ciciruni.

Ciciuliari (ciuciuliare): bisbigliare, parlare fitto e a voce bassa, fare cicaleccio, anche pigolare dei pulcini, e piovigginare. Probabile voce onomatopeica “cìcì”.

Ciculiari: voce non ancora in disuso (ma per poco). Procedere ondeggiando, ciondolare, sculettare pavoneggiandosi. Dal greco “seiochòlos”, formato da due termini “séio”, agitarsi e “chòlos”, sedere.

Ciddhraru: dispensa, cantina. Dal latino “cellarium”. “Si vò ghijnchi u ciddhraru, zappa e puta a jinnaru”: bisogna fare le cose al momento giusto.

Ciddhruzzu: uccellino. Dal latino “aucellus”, diminutivo di “avis” (in origine era l'uccello dal cui volo si traevano gli auspici).

Cifeca: voce in disuso. Qualcosa di imbevibile, bevanda o vino mal preparato, anche cosa guasta. Dall'arabo “safiek”, liquido di cattivo gusto, di scarto, di qualità inferiore, oppure dal latino "faecula", fondo del vino.

Cigliare: germogliare, sbocciare. Dal latino “cieo” (far nascere, suscitare, far venire).

Cijddhra: uccello. Dal latino “augellus”. “U rré da cijddhra”, per indicare uno presuntuoso, altezzoso, ma anche ignorante.

Cijrru: ricciolo di capelli, anche la cresta del gallo o delle galline. Dal latino “cirrus”.

Cijrru: tipo di quercia, che ha le foglie più marcate in profondità. Dal latino “cerrus”.

Cijessu: da solo, errabondo, alla mercé, anche indifferente, sbadato, a sproposito. Dal latino “caesum”, oppure dal greco “echìusios”, spontaneamente (termine omerico).; “à, ca vò ìj cijessu cijessu”, che tu possa andare ramingo; “stà parlann cijss”, sta parlando a sproposito.

Ciminera: cappa del camino. Dal francese “cheminée”, a sua volta dal latino “caminus”, stanza con camino.

Cimuorru: catarro degli animali. Dal greco “chiumos” e “ reo”.

Cingomma: gomma da masticare. Adattamento dall'inglese “chewing gum”.

Ciniglia: cenere ancora calda, mista alla brace; tritume di carbone. Da un tardo latino “cenilia”.

Cinnirali: era un grosso telo, a tessitura larga, credo di lino, che si poneva sulla biancheria già lavata; sopra vi si versava della cenere (vedi “culata”). Dal latino “cinis”, cenere, attraverso il composto “cinerarium” ( buca dove si raccoglievano le ceneri).

Cinnirata: cenere usata per fare il bucato.

Cinta: serto di fiori e candele, con cui si adornano i Santi durante la processione. Dal latino “cingo”.

Cintriddhra: chiodo corto con capocchia rotondeggiante per protezione della suola delle scarpe (bulletta). Dal greco “chentron” (Platone, filosofo, 429-348 a. C.).

Cipuddhrizza: specie di cipolla selvatica. Da un tardo latino “cepulla”, derivato da “cepa”.


Cipuddhrizzi.

Cira: denominazione generica del prodotto di secrezione delle ghiandole addominali delle api o della sostanza delle candele. Dal latino “cera”.

Cirasa: ciliegia. Dal greco “cherasion” (Dioscoride, III° sec. a. C.). In tarsiano esiste un'espressione tipica: “quanni ghera cirasa”, quando ero giovane; “ccù culu ruttu e senza cirasi”, avere un danno senza alcun beneficio, aver fatto un lavoro inutilmente, senza alcun ricavo.

Ciriciglia, rinciglia: orbettino.  Dal latino “cicignea”, rettile innocuo della famiglia scincidi (chalcides chalcides).


Ciriciglia.

Ciriddhri: cacherelli di animali (lepre, capra, volpe, pecora).

Cirimonij: preamboli, convenevoli, lusinga. Dal latino “caerimonia” (culto, pratica religiosa), ma nel significato che si dà a Tarsia attraverso lo spagnolo “ceremonia”. “'Un fa cirimonia”, non fare convenevoli. Vedi anche "cicirammuddhri".

Cirineju: uomo brutto, truce, poco raccomandabile, energumeno. E' un uso antonomastico del nome Cirene, un giudeo ellenizzato che fu costretto dai soldati romani a prendere la croce di Gesù e a portarla fino al Golgota. “Tena 'na facci 'i cirinej”, ha una brutta faccia.

Cirma: termine in disuso. Era una specie di panno di lana con cui si facevano i sacchi per il grano, e che, all'uopo, serviva anche a coprire le mammelle della pecora per impedire la poppata degli agnellini. Potrebbe derivare dal greco “chirba” (piccolo sacco), o dall'incrocio fra voci greche “chirba” e “chiloma”(foraggio). Nel secondo significato l'operazione era praticata, prima della mungitara delle pecore, dal mio nonno materno.

Cirnaru: abbaino, in senso lato anche magazzino di casa. Dal latino “lucernarium” (lampada, lanterna, luogo illuminato).

Ciroggia, ciroginu: candela stearica. Dal latino “cereus” (color cera , grigia), a sua volta dal greco “cherochiutòs” (fatto di cera).

Ciroma: confusione, chiasso, frastuono, adunata di persone chiassose. Dal greco “cheironòmos”,  suono continuo, incessante, persistente che si accompagna a gesticolazione (Erodoto, V° sec. a. C.). Un'ipotesi alternativa potrebbe essere la derivazione dal latino “celeuma” (canto cadenzato per incitare i rematori sulle navi romane, o che si eseguivano per accompagnare lavori ripetitivi: Valerio Marziale, II sec. d.C.). Credo che sia fuorviante, del tutto fuori luogo, l'accostamento del termine latino “cera” con il suffisso “oma” (che in medicina ha valore diverso: deriva dal greco “òma” e indica un tutto uguale, della stessa derivazione, e si riferisce ad una patologia infiammatoria (per esempio, granuloma) o un tumore benigno (per esempio, epitelioma), senza i caratteri della malignità. Chi ha accostato il termine “cerume” con “ciroma” ha preso un grosso abbaglio, volendo specificare che la secrezione cerulea ha la funzione di protezione dai rumori esterni; invece,  la sostanza cerosa giallastra è soltanto un lubrificante antibatterico che ha lo scopo di mantenere umida la superficie del condotto uditivo esterno. Come ho scritto nella mia introduzione, l'etimologia è difficilissima scienza, alla quale ci si deve accostare con umiltà e sapienza:  non si può, non si deve prendere per oro colato ciò che i cosiddetti “studiosi” avventurieri e dilettanti di una lingua locale spacciano per verità.

Cirvunu: specie di serpe lunga. Il nome, credo, derivi dal fatto che, durante la muta, le squame della pelle si arrotolano sul capo, dando l'impressione di corna simili a quelle di un cervo.

Citateddhra: cittadella, luogo del paese. Diminutivo dal latino “civitas”. In origine era una sorta di recinto fortificato che costituiva l'elemento di maggior efficienza militare difensiva.


A citateddhra.

Citrulara: varietà di fico, cosiddetta perché simile ad un piccolo limone ("citroleum" in latino); fruttifica a fine giugno e fine agosto, con frutti di colore nero e polpa rossa.


Fichi citrulara.

Citrulu: cetriolo, ma anche persona stupida. Dal latino “citreolus", somigliante ad un piccolo cedro. Il secondo significato sarebbe dovuto al fatto che, non condito, ha sapore insipido.

Cittu: zitto. Voce onomatopeica, formata sul suono “st” o “zt”, per imporre silenzio; oppure, sempre dal latino "tacitus", per aferesi "citus"; “cittu cittu”, segretamente, alla chetichella, mogio mogio.

Ciucciu: asino, somaro. Di probabile derivazione araba e spagnola, “chico” e “sciacha” (piccolo che raglia, in riferimento ad altri animali da soma più grandi). Altro significato è persona stupida, data la mansuetudine dell'animale. “Attacca u ciucciu adduvi vò u patrunu”: se sei in condizioni di inferiorità, ubbidisci. “U ciucciu cà unn'à fatt'a cuda a tri anni, unna fa cchijù”: l'asino che non ha fatto la coda a tre anni, non la fa più. “Quanni i ciucci si litichini i varrili si rumbini”, quando si ha a che dire con qualcuno anche gli affari ne risentono. “U piaciri du ciucciu ghè a gramigna”, sono buone le cose che  piacciono. “Chini s'avanda sulu, ghè ciucciu i natura”, chi si loda si sbroda. “Vò u ciucciu ccù tt' i campanijddhri”, riferito a chi ha e vuole ancora di più.

Ciuciuliari: parlottare, bisbigliare, anche spettegolare, conversare in modo frivolo. La probabile origine è onomatopeica e fonosimbolica  (ciù-ciù), dal suono che si emette parlando in modo sommesso.

Ciuncare (ciuncu): azzoppare, sciancarsi, diventare storpio; ma anche bere vino smodatamente. Dal germanico “schenken” (bere vino) e dal latino “extruncare” (mozzare, troncare). Quindi essere cascante, inerte, spossato, reggersi male sulle gambe come di chi è ubriaco. In un antico germanico gotico “cionk”.

Ciuotu (ciota): stupido, privo di senno, balordo, sciocco. Probabile etimologia latina “exsucus” (senza sugo, senza umore), oppure derivato da “ciuco”, a sua volta da “ciucciu” (per il  suo aspetto ordinario abbattuto); le doppie consonanti latine “xs” andrebbero lette “tsi”.

Ciutìa: stupidaggine, sciocchezza, idiozia, mancanza o scarsezza di capacità intellettive. Stessa etimologia di “ciuutu” (ciota); probabilmente deriva dal latino “ex succus” (senza umore, senza sugo, senza sapore, senza nutrimento, senza sale in zucca), da cui anche l'italiano “sciocco”. Lo sciocco è quello a cui manca qualcosa di importante per il proprio valore, così come il sapore è qualcosa di determinante per una pietanza, qualcosa che si traduce in criterio, o saggezza, o acume, capacità di giudizio. Il verbo corrispondente è “ciutiare” (scherzare, straneggiare, anche scimmiottare, prendersi burla), da non confondersi con “fissiare”, che ha un significato un po' diverso (non significa soltanto scherzare, prendere in giro, ma anche pavoneggiarsi, fare il cicisbeo), probabilmente dall'unione di due verbi latini “findo” e “fingo”, cioè dividersi e imbellettarsi, adornarsi.
Il primo fra i latini che ha usato questo termine nel senso attuale è stato Quintiliano nel I sec d. C..
Nelle altre lingue, lo stesso significato hanno lo spagnolo “zote” (sciocco villano, da cui l'italiano zotico) e un tardo latino “sottus”, da cui anche un tardo francese ed inglese “sot”, un semitico “shotech” ed un celtico “suthan” (stupido, stolto, anche furfante), così come in spagnolo “chocho” è il rimbambito, e “chocharìa” cosa di poca importanza.
Un'ipotesi suggestiva potrebbe fare derivare il termine dal greco “cheiton”, passato di “cheimai”, usato da Omero per descrivere la reazione di Achille quando lo informano della morte di Patroclo (Iliade, canto XVIII). Ha il significato di giacere, sdraiarsi per terra, anche essere costernato, trascurato, abbandonato; però Omero lo usa in un senso di abbattimento dell'animo, come se Achille fosse rimasto istupidito nell'apprendere la notizia. Dopo Omero, soltanto un autore ha utilizzato il termine in questo senso, Platone nei suoi “Dialoghi” (testualmente: rimanere allibito, stupito).
Il termine è usato in molte varianti :“ciuotu malignu” (tristo, cattivo), “ciutarijddhru” (sciocco, detto in modo ironico), “ciutammaru” (un po' più dispregiativo, forse dall'unione di “ciuutu” e “tamarru”), “ciuotu fricatu”(detto per scherzo), “ciutignu” (sciocco, ottuso, duro di mente, lento di comprendonio, testardo). Può anche indicare un difetto fisico (da un ulteriore significato latino: senza vigore, senza forza): “tena nà gamma ciota” (è zoppo; anche se in questo caso può esserci stata una commistione con un altro termine, “ciuncu” dal latino “extruncare” tagliare da, mozzare, amputare, mutilare, anche reggersi male sulle gambe), “tena nà ricchia ciota” (è sordo di un orecchio). Queste ultime interpretazioni sono forse derivate dall'uso che ne fa anche Cicerone. Nell'espressione “mà pigliati pì ciuotu”, mi ha preso per fesso, mi ha infinocchiato.
Un'ultima curiosità: in russo “choud” significa “stupido buffone”.

Ciutiare: scherzare, straneggiare. Stessa etimologia di “ciuotu”.

Ciutignu: che fa cose stupide, sciocche. Stessa etimologia.

Civare: dare da mangiare agli animali, imbeccarli. Dal latino “cibare”. Vedi anche “accivare”.

Cocivili: che si cuoce facilmente, detto di legumi. Dal latino “coquibilis”.

Coffa: recipiente di rami da salice. Termine ormai in disuso. Dall'arabo “coffaq”, o dal francese “coufin”, o dal greco “cufa”. In alternativa, potrebbe derivare dal latino “cophinus”, anche se con questo termine il poeta satirico romano Giovenale (I sec. dopo Cristo) intendeva non solo il cesto ma anche il suo contenuto. In particolare, un recipiente ripieno di sassi e di ciottoli che veniva scaraventato contro il nemico. Io propendo per le prime etimologie. A Tarsia, comunque, era una cesta di rami di salice adoperata soprattutto per il trasporto dei grappoli d'uva. Un maestro nell'intrecciare i rami era Vincenzo Cannizzaro. Da non confondere con la “sporta” o con il “fiscinu”.

Colo, cola: uccello simile alla cornacchia o al corvo. Sarebbe il gracchio oppure la taccola. Probabile derivazione da un longobardo “t'achaola”, oppure dal greco “choloiòs” (più propriamente, sarebbe la mulacchia). Anche in un francese antico è detto “colas”.


Colo (o ciaula).

Comitu (accomitu): comodo, a proprio agio. Era anche una piccola piega ad un lato della patta dei pantaloni. Ricordo che mio padre, “ca facìa u cusituru aru cummendi”, chiedeva spesso: “adduvi u vù l'accomitu, a destra o a sinistra?”. Si riferiva alla posizione abituale del membro della persona interessata; predisponeva in tal senso una piccola piega che si adattasse all'uopo. La saggezza dei nostri vecchi era inarrivabile; pur non conoscendo la medicina, sapevano che una pressione troppo elevata sull'apparato genitale (scroto e pene), con il conseguente aumento di temperatura esterna, avrebbe potuto portare, a lungo termine, all'infertilità. Il termine deriva dal latino “cum modo”.

Cona: zona agricola del paese, delimitata a nord dall'Acqua di Palo, a est da Cardiglione, a ovest da Le Caselle, a sud dalla Strada del Procaccia.

Conche: zona agricola del paese, a forma di piccola valle chiusa. Dal latino “concha”( luogo scosceso a forma di conchiglia), a sua volta dal greco “conghe”.

Consulu: pranzo offerto da amici o parenti ai familiari del defunto, come conforto. Dal latino “consulum”, sostantivo deverbale, nel significato di confortare nel dolore.

Contrabuffé: era un mobile, più piccolo del buffé, situato di solito sul lato opposto della parete dove era il buffé, dirimpetto. Dal latino “contra”, opposto, e dal francese “bouffet”.

Copaniare: affaticarsi, percuotere, essere col pensiero in una cosa. Dal greco “copanizo”, frequentativo di “còpto” (termine omerico).

Copanu: vuoto. Dal greco "choufalà".

Coppula: coppola. Dal latino “coppa” (nuca).

Coraisima: quaresima. Dal latino “quadrigesima”, cioè quaranta giorni prima di Pasqua.

Corazzune: compagnone, persona gradita, di gran cuore, cordiale. Dalla radice latina “cor”, attraverso le spagnolo “corazon”, oppure dal greco "chorosiune" (allegrezza giovanile).

Corchia: buccia, guscio, corteccia dell'albero, scorza del pane, crosta di ferita. Potrebbe derivare dal latino “cortex” (scorza) o da “scortum” (cuoio), mediante l'aggettivo “scortea”; “s'arrisic'a ttuttu ppì nà corchia 'i lupinj : si appiglia a tutte le scuse per un nonnulla.

Coste: toponimo di località. Pendio, falda di collina.

Costi: fianchi, anche lato. Dal latino “costa”.

Cota, cuotu: raccolto. Dal latino “coactum”, participio passato del verbo latino ”cogere”. Oppure è una forma verbale dal sostantivo greco “cùtos”, recipiente per la raccolta (Eschilo VI° sec. a. C.).

Crai: termine ormai in disuso. Domani, dal latino “cras”.

Crainante: termine ormai in disuso. Da domani in avanti, da domani in poi. Dal latino “cras ab ante”.

Crapa: capra. Dal latino “capra”. In senso lato, anche ignorante, ottuso, duro di comprendonio: “s'ì propij na' crapa” (sei proprio un ignorante).

Crapicciu: capriccio. Dal francese “caprice”.

Crastare: castrare, evirare, rendere sterile (di animale). Dal latino “castrare”, a sua volta dal greco “clastazo”, spezzare deviando (Filone, I° sec. d. C.).

Crianza: buone maniere, buona educazione. Dallo spagnolo “crianza”, a sua volta da “criar” (educare, allevare bene), dal latino “creare”. Ipotesi etimologica alternativa potrebbe essere la derivazione dal greco “chrein”,  essere conveniente, essere decente; “parlann cù crianza”, parlando con educazione (quando ci si riferisce, nella conversazione, a qualcosa di sporco o disdicevole). Ricordo che, quando si era invitati a mangiare presso parenti ed amici,  mio nonno mi consigliava di lasciare nel piatto sempre un piccolo boccone di cibo, “ppì bbona crianza”, in modo da non sembrare maleducato. Questo non è contemplato in alcun galateo, per cui credo che questo uso servisse a dimostrare che, comunque invitati, non eravamo bisognosi del cibo altrui e ci potevamo permettere il lusso di lasciare nel piatto un avanzo della porzione ricevuta.

Cridenza: mobile da cucina, dispensa. Da un latino medievale “credentia”, a sua volta da un latino classico “credere”, nel significato di depositare, affidare, consegnare. In origine era una stanza adibita all'assaggio dei cibi, che gli schiavi facevano, prima di servirli per verificare che non fossero tossici; in seguito il significato è passato dal luogo al mobile.

Cridenzia: a credito. Dal latino “creditum”.

Criaturu: bambino piccolo. Dal latino “creare”.

Crisara: setaccio per la farina. Dal greco “cresèrion” (Polluce, grammatico greco, I° sec. d. C.).

Criscenta, criscenzia: lievito per la panificazione. Dal latino “crescere”.

Crista: cresta. Dal latino “crista”. E' anche una specie di fungo (crista 'i gaddu, cresta di gallo, la clavaria flava). Si indica anche la cresta  del gallo, o la sommità di una collina.

Cristallijra: mobile a forma di armadio a vetri, diviso in vari ripiani, in cui si conservano e si tengono vasellame, argenterie, cristalli e simili. Dal latino “crystallum”.

Cristarieddhru: gheppio, piccolo falco. Cosiddetto per la piccola cresta che ha sul capo, dal francese “crecerelle”, incrocio con un tardo latino “crepicella”. Credo che il termine possa essere stato introdotto dai normanni, perché era un uccello utilizzato per la falconeria.


Cristarieddhru.

Cristianu: cristiano, uomo, persona. (Vocabolo suggerito da Maria Grazia Grispino). E' usato soprattutto con tono di commiserazione, compassione o benevolenza. Dal greco “christianòs”, uomo battezzato in Cristo.

Crist'i gaddhri: specie di fungo, la clavaria fava.

Crita: argilla. Dal latino “creta”; in origine si intendeva con questo termine un materiale proveniente dall'isola di Creta, utilizzato per rendere più candidi i vestiti, o per uso estetico, e solo in un secondo momento per costruzioni.

Crivu: crivello, setaccio. Dal latino “cribrum”, derivato dal verbo “cernere”. “mi para nù ciciru 'ndù crivu”, riferito a chi non sta mai fermo, è sempre in giro.



                                                                          crivu ppì ciciri                 crivu ppà farina                  crivu ppù granu                                                                                                                                 

Crizza: specie di erba, la pulicaria viscosa. Dal greco “knyza”.


Crizza.

Crocchia, cruoccu:  bastone ad uncino, legno adunco con cui si abbassano i rami degli alberi per raccoglierne i frutti, gruccia. Dal germanico “krukkia”, oppure dal francese “croc” (bastone ad uncino, rampone); ipotesi alternativa potrebbe essere la derivazione dal latino “crux”, croce, mediante l'aggettivo “cruceus”, bastone ad uncino. Da scartare, nel modo più assoluto, la derivazione dei soliti dilettanti allo sbaraglio, che fantasticano una derivazione dal latino “rotulus”.

Crofici: rana. Probabile voce onomatopeica “croc facio”.

Cromatina: lucido per scarpe. Dal greco “chroma”, colore, tinta (Platone, filosofo).

Crosca: Vedi “cruoscu”.

Crosca: torsolo, gambo del cavolo. Da un tardo latino “crustulum”.

Croscaveddhra: susina. Dal latino “crostula” e “vellus”, ricoperto da scorza dura.


Croschaveddhra  (foto di Casella Caterina).

Crucetta: preparazione di fichi, incastonati a forma di croce e tostati al forno, spaccati e ripieni di noce.  Dal latino “cruce”. (a forma di croce).


Crucette.

Crùcia: croce, anche dolore, tormento, tribolazione. Dal latino “crux”; “fatt'a crucia”, rassegnati, non c'è niente da fare.

Crucivia: bivio, intersezione di strade. Dal latino “crux” e "via”.

Crudivili: che ha difficoltà alla cottura. Stessa etimologia di "crudu"

Crudu: crudo, anche acerbo, aspro, immaturo, inesperto. Dal latino “crudus”.

Cruopu: letame, stallatico. Dal greco “còpros”, sterco, escrementi, feccia (termine omerico).

Cruoscu: verme che vive nell'intestino del cavallo, responsabile di flatulenze rumorose. Per assonanza, scoreggia; “tenid'i cruoschi”, è inquieto; anche in greco “kròssòs”, variante di “chòrdapsos” (morbo dell'intestino), formato da “chordé apto” (letteralmente, assalto attraverso l'intestino: Babrio, favolista greco del I° sec. d. C.). Credo sia fuorviante l'associazione con “scroscio”, cioè il rumore di una pioggia impetuosa, o dell'acqua che sta bollendo. Ma le vie del Signore sono infinite; se così fosse, allora la derivazione potrebbe essere da un gotico “kriustan”, a cui si accostano anche il catalano “croxe”, il provenzale “croissir”, e l'inglese “crash”. Io propendo per la prima ipotesi.

Cruscutu: invertito, omosessuale. Probabile dal greco “chrestòs”, amante benevolo, dolce, cortese. L'omosessualità nell'antica Grecia era tollerata, se non favorita, soprattutto nelle classi colte. Non implicava propriamente l'atto sessuale ma la ricerca del bello attraverso il piacere: Giove era innamorato di Ganimede, omosessuali erano Achille ed Alessandro Magno, a Sparta la pratica era regolata da un codice (codice Licurgo); bisogna arrivare a Platone perché venga dapprima contestata e poi praticamente abolita. In senso lato ha  anche il significato di fortunato, baciato dalla buona sorte.

: con. Dal latino “cum”.

Cuadiare: scaldare, Da un tardo latino “excaldare” (mettere nell'acqua calda), derivato da “calidus”.

Cuarela: querela, anche lagnanza. Dal latino “querela”, derivato da “queri” ( lamentarsi, deplorare, lagnarsi).

Cucchia: coppia. Vedi “accucchiare”.

Cucchiara: mestolo di legno. Dal latino “cochlearium”, direttamente dal greco "chochliaron"; in spagnolo castigliano “cuchara”. “I guai d'a pignata 'i sà sul'a cucchiara”, soltanto chi è dentro alle cose ne può capire la sostanza. Un po' di storia non guasta. La derivazione è senz'altro da "cochlea" (conchiglia): i Greci usavano il "chochliaron" per mangiare le uova e le chiocciole (lumache), servendosi della parte concava per le uova e dell'altra estremità per levare il mollusco dal guscio; è probabile che il nome derivi dalla forma a conchiglia di un estremo.


Cucchijar'i ligni .

Cuccìa: minestra di grano bollito condita con vino cotto o miele di fico, che si prepara per la festa di S. Lucia. Dal greco “tà cucchìa”, chicco di grano, o di melograno, o di nespolo, o di pinolo, in unione con il verbo “cuchanào”, mescolare, mischiare (Inni omerici). Sotto forma di minestra, la voce è di origine bizantina. La consuetudine di preparare mescolanza e minestre era propria dei popoli orientali. Una polenta di grano con latte e miele, in arabo è detta “chiuschìa” ed in persiano “chiaschina”.


A cuccìa  (foto di Maria Grazia Grispino).

Cucciari: accovacciarsi, mettersi rannicchiato. Dal latino “ad” e dal francese “coucher”.

Cucciutu: testardo, caparbio, ostinato. Dal latino “coccia” (testa).

Cuccu (cuccuveddhra): cuculo. Dal latino “cuculus”, voce onomatopeica.  Oppure dal greco “ coccuzo”, (canto cuccù, Esopo, favolista greco, VI° sec. a. C.), da cui “chiuccabau”, e quindi da un tardo latino “cocovaja”.


Cuccu (cuccuveddhra).

Cucivulu: riferito ai legumi. Che si cuoce facilmente. Dal latino “coquere”.

Cucuddhru: termine in disuso. Era il bozzolo del baco da seta. Ricordo che, da bambino, sui rami secchi dei gelsi erano posizionati dei piccoli granellini, simili a sale, che mio nonno paterno chiamava con questo termine. La difficoltà dell'etimologia, in questo caso, deriva dal fatto che la seticoltura è stata introdotta, nel Meridione d'Italia, dai Saraceni, quindi dopo il 700; tuttavia credo che il vocabolo possa derivare da un tardo latino “cucullus” (involucro), oppure dal greco “choucouroi” (chicco simile a grandine).

Cucumiglia: termine in disuso. Fino al periodo compreso tra le due guerre mondiali, la Valle del Crati era zona di endemia malarica, non so dire con sicurezza da quale tipi di Plasmodium provocata, dal falciparum, vivax, ovale, oppure malariae. Il trattamento di elezione è il chinino, la cui sintesi farmacologica fu effettuata soltanto nel 1929, con conseguente distribuzione su larga scala. Prima di questa data, si ricorreva ad espedienti empirici, decotti di vario tipo, derivati da piante. Uno di questi rimedi, nella Valle del Crati. era un preparato estratto dalla corteccia del pruno selvatico, oppure dai suoi frutti, non so dire con quale metodica. Il nome di questo preparato era “cucumiglia”, e la derivazione etimologica dal greco “coccumelion” (prugna). Questa ricerca mi è stata facile, perché mio padre, Nicola Dell'Osso, nato nel 1909, aveva contratto la malaria da bambino ed era stato curato proprio con questo decotto; ne è guarito, non posso giurare se per grazia di Dio, o per proprietà farmacologica del decotto.

Cucuma: brocca, paiolo. Dal latino “cucuma” (in origine era un piccolo bagno privato dotato di recipienti con acqua calda per le abluzioni); anche in greco “cuccumion” (Epitteto, I° sec. d. C.).


Cucuma.

Cucune (cuccune): termine in disuso: femore, più precisamente l'articolazione del femore con l'acetabolo, cavità dell'osso iliaco. Dal greco “cochone”.

Cucuzza: zucca, zucchina. Da un tardo latino “cucutia”.

Cudicina: parte finale della coda, anche picciolo. Dal latino “cauda”.

Cudiddhra: parte terminale del rachide, osso sacro. Stessa etimologia.

Cuddhrurieddhru: piccolo dolce a forma di ciambella, preparato per le festività pasquali. Dal greco “collura”, focaccia, anche pane biscottato (Ippocrate, filosofo medico V° sec. a. C.).


Cuddhrurrieddhri (Foto e preparazione di Daniela Riccio).

Cuffiare: sollevare, sventolare il grano per non farvi attecchire insetti. Probabilmente era un lavoro fatto o con una pala o con una cesta. Dal greco “cùfizo”, alleggerire, sollevare (Esopo I° sec. d. C.), oppure sempre dal greco “cufa”, grossa cesta di paglia (Strattone, I° sec. d. C.).

Cufògna, cupogna: grosso buco nel tronco di un albero. Dal greco “cùfos”, vuoto, privo di luce (Tucidide, V° sec. a. C.).

Cùglia: ernia scrotale. Dal latino “culleus” (scroto), oppure dal greco “choile”, ernia (Ippocrate V° sec. a. C.).

Cugliandru: confetto. Dal latino “coriandrum” (coriandolo).

Cugliune: testicolo. Dal latino “coleus”.

Cugnare ('ncugnare): ficcare dentro, conficcare, battere a fondo, pigiare anche nel senso di fottere. Dal latino “cuneus” (a forma di cuneo), oppure da “in cunno” (dentro la vagina), da cui anche lo spagnolo "encunar", o il francese "rencogner".

Cugnu: cuneo, zeppa. Stessa etimologia. “Cugnu da stessa lignama”,  fatto della stessa pasta.

Cugnudere: concludere. Dal latino “cum clàudere”.

Cugnundura: combinazione, occasione, caso, circostanza. Dal latino "cum junctura", attraverso lo spagnolo "conyuntura".

Cujiere ('ncujiere): pigiare, pressare, premere, schiacciare. Dal latino “cogere” (forzare).

Culacchia: parte inferiore, fondo di un recipiente. Dal latino “culus”.

Cularinu: ultima parte dell'intestino utilizzato per insaccati. Stessa etimologia.

Cularrijtu:  in retromarcia. Dal latino “culus ad retrum”.

Culata: bucato, ranno. Termine in disuso. Accanto alla porta d'ingresso della casa dei nonni materni, “ara Turretta”, c'era un localino con il lavatoio e l'acqua corrente (allora pochi si potevano permettere un simile lusso); in questo ambiente si faceva il bucato, soprattutto d'inverno, mentre d'estate si andava “ara petra i Grati”. La biancheria veniva lavata prima con sapone, che poteva essere o rettangolare o a scaglie (era il cosiddetto sapone di Marsiglia), poi messa in mastelli, e sopra si disponeva un telo, credo che fosse di lino, con tessiture larghe (“u cinnirali”), sul telo si ponevano delle foglie, o degli arbusti, di alloro o di ginepro, si sistemava la cenere e si versava sopra acqua bollente, si lasciava il tutto immerso per qualche tempo, di modo che la soda caustica contenuta nella cenere  potesse sbiancare la biancheria, si levava il tutto, si dava un veloce risciacquo e i panni venivano stesi. Il termine “culata” deriva dal latino “colare”, a sua volta da “colum” (filtro).

Culiercina, culiergina: (vocabolo suggerito da Maria Grazia Grispino). Termine in disuso: è nome dato ad un tipo particolare di formica, la “formica rufa”, di colore rosso scuro, tipo ruggine, con la metà posteriore del corpo molto grossa. Che io ricordi, si trovava soprattutto nei boschetti, in nidi piuttosto grandi, che noi bambini ci divertivamo a distruggere. La probabile derivazione è dal latino culus erectus”, cioè dal didietro innalzato.


Culiercina, culiergina.
                                                               
Cullittunu: serie di canali per irrigazione. Sostantivo dal verbo latino “colligere” (raccogliere).

Culostra: prima secrezione lattea dopo il parto. Dal latino “colostrum”.

Culu: culo, ano. Dal latino “culus”, mutuata dal greco “chòilos” (concavo, vuoto), da cui “colon” (intestino). Tra le espressioni icastiche che riguardano il termine, ne cito alcune. “Sorta e cauc'in culu, viat'a chini ni tena”: fortuna e raccomandazioni, beato chi ne ha; “pigliari a cauci 'n culu”: liberarsi di qualcuno dandogli pedate (anche metaforiche) nel fondoschiena; “pigliari ppù culu”: deridere, prendersi beffa di qualcuno, schernire. Questa espressione è dovuta la fatto che, chi era insolvente dei propri debiti, era costretto a stare seduto, su una lastra di pietra, a natiche nude, a dimostrazione che non aveva alcuna proprietà e poteva essere oggetto di derisione pubblica (ma questa usanza era comune a tutta la penisola, non solo al Sud, almeno fino al 1700); “v'à ffà 'nculu, vall'a piglià 'nculu”: frase triviale pronunciata da chi ha, infastidito dall'altrui comportamento, invita il seccatore a dedicarsi a pratiche sodomitiche passive non certamente piacevoli; “sù cul'e cammisa”, sono culo e camicia, per indicare persone che vanno d'accordo, che si frequentano in modo assiduo; “a gaddhrina à fatt l'ova e aru gaddhru li bruscid'u culu”, la gallina ha fatto l'uovo ed al gallo brucia il sedere, riferito a chi si lamenta di un lavoro che non ha compiuto, ma fatto da altri.

Culumbru: varietà di fico nero. Dall'unione di due termini greci: “colymbus”, scuro e "coluthron", fico maturo (Pausania, II° sec. d. C.).


Culumbru.

Culumusciu: persona magra, malandata. Dal latino “culus musteus” (culo molle, floscio).

Culunnetta: comodino. Dal latino, diminutivo di “columna”.

Culutu: grosso didietro, nel senso di persona fortunata. Da “culus”.

Cumbagnia: compagnia. Potrebbe derivare da un tardo latino “cum pane” (partecipe dello stesso pane), oppure sempre dal latino “cum pago” (con il paese, perché “pagus” significa paese). “A mala cumbagnia porta l'uomu ara mala via”: una cattiva compagnia porta sulla cattiva strada.

Cumbidenzia: confidenza, familiarità, dimestichezza. Dal latino “confidentia” “A cumbidenzia fa 'a mala crianza”, l'eccesso di confidenza può provocare maleducazione, l'eccesso di familiarità può degenerare in scostumatezza.

Cumbissari: confessare, dichiarare, ammettere, riconoscere. Da un tardo latino “confessare”, derivato da “confessus” participio passato di “confiteor”.

Cumè: perché. Dal latino “quomodo est”.

Cummara: comare. Dal latino “cum matra”, che sottintende un rapporto tra la madri (nel caso di battesimo tra madrina e madre del bambino, nel caso di matrimonio tra madrina e madre della sposa); familiarmente,  donna con cui si abbia un rapporto di familiarità. Bisogna notare che il greco “cumera” era un paniere, o vassoio con coperchio, contenente oggetti o regali per le nozze, che venivano recati il giorno del matrimonio dalle amiche della sposa.

Cummedia: confusione. Dal latino “comoedia”, a sua volta dal greco “chomos aidein” (cantare in una compagnia allegra, processione bacchica di giovani avvinazzati, nata dalle canzoni improvvisate, piene di frizzi e scherzi nei confronti dei passanti; il carattere della commedia antica, di Aristofane, era proprio derisorio e beffardo). Oppure potrebbe derivare dal greco “chòme aidein” (canto del villaggio, dai canti licenziosi e burleschi degli antichi contadini, durante la festa della vendemmia).

Cummenijre: convenire, avere convenienza, stabilire do comune accordo, adattarsi. Dal latino “cum venire”.

Cummugliare: coprire, avvolgere con panni, anche montare (nel senso di accoppiamento tra animali). Dal latino “cum cumulo”, oppure da un tardo latino "convoliare" derivato di "convolvere".

Cumò: canterano. Adattamento popolare dal francese “commode”.

Cumpare: padrino di battesimo o di matrimonio. Dal latino “cum patre”. A completamento del significato,  vi sono altre accezioni, che riguardano anche il termine “cummara”. “U cumparu d'anello” è il testimone di nozze, colui che presentava le vere matrimoniali agli sposi. Era anche appellativo familiare, con cui ci si rivolgeva ai vicini di casa; oppure anche complice di un malaffare; infine, si intendeva pure chi aveva una tresca amorosa extraconiugale (in quest'ultimo caso, il traslato semantico derivava dal fatto che i rapporti di amicizia potevano trasformarsi in relazioni illecite). I termini “cumpare e cummara” non erano, comunque, limitati ma si estendevano a tutta la reciproca parentela.

Cumparenza: bella figura. Dal latino “cum parere”.

Cumpariri: fare bella figura. Stessa etimologia.“Risparmia e cumparisci” (un dono ben scelto, anche se di poco conto, ti fa fare bella figura).

Cumpiatire: commiserare, partecipare alla sofferenza degli altri. Dal latino “compati”.

Cumporma: in conformità, appena che. Dal latino “cum phorma”.

Cumpriannu: anniversario, compleanno. Dallo spagnolo “cumplir anos”.

Cumprimentu: atto di cortesia, di deferenza, preamboli, cerimonie, ma anche regalo, mancia. Dallo spagnolo “cumplir”, a sua volta dal  latino “complere”.

Cumu: come, dal latino “quomodo”.

Cumufuss: come se fosse. Dal latino quomodo fuissem”; “fuissem” è  piuccheperfetto congiuntivo del verbo “esse”, che qui viene utilizzato come imperfetto.

Cumunca: comunque. Dal latino “quomodo unquam”.

Cunchiere: venire a maturazione ( frutta). Dal latino “complere”.

Cunchitteddhra: piccolo paiolo in rame per uso di cucina. Diminutivo, derivato dal latino “concha”, perché concavo come una conchiglia.

Cunchiudere: concludere, portare a compimento, anche operare in modo utile e vantaggioso. Dal latino “cum claudere”.

Cunchiutu: maturo. Da un tardo latino “complutus”, frequentativo di “completus”.

Cunnu: vulva  e pube. Dal latino “cunnus”, ma anche dal greco “cuno”.

Cunocchia: conocchia, rocca per filare; anche fichi secchi infilati su steli di canna. Dal latino “conucula”, oppure dal greco “chonichòs” (Idomeneo, III° sec. a. C.).


U fusu e a cunocchia.

Cuntrura: fuori ora (specialmente nel periodo estivo, riferito al tempo dedicato al riposo per il caldo). Dal latino “contra horam”.

Cunzare, conzare: accomodare, aggiustare, rimettere in assetto, ma anche condire, apparecchiare. Dal latino “comptiare”da “comptus” (tenere in ordine, ornare). In alternativa, potrebbe derivare, sempre dal latino  “concinnare” (apparecchiare, fare ordine, disporre) “Conzula cumu vò, ma sembi cucuzza ghè”, per dire che non puoi travalicare la natura delle cose. Credo che sia fuorviante e non esatta la derivazione proposta da alcuni “cum solidare” (rassodare con, fare diventare solido). Bah!

Cuocciare: raccogliere chicco a chicco ( soprattutto riferito alle olive). Dal greco “cocchon”, granello, oppure sempre dal greco “chiccos”, involucro dei semi dei semi di frutti.  (Inni omerici, IX sec. a. C.). Non credo sia verosimile la derivazione latina,  come proposta da alcuni, secondo i quali l'etimologia è da "concha" (conchiglia, o madreperla).

Cuocciu: chicco, anche bollicina, piccola pustola che si formava dopo la vaccinazione antivaiolosa. Stessa etimologia.

Cuoppiddhru: mastello. Dal greco “chùpellos” (termine omerico).

Cuoppu: coppa di legno per levare farina o vivande dai contenitori. Dal latino “cuppa”. Per curiosità, “cup” in inglese significa coppa e “scoop” (portare fuori con una coppa) è formato dal latino”ex” e “cuppa”.

Cuòscinutu: gobbo. Derivato forse da “coxinus”, latino tardo, da “coxa”; oppure, in senso figurato riferito alla curvatura del crivello, “coschinon” in greco (Dioscoride, III° sec a. C.).

Cuotu: raccolto, rannicchiato, raggomitolato. Dal latino “collectus”.

Cuotuliare (scutuliare): scuotere, smuovere, agitare, sbattere. Dal latino “cutere” con rafforzativo “ex”; anche il greco “chuto” ha lo stesso significato.

Cuozzcarusu: rapato sulla testa.

Cuozzcatrummolu, cuzzicatummulu: capriola, capitombolo. Dal latino “cocia” variante volgare di “cochlea”, e dal francese “tomber” (cadere). Mi sembra fuorviante l'ipotesi, dei soliti dilettanti allo sbaraglio, la derivazione dallo spagnolo “chorzio” (capriolo) e “tomber”, quindi cadere come un capriolo, in modo agile ed elastico. Verosimile, mi potrebbe sembrare la diretta derivazione dal greco "coutroubàla".

Cuozzu: cima, in alto, sommità di un terreno. Dal greco “chous” (Teofrasto, III° sec. a. C.). “I' sù cuozzu si vida tutt'u paisi”: da questa altura si vede tutto il paese.

Cupogna: incavo negli alberi, grotta. Vedi “cufogna”. Dal greco “cuponìa”, sostantivo derivato da “cufos” (oscuro, concavo, privo di luce).

Cuppetta: coppetta, era un vasetto di vetro che si applicava sulla pelle per richiamare il sangue a mò di ventosa. Sulla parte da trattare si poneva una moneta e su questa una sorta di lucignolo acceso, “u micciarijddhru”; su questo si poneva “a cuppetta”, che determinava un vuoto per assenza di ossigeno, e contribuiva a migliorare il microcircolo cutaneo per vasodilatazione. Era una specie di “vacuum terapia” ante litteram (ah, i rimedi della nonna).

Cupputu: concavo. Di solito, era riferito a piatto; dal latino “cuppa”, a sua volta dal greco “ckipé”, cavità.

Curcare: coricarsi, andare a dormire. Tardo latino, composto da “cum locare”. “A lijttu strittu curchiti 'nmijnzi”: adattati a qualsiasi situazione, ma cerca sempre la migliore.

Curciu: basso, corto. Dal latino “curtus” (mozzo, troncato). “Curciu e malucavatu” piccolo e sgraziato.

Curina: (vocabolo suggerito da Peppe Grispino). Cima, parte più alta di una pianta, fiore del granone o del granturco. Dal greco “chorunesis” , germinazione di un fiore, a sua volta dal verbo “chorunào”, crescere, germinare in forma puntuta (Teofrasto, botanico greco del 3° sec. a. C., nella sua opera principale: Storia delle piante).


Curina.

Curmu: pieno, colmo. Aggettivo dal latino “culmen”. Il termine mi dà il modo di chiarire il perché era utilizzata l'espressione "ara rasa e aru curmu", almeno fino agli anni cinquanta. Nel Meridione, data la scarsa presenza di Istituti di Credito, ai contadini indigenti si concedeva un prestito, sotto forma di grano, o di cereali, da parte dei cosiddetti Monti frumentari (ve ne erano circa duemila); l'anticipo veniva corrisposto "ara rasa", cioè a livello  dell'unità di misura stabilita (di solito "nu munzuddhru, o nu tumminu"),  mentre la restituzione doveva essere "aru curmu", cioè l'interesse che si calcolava, dopo il raccolto, facendo un piccolo monticello sopra il livello del recipiente. Questa consuetudine, prima controllata da organizzazioni ecclesiastiche, poi regolamentata dai Borboni, e statalizzata dopo l'unità d'Italia, è durata fino a circa gli anni cinquanta del Novecento, soppiantata sia dalle migliorate condizioni economiche, sia dall'apertura di sportelli bancari adatti all'uopo (tipo le Casse rurali).

Curmu: pezzo di albero cilindrico e tozzo da tagliare. Dal greco “chormòs”, ceppo, tronco.

Curramune (arramune): a lunga distanza. Vedi “apparrumune”.

Currìa: cinghia, cintura. Da un latino medioevale “correja”, voce evoluta da “corrigia”.

Currijoulu: laccio della scarpa, anche viottolo formatosi per il frequente passaggio di un animale. Nel secondo significato, credo che l'etimologia sia diversa, derivando dal latino “corrugus” (canale).

Curtjiddhrjiare: tagliare con il coltello, affondare il coltello. Stessa etimologia.

Curtieddhru: coltello. Dal latino “cultellus”, diminutivo di “culter”; “culter venatorius”, coltello da caccia ( Petronio, I° sec. D.C.). “M'à dunata a trippa aru curtieddhru”, mi ha dato la pancia al coltello, mi ha provocato in senso di sfida. “Cià pers'u curtijddhru?”: domanda ironica usata per far capire che uno, anche se amico, è poco gradito.

Cuscuglia: piccolo ramoscello seccato, rimasugli di paglia o di legna, avanzi di gusci di noci, di mandorle. Dal latino “quisquilia” (cose di nessun valore), oppure “quisquiliae” (avanzi, spazzatura).

Cusituru: sarto. Dal latino “cum sutura”. Ma “sutor”, in latino, è il calzolaio. Oppure, sempre da un tardo latino “cosere”, frequentativo di “consuere” (unire insieme due cose).

Cuta: pietra per affilare attrezzi. Dal latino “cote”. Voce ormai in disuso.

Cutica: pelle, cute. Dal latino “cutis”.

Cutignuolu: pomodoro. Dal latino “cutineolus” (dotato di pelle rosa).

Cuttunu: cotone. Dall'arabo “al qoton”.

Cuturunu: persona da nulla, malconcio.

Cuuppu: mestolo, anche cartoccio per metterci dentro qualcosa, oppure la sessola usata dai bottegai per trasferire da un contenitore all'altro le granaglie. Da un tardo latino “cuppa”, variante del classico “cupa”.

Cuuzzu gliastru: toponimo di località, tra la chiesetta dei SS Cosma e Damiano e zona Lauro.

Cuuzzu 'mpisu: luogo del paese. Da due termini latini: “cocia”, variante volgare di “cochlea”, chiocciola, nel significato di “testa” e quindi “sommità”, e da “in” e “pensum”, quindi sommità sospesa, inclinata. Per il primo termine, potrebbe anche derivare dal greco “chous” (sommità di un terreno).

Cute cute: voce per chiamare i polli.

Cuvierchiu: coperchio. Dal latino “cuperculum”.

Cuvirnare: dare da mangiare agli animali. Dal latino “gubernare”, nel senso di provvedere ai bisogni, fornire del necessario, riferito al vitto.

Cuzziettu: nuca. Nel senso che sta al vertice della testa, in senso orizzontale. Probabile derivazione del latino “cocia”, variante volgare di “cochlea”(chiocciola), nel significato di testa; oppure dal latino “cottis”(occipite), a sua volta dal greco “chous” (sommità).

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