lettera v - Tarsia dialetto

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V


Vacabbunerìa: stile di vita di sfaccendati e nullafacenti. Stessa etimologia.

Vacabbùnnu: vagabondo, nullafacente, pigro, sfaccendato. Dal latino “vagabundus”, derivato da “vagor”.

Vacànte: vuoto, non occupato, libero, disponibile. Dal latino “vacans”, da “vacare”.

Vaccàru: vaccaio, guardiano di vacche, anche proprietario della stalla. Dal latino “vaccarius”.

Vacìle: catinella per lavarsi, piatto metallico adoperato per diversi usi ( dal barbiere, per funzioni liturgiche). Da un latino medievale “bacile”, a sua volta derivato da “bacinum” (recipiente).


Vacile.

Vadu: guado, passaggio in una siepe, apertura per passare in un podere, cancello di entrata della mandria. Dal latino “vadum” (secca del fiume dove si può passare).

Vàgliu: cortile di un luogo chiuso, dove di solito si tengono gli animali o i carri . Dal francese “bail” (cortile di castello). Era anche una zona esposta al vento, dove si faceva sostare il grano, forse per il vaglio. Dal latino “vallum”.

Vàgnu: grosso contenitore di legno, a doghe o a tavole larghe, per conservare il grano (nei magazzini dei miei nonni materni, ar'a Turretta, ve ne erano due di grosse dimensioni). Dal latino “balneum”, per somiglianza con la tinozza da bagno (ma ci credo poco), oppure da “vannus” (tino di legno).

Vajàna: baccello di leguminacee (fava soprattutto). In tono scherzoso, anche membro virile. Dal latino “bajana”, cioè fava di Baia (località in provincia di Napoli dove si producevano fave squisite); in spagnolo “vaìna”.

Vajanéddhra: diminutivo di “vajana”.

Valàgna: pecora giovane che non ha ancora compiuto un anno. Dal latino “velanea” (che ha ancora il velo, che non ha ancora figliato).

Vammàce: ovatta, cotone, bambagia. Dal greco “bàmbachion”, a sua volta da  “bambix”, baco da seta (Dioscoride, III° sec. a. C. ); “ghè crisciutu 'ndà vammace”, è cresciuto senza aver dovuto affrontare disagi e sacrifici.

Vàmpa: grande fiamma. Dal latino “vapor”.

Vampuliàre: bruciacchiarsi, anche scialacquare. Stessa etimologia.

Vancale: largo scialle rettangolare di stoffa colorata e tessuta su telaio a mano, a strisce regolari, destinato a coprire la testa e le spalle delle donne. Ricordo che mia zia Teresina possedeva un telaio, su cui ha lavorato fino agli anni sessanta. La stoffa poteva essere o di lana pettinata, per uso invernale, o di seta, più leggera, di uso estivo. Prima creava una trama a quadretti, “u quatrettu”, che decorava, ad intervalli regolari, con una greca policroma, “a zanna”, che interrompeva il colore del fondo. Infine, completava, a mano libera, le estremità con delle frange, più o meno lunghe,“u campanaru”. Era una vera maestra, mia zia...

Vanchijttu: sgabello, scranno. panchetto. Dal francese “banquet”.

Vanjiàre: delirare, farneticare, vaneggiare. Voce verbale dal latino “vanus".

Vanniàre: rinfacciare, rimproverare, sbattere in faccia, biasimare. Dal latino “vanus”(vuoto, quindi rendere vana una azione); altra etimologia possibile, voce verbale dal germanico “bandwo”. In senso traslato vuole dire anche fare pubblicità, strombazzare un fatto, diffamare. Un'alternativa etimologica potrebbe essere dal greco "bando", ovvero dallo spagnolo "bandejar".

Vantajòcca: vanaglorioso. Da un tardo latino “vanitare”, attraverso un suo derivato “vaniloquere” (parlare menzognero, con vanità).

Vantéra: grembiale di cuoio che usavano i mietitori, i fabbri o i calzolai, per proteggersi da eventuali colpi contundenti. Da un tardo latino “ante entera”, oppure da un antico francese “devantière” (grembiale).

Vàntisinu, màntisinu: grembiule. Dal latino “ab ante sinum”; in alternativa da “mantus ante sinum” ( manto davanti al grembo).

Varcari: oltrepassare, superare. Da un tardo latino “valicare”. “Quant'anni ti varcad'a ttìa?”, di quanto è più vecchio di te?

Varcatùra: passaggio attraverso una siepe, varco attraverso cui si entra in un fondo. Dal latino “varicare”.

Varìa: terreno argilloso in collina che rende poco.  Dal greco “bàris”, terreno pesante (Erodoto V° sec. a. C.). I “varij longhi” sono una zona della campagna del paese.

Varra: stanga, sbarra. Da un tardo latino “barra”, oppure dallo spagnolo "vara", o ancora dal greco "baròs".

Varramata: forte colpo inferto con bastone. Stessa etimologia.

Varrangu: burrone, precipizio, dirupo, convalle, forra, spaccatura larga del terreno. Dal greco “farangs”, ovvero dallo spagnolo "barranco".

Varriàre: malmenare, picchiare, bastonare, percuotere con la barra. Stessa etimologia di "varra".

Varrillàru: chi fabbrica o vende barili.

Varrìle: barile. Da un tardo latino “barillus”, probabilmente attraverso lo spagnolo “barril”, oppure tramite il francese “barrique”, botte; in alternativa dal greco "bareli".

Varru varru: molto pieno, colmo. Derivato da “varra” (barrato); oppure dal francese “barre”; in alternativa anche dal greco "barùs" (pesante).

Varvarìa: salone del barbiere. Derivato dal latino “barba”.

Varvarìjddhru: barbetta, anche mento. Stessa etimologia.

Varvascku: tasso barbasso (verbascum thapsum), della famiglia delle Scrophulariacee. Ho avuto modo di scrivere su questa pianta a proposito di “attassare”. E' una pianta che veniva utilizzata per molteplici usi. Le foglie, molto vellutate, si ponevano nelle scarpe per alleviare la fatica del cammino, ovvero come carta igienica d'emergenza, quando si era in campagna, o dai cacciatori, oppure, arrotolate ed essiccate, servivano come stoppino, e ancora, il fusto era impiegato come torcia. L'etimologia dal latino “verbascum”, credo che derivi dall'unione di due termini latini “verbena” (qualsiasi tipo di erba con ramoscelli) e “barbascum”, a causa della barba, o pelame, che ne ricopre il fusto.

Varvascku.

Vasare: baciare. Da un tardo latino “basiare”.

Vasciàre: abbassare, portare in basso, chinare. Dal latino “bassus”, soprannome che si dava ad uomo tarchiato e di piccola statura.

Vascijddhru: alveare. Dal latino “vascellum” (piccola arnia). Il termine latino è del IV secolo d.C., utilizzato soltanto dallo scrittore Rutilio Palladio, che scrisse numerosi trattati sull'agricoltura.


U vasccijddru.

Vasciu: pianterreno, luogo o posizione bassa. Stessa etimologia di "vasciari".

Vassuwaxxie (vattuwaxxje, vassulaxxje): boh? Chi lo sa? Dal latino “va tu vacuum”, cioè “va a vuoto” la domanda che si fa, il quesito che si pone, il problema che si prospetta, insomma vattelapesca.  “Vado” è un tardo latino, per cui è possibile una contaminazione con il germanico. Mi sembra un po' stirata l'ipotesi, fatta da alcuni, di far derivare il termine da “vattelo” modo imperativo, da un tardo latino “vado”, in unione con “afflare” (soffiare verso, addosso), cosicché ne risulterebbe un “vadafflare” di non facile comprensione e di difficile interpretazione.

Vastàre: bastare. Potrebbe derivare dal latino “bene stare”.

Vastasu: termine in disuso. Facchino, dal tardo latino “bastum”, a sua volta dal greco “bastazo”, portare; “bastazo tinà cheroìn”, portare qualcosa sulle braccia (Sofocle). Il termine è, però, mutuato da un antico francese “bastais”, facchino; nel dialetto calabrese indica il cafone, il villano. Lo stesso significato ha anche il veneto “vastaio”. Il termine è, comunque, in disuso.

Vasu: bacio. Stessa etimologia di “vasare”; “vasu 'mpizzichijddhri”, un bacio sul musetto, ai bambini in segno di tenerezza.

Vasu: vaso, vasellame. Dal latino “vas”.

Vataliare: ( vocabolo suggerito da Giovanni Signoretti). Ciarlare, parlare molto ed in modo vano, mandare per le lunghe un discorso, traccheggiare. E' un termine interessante, perché potrebbe essere  formato dall'unione di più voci latine: “vacuus” (vacuo), “vastus” (vuoto), “vanus” (vano) e “taliare”. “Taliare” è un tardo latino, formato su un gotico “taljan”: era usato soprattutto dagli agronomi e significava non solo tagliare, fendere, ma anche misurare in lungo un terreno. In senso lato, potrebbe intendersi misurare qualcosa in modo vano, inutile, sull'esempio dell'italiano “traccheggiare”, derivato da traccia, dal latino “trahere”. In alternativa, dal greco “battologheo” (balbettare, parlare a vanvera, ripetere sempre le stesse cose).

Vatalianu: ciarlatano, chi diffonde voce e notizie anche non vere. Non sono d'accordo con chi vuole far derivare il termine dal latino “battuere” , battere, percuotere.  Non c'è nessuna attinenza, né di significato né di assonanza dialettica.

Vatta: cotone. ovatta. Probabulmente dal francese "ouate".

Vattàgliu: ferro rotondeggiante posto sull'uscio dei portoni. Da un tardo latino “batualium”.

Vattiàre: battezzare. Dal greco “baptizo”, immergere (Plutarco, I° se. d. C.).

Vattimùrru: il gioco del “battimuro”: si faceva rimbalzare su un muro una monetina, o un bottone, per mandarla il più lontano possibile. Vinceva chi toccava la monetina dell'avversario. Il numero dei giocatori era vario e la posta in gioco veniva stabilita prima dell'inizio.

Vattimurru.

Vattìri: battere, percuotere, colpire; “a pesta cà ti vatta”, la peste che ti colpisce (non è un'imprecazione, ma una forma per contrariare o contestare qualcuno). Dal latino “vàttere”, tardo latino per il classico “battuere”, percuotere, picchiare, colpire con un arnese, anche urtare con forza.

Vattìsimu: battesimo. Stessa etimologia di "vattiare".

Vàttula: specie di uccello, simile al passero, batticoda  (motacilla alba). Probabilmente il termine è mutuato dalla coda, in movimento continuo, ritmico, come se stesse battendo l'aria.


Vàttula.  

Vatuliari: vedi “vataliari”.

Vaviàri: far la bava alla bocca, anche sporcarsi le labbra di latte, di sugo o di altro liquido. Da un latino onomatopeico “baba”, per i primi suoni che emettono i neonati, in coincidenza con l'eruzione dei denti decidui e che determina anche intensa salivazione.

Vavùsu: ciarlone, spaccone, ragazzo presuntuoso (per la salivazione abbondante che si nota agli angoli della bocca). Stessa etimologia.

Vavùsu: specie di fungo commestibile.

Vecchiareddhra: poltiglia di farina fritta nell'olio, frittella. Questo termine è abbastanza curioso. I Greci preparavano una specie di vivanda contadinesca con la farina di granone bollita nell'acqua, la “graia”,  letteralmente “vecchia”, nel senso di “antica” (termine omerico, Odissea); i Romani ne importarono il modo di preparazione, ma ne cambiarono il nome in “vetula, vecla”.

Vélu: omento del maiale. Dal latino “velum”.

Vénneri: venerdì, dal latino “veneris dies”.

Vérru: il maschio dei maiali, non castrato, adibito alla riproduzione. Dal latino “verres”.

Ververu: termine in disuso. Pensiero fisso, ansioso, angoscia, preoccupazione. le etimologia possono essere due: o dal greco "mermeròs" ( preoccupazione, grave affanno), ovvero dal latino "vereri" (essere inquieto, temere).

Véta: bieta (beta vulgaris). Dal latino “beta”.

Vétte: bastone, pezzo di ramo. Dal latino “vectis”. In origine, era la stanga della portantina.

Via nòva: strada nazionale. Dal latino “via nova”.

Viàggiu: viaggio, ma anche il trasporto  di masserizie, legna e quant'altro. Da un antico francese “viatge” o “veiage”, che sarebbe il latino “viaticum” (riguardante la via), derivato, comunque, da “via”.

Viàtu: beato. Dal latino “beatus”; “viat'a ttìa”, beato te.

Vicchiaja: vecchiaia. Da un latino popolare “veclus”, formato per dissimulazione da “vetlus”, sincopato di “vetulus”, diminutivo di “vetus”. “A vicchiaja ghè nà carogna”: la vecchiaia è una carogna (ipsa senectus morbus est) la vecchiaia è una malattia, scriveva il poeta latino Terenzio, “enim insanabilis morbus est”, e del tutto inguaribile,  aggiungeva Seneca; di pare totalmente opposto, Cicerone nel De senectute esaltava i vantaggi della terza età.

Vicchijzza: vecchiaia, stessa etimologia. “Can'i chiazza e cavaddhr'i razza, bbona giuvindù e mala vicchijzza”: chi è spensierato, non accorto in gioventù, ne potrà pagare le conseguenze in vecchiaia.

Vicinànzu: vicinato. Dal latino “vicinus”, a sua volta da “vicus” (quartiere, rione). Era la forza aggregante del paese: “u vicinanzu” partecipava agli eventi di ciascuno, gioie e dolori, e, all'occorrenza, dava aiuto.

Viddhrìcu: ombelico. Dal latino “imbilicus”.

Vijecchiu: vecchio, anziano. Da un tardo latino “veclus”, per il classico “vetulus”, diminutivo di “vetus”.

Viérsu: verso, in direzione di. Dal latino “versus”.

Vijertula: bisaccia. Dal latino “averta” (valigia, sacco), e con questo significato è attestato dal Codex Theodosianus, già nel IV sec. d. C. ”A mal'angina à ppicata a vijrtula”: ad un cattivo sostegno ha appeso la sua bisaccia.

Viéstia: bestia, in senso estensivo a tutti gli animali. Dal latino “bestia”, che in origine era l'animale feroce destinato a combattere con i gladiatori nel circo.

Vigna: vigna. Dal latino “vinea”; “fa ù spijertu ara vigna i l'ati”,

Vijlia: vigilia. Dal latino “vigilia”. Presso i Romani, era il tempo in cui i soldati montavano la guardia, e la notte era suddivisa in quattro “vigiliae”.

Vijrmi: verme. Dal latino “vermis”; “cà vò fa i vijrmi”, che tu possa avere il verme solitario.

Vilànza: bilancia. Dal latino “bilanx” (“bis" due volte e “lanx” piatto).


Vilanza.

Vinéddhrra: vicolo. Dal francese antico “venelle”. “A vineddhra longa” è un luogo del paese.


A vineddhra da cava.

Vinnimàre: vendemmiare. Da un tardo latino “vindemiare”, a sua volta composto da “vinum de uva emere” (togliere vino dall'uva).

Vintìna: una ventina. Fino agli anni cinquanta era usanza adoperare, per alcune evenienze ( per esempio, contare le uova, oppure gli anni di età, o gli animali di una mandria), un sistema diverso dal decimale; era un sistema numerale su base venti, poiché altrettante sono le dita delle mani e dei piedi, molto utilizzato dai contadini, soprattutto tra quelli nati alla fine del 1800, possibile retaggio dell'epoca normanna. Per dire “dieci, venti, trenta, quaranta, sessanta, ottanta”,  dicevano “nà menza vintina,  nà vintina, nà vintina e nà menza, dua, tri, quattri vintini”. Io stesso ho sentito un anziano dire “mi stài avvicinanni ari quattri vintini e nnà menza”, per dire che si approssimava ai novantanni. D'altronde anche oggi, in Francia, ottanta è “quatre vingt”, cioè quattro volte venti.

Vintuléra: riferito a donna che va e viene, incapace di concludere qualcosa, inaffidabile. Dal latino “ventus”.

Vintuliàre: ventolare il grano o la biada nell'aia, separare il grano dalla pula con l'aiuto del vento. Dal latino “ventilare”.

Vìppita: bevuta. Dal latino “bìbere” (participio passato “bibetum”).

Virga: bacchetta, frusta, bastone lungo e sottile. Dal latino “virga”.

Virghiàre: percuotere con la verga. Stessa etimologia.

Virminijàre: agitazione continua, instabilità fisica e psichica, per assonanza con il muoversi dei vermi. Dal latino “verminatio”.

Virnicchij: toponimo.

Virnizza: invernale. Dal latino “hibernalis”.

Virsura: luogo di un campo arato, dove il solco finisce e, con una piccola curva, comincia l'altro. Dal latino “vertere”.

Visàzza: bisaccia. Dal latino “bis saccus”.

Viscìglia: albero giovane, querciola, anche bastone, frusta. Dall'osco latino “viscus”, attraverso un tardo latino “viscilio” (pianta parassitaria).

Viscigliàta: bastonata, frustata. Stessa etimologia.

Visiculu: strumento in uso dei calzolai per lucidare, lisciatomaia. Potrebbe derivare dal latino “bis” e “secula”, sostantivo diminutivo del verbo “secare”.

Vissìca: vescica. Dal latino “vesica”.

Vissìca: gonfiore sulla pelle provocato dal morso di un insetto. Dal greco “vithìon”.

Vitòrra: termine in disuso. Era un grande cucchiaio di legno con cui i pastori attingevano nella tinozza del latte. Dal latino “abetoria”, perché fatto con legno di abete.

Vitruògnu: bernoccolo sulla testa, livido. Dal latino “vitreus” e da un antico germanico “knoche”, osso, da cui osso fragile come il vetro; oppure dall'unione con il greco “boubon”, gonfiato. Ipotesi etimologica alternativa, sempre dal latino “vitreus” ed “eburneus”, vitreo biancastro.

Vitta: termine in disuso. Nastro con cui le donne intrecciano e legano i capelli. Dal latino "vitta".

Vitticàta: colpo dato con una verga, bastone. Dal latino “vectis”; “c'ìaj fricata na' vitticata”, gli ho dato una bastonata.

Vizza: veccia, pianta appartenente al genere Vicia della famiglia delle papilionacee. Dal latino “vicia”.

Vizza.

Viziu: vizio. Dal latino “vitium”; “viziu 'i natura, nsign'ara morta dura”, vizio di natura dura fino alla morte.

Vòcala  vòcala: altalena. Dal greco “bauckàlein”, cullare (Luciano, II° sec. d. C.). Si fissavano le due estremità di una fune al ramo di un albero e alla base della fune era sistemata, ben fissata, una tavola.


Vocala vocala.


Vòglia: in gran quantità, in abbondanza, molto, assai. Dal verbo latino “volo”.

Vòi: bue. Dal latino “bos”; ''u vòi chiama curnutu aru ciucciu”, il bue dice cornuto all'asino, chi rimprovera ad altri i propri vizi. “A' pirs'i voij e và truvanni'i corni” (hai perso i buoi e vai in cerca delle corna: preoccupati delle cose più importanti).

Vòmmaru: vomere. Dal latino “vumerus”.

Vòmmiru: corbezzolo. Dal greco “chòmiros”, forse in unione con il nome che gli aveva dato in latino Plinio il Vecchio (“unum edimus”), perché sosteneva che dopo averne mangiato uno non veniva voglia di mangiarne un altro. E' detto anche albero del tricolore, perché ha foglie verdi, frutti rossi e fiori bianchi.

Vommiru.

Vòta: sottopasso di un vicolo sotto casa. Dal latino volgare “volvita”, derivato di “volvere”.


A vota da vineddhra longa.

Vòta: volta, voce avverbiale. Stessa etimologia. “Chini paga 'nprima paga ddua vota”: chi paga subito paga doppio. “N'ata vota mò?”, ancora, un'altra volta adesso? Domanda risentita e spazientita rivolta a chi persevera in un atteggiamento o in un comportamento per cui è già stato ripreso, o ripeta un'azione per la quale ha avuto un rimprovero.

Vòtta: fiorone di fico. E' il frutto che matura a tarda primavera, o all'inizio dell'estate: è una fruttificazione che avviene per via partenocarpica, anche se non è avvenuta la fecondazione, per cui i granellini dei semi sono vuoti. Di etimologia incerta, non sono d'accordo con il glottologo Rohlfs, che lo fa derivare dal latino “optatus” (desiderato o scelto perché buono); secondo me  potrebbe derivare da un antico germanico “buot” (maturo di buon'ora, al momento opportuno).

Vòzza: gozzo. Anche ventriglio dei polli. Dal latino “boccia”, oppure dall'arabo “gauze”. “A gaddrhina ca camina, si ricoglia ccà vozza chijna” (la gallina che cammina, ritorna sempre con qualcosa: anche chi è inetto, se si mette in azione, riesce comunque a vivacchiare).

Vrànca: branca, artiglio, manata. Da un tardo latino “branca” (piede di animale).

Vrancàta: manata, brancata, manipolo. Stessa etimologia.

Vràscia: brace. Dal germanico “brasa”.

Vrascéra: braciere. Dal francese “brasier”.


Vrascéra.

Vrasciòla: involtino di carne di maiale, infarcito di prezzemolo, aglio e lardo.  Da un tardo latino “brasa”, o dal francese “braser”.

Vratta: blatta, tignola. Dal latino “blatta”.

Vratta: termine in disuso. Macchia naturale di siepi e di sterpi e, per estensione, il terreno, di solito impervio e scosceso. che ne è coperto. Dal greco "fracte", a sua volta dal verbo "fractein" (assiepare, circondare).

Vrazzantara: compagnia di buontemponi che, a braccio, improvvisa canti e recite. Stesa etimologia di “vrazzu”.

Vrazzàta: quantità che si può tenere tra le braccia. Stessa etimologia di “vrazzu”.

Vrazzu: braccio. Dal latino “brachium”, a sua volta dal greco “brànchiòn” (Eliano, II° d. C.); “sà pigliat'a mana ccù tutt'u vrazzu”, si è approfittato della mia bontà.

Vricciu: aggregati lapidei con piccoli sassi a spigoli vivi. Dal latino “imbricea” derivato da “imbrex”; oppure dal francese “breche”.

Vrigògna: vergogna, al plurale (i vrigogne) il pube delle donne. Da un tardo latino “verconia”, alterazione di “verecundia”. “Cos'i notti, vrigogna i ijurni”: le cose fatte di notte sono deprecabili di giorno.

Vrinzula: termine in disuso. Indica una persona (donna o uomo) sciatta e malvestita, volgare nei modi e nel parlare. La derivazione è da un tardo latino “brandeum” (pezzo di drappo, tela, piccolo pezzo strappato), attraverso il suo diminutivo “sbrindeulum”; in italiano esiste un termine analogo, sbrindellone, cioè persona sciatta e trascurata nel vestire, con gli abiti cascanti e in disordine Grosso modo, oggi potrebbe essere riferito alle ragazze dall'abbigliamento trash, dai modi e dal linguaggio sguaiato.

Vrìnchia: frusta, bacchetta. Forse dal latino “virgultum”, in unione con “vinculum”, ramoscello che lega, oppure direttamente da “vinco”, nome comune del salice, perciò ramo giovane e flessibile di questa pianta.

Vrinchiàta: colpo dato con una frusta flessibile per stimolare gli animali. Stessa etimologia.

Vròcca: grosso chiodo di legno che veniva usato per fissare le tavole del carro ( 'u traìnu); anche un arnese che serviva a fare un invito per avvitare le viti, ora soppiantato del trapano. Dal francese “broche”.

Vròcca: grossa canna spaccata in cima che serve a cogliere i fichi sui rami più alti dell'albero. Dal latino “broccus” (sporgente divaricato).

Vrògna: naso grosso. Sostantivo derivato dal verbo latino “grugno”, oppure dal francese "broigne".

Vrùca: tamerice. Dal greco “mùriche” (Teocrito, bucolico greco III° sec. a. C.); in albanese “vrucke”; “u beni da vruca”: cosa inutile, superflua. “Sì lign'i vruca e siccu sì/ ara fa l'essere tuu e 'un po' mancari/ chini cù lijtt'i puttana si cummoglia/ ghè mijgli cà lu piglid'a quartana”: sei legno di tamerice e  non puoi mancare, chi frequenta il letto di una puttana, è meglio che lo prenda un attacco di quartana febbre malarica.  Non credo che si possa far derivare il termine dal greco “bruo” (germogliare in copia).

Vruca.

Vrùcu: bruco, anche cavalletta, locusta. Dal greco “broùchos” (Sofrone, V° sec. a. C.) , oppure da un tardo latino “bruchus”.

Vrudàta: brodata, beverone di brodo. Dal germanico “brod”, scottare con acqua bollente.

Vrùocculu: broccolo. Dal latino, diminutivo di “brocco” (germoglio). Anche bizze, moine, vezzi, atteggiamenti sdolcinati, e non si sa bene per quale via si possa giungere a questa similitudine con la pianta (forse, in questo caso, la radice andrebbe riscontrata in una derivazione greca “bruo”, fiorisco, sono pieno di comportamenti, di atteggiamenti); mentre nell'altro significato di sempliciotto, lo sciocco dall'aria melensa, la derivazione può essere sempre dal latino “broccus”, con cui si intendeva la sporgenza dei denti dell'arcata superiore, che può dare un viso da sciocco, credulone, inebetito.

Vrùonzu: pescaia, piccolo invaso nel fiume per intrappolare i pesci. Forse da una radice greca “frou”, dal verbo “froureo”, tendere la posta, fare la guardia, trappola fortificata.

Vruscàre: bruciare, riferito a qualcosa di piccante. Da un tardo latino “brusiare” in unione con “urere”.

Vruscénte: bruciante, scottante. Stessa etimologia.

Vruschi: ruvido, aspro. Viene riferito soprattutto ai peperoni “cancaricchj vruschi vruschi”, peperoni secchi e ruvidi. Termine derivato da un verbo tardo latino “brusicare”.

Vrusciàre: bruciare. Da un tardo latino “brusiare”.

Vucàle: boccale, vaso di terracotta. Dal greco “baucàlis” (Epifanio, IV° sec. d. C.).

Vucch'i liuni: bocca di leone (anthittinum majus).


Vucch'i liuni.

Vucca: bocca, Dal latino “bucca”. “Vucca chiusa, 'un piglia mmusca” (chi si fa i fatti suoi non va incontro a spiacevoli incidenti).

Vuccàgliu: tappo, turacciolo, anche museruola. Derivato da “bucca”.

Vuccapijértu: persona stupida, minchione, credulone, incapace di mantenere un segreto. Dal latino “bucca aperta”.

Vucchisùtta: bocconi. Dal latino “bucca subta”.

Vuccula: occhiello della giacca; anche l'anello di ferro che fungeva da martello del portone; anche orecchini che venivano portati subito dopo aver forato i lobi delle orecchie. Dal latino “buccula” (piccola bocca), oppure dal francese  "boucle".

Vuccunottu: bocconcino  o pasticcetto di forma rotonda fatto di pasta frolla. Derivato diminutivo da "bocca".

Vucìja: bugia, menzogna. Dal latino “bauscìa”.

Vucìa: bugia, piattellino per adattarvi una candela, piccolo candeliere. Dal nome della città algerina Bidjaia, famosa per la produzione di cera per candele.

Vuda: termine in disuso. E' il nome di una pianta acquatica. Da un tardo latino “buda”. Veniva utilizzata soprattutto per impagliare le sedie.

Vuda.

Vùddhra: euforbia, più propriamente i suoi fiori.  Dal latino “bulla” (vescichetta), perché a contatto con la pelle produce delle bolle, a causa del lattice degli steli. Vedi anche "tuttumagliu".


Vuddhra.

Vuddhrìre: bollire. Dal latino “bullire” derivato di “bulla”; “a pignata ti vuddhra 'mpara a ttìa”, tutto ti va per il meglio. ”Si vò mangià a carna ccù gustu, prima ara vuddhra, ppù ara rrusta”. (consiglio culinario).

Vulantìnu: persona volubile, instabile, perditempo. Diminutivo di “volans”, participio presente di “volo”.

Vulissa Ddìu: magari, voglia il cielo che accada. Dal latino “volo”, attraverso il piuccheperfetto congiuntivo “voluissem”.

Vùommicu: vomito. Dal latino “vomitus”; “vomitu levare stomachum”, alleggerire lo stomaco con il vomito (Anneo Seneca, I° d. C.). Presso le classi agiate dei Romani, era usanza vomitare dopo una scorpacciata, facendosi titillare il palato dagli schiavi, per poi ricominciare a mangiare.

Vùoscu: bosco. Da un tardo latino “buscus”.

Vùozzu, vozza: gozzo degli uccelli. Dall'arabo “gauze”, o dal latino “boccia”.

Vurpa, vurpagliòla: volpe, volpacchiotto. Dal latino “vulpis”.

Vurpìgnu: furbo, astuto. Stessa etimologia.

Vurpìle: staffile fatto col nervo di bue, o con un ramo di salice. Dal latino “verpa”, membro virile, o prepuzio del membro del maiale (Valerio Catullo I° sec. a. C.).

Vurra: vedi abbarruccare.

Vurràina: borragine, un tipo di erba. Nelle verdi campagne calabresi, da marzo fino ad autunno inoltrato, non si può fare a meno di notare la borragine, in dialetto ‘a vurraina, l’erba spontanea dalle larghe foglie coperte da una leggera peluria e stupendi fiori blu cobalto a forma di stella. E’ una pianta annuale che cresce allo stato spontaneo ricchissima di minerali essenziali quali calcio e potassio, acido palmitico e tannini e acidi grassi essenziali Omega 6 come acido gammalinoleico e acido linoleico. In più contiene fitoestrogeni, ormoni naturali che regolano la funzione ghiandolare.
La borragine è tonica, diuretica, espettorante, antinfiammatoria, antifebbrile, sedativa, antidepressiva, diaforetica, emolliente, leggermente lassativa e perfino galattogena, sia consumata nei pasti quotidiani che sottoforma di olio essenziale. L’etimologia del suo nome è piuttosto oscura: potrebbe risalire ad un tardo  latino “burra, o borago”, una stoffa ruvida e pelosa come la pianta, oppure potrebbe derivare dal termine gotico “borrach” che significa coraggio, ma anche dall’arabo “abou rach”, che letteralmente vuol dire padre del sudore, riferibile forse alle sue proprietà di eliminazione delle tossine. I Greci la usavano nel vino ma anche come rimedio per il mal di testa dopo una sbornia. E’ di Plinio, che la chiamava anche euphrosinum, invece la frase “Ego borago, gaudia semper ago” e in essa individuava la famosa nepente di Omero, di cui ci si cibava per conquistare oblio e spensieratezza e per scacciare i cattivi pensieri (la nepente, dal greco “nepénthòs”, era una bevanda prodigiosa cui si attribuiva la capacità di lenire il dolore e dare l'oblìo ai mali: una droga, insomma...). Anche Marziale racconta di alcune ricette a base di foglie e fiori di borragine capaci di rallegrare il cuore e si narra che Poppea, per sedurre i suoi uomini, preparasse personalmente una crema squisita, a base di ricotta mescolata ai fiorellini blu. Le nostre nonne la usavano in decotti per curare febbri e disturbi nervosi e per aumentare la montata lattea delle puerpere e naturalmente in cucina, per preparare buoni e salutari piatti. Le foglie lessate si possono usare esattamente come spinaci e bieta, da sole per le salse o come base o ripieno di pasta, focacce, frittate e frittelle. Con i  fiori, canditi o riposti nelle vaschette del ghiaccio si possono fare delle meravigliose frittelle blu. Se poi dovete affrontare una situazione difficile, seguite il caro vecchio Plinio: mettetene qualcuno in un bicchiere di vino e bevete…


Vurraina    (foto di Maria Grazia Grispino).

Vursìjddhru: tasca dei pantaloni. Dallo spagnolo “bolsillo”, con rotacismo di “l” e passaggio da “ls” a “rs” e spirantizzazione di “b” in “v”, propria dei dialetti meridionale (fenomeno del babaismo: come in “bacio/vasu).

Vurughìnu: semenzaio, vivaio per piccole piante. Deformazione dal latino “pulvinus”, cuscino, ma anche aiuola, rialzo di terra, banco di sabbia (Giunio Columella, I° sec. d. C.). Non sono d'accordo con alcuni Autori, che, con grande fantasia, farebbero derivare il termine da una stroppiatura sincopata di due vocaboli latini “pullorum vivarium”, trasformati prima in “pulluvirium” e poi in “vurughinu”.

Vurza: borsa. Da un tardo latino “bursa”, a sua volta dal greco “birsa”, contenitore di pelle.

Vussurìa: forma sincopata di “vostra signoria”. Espressione di rispetto verso gli anziani.

Vùtamu: saracchio, pianta graminacea con steli taglienti, che un tempo venivano usati per legare le viti (farundo ampelodesmon). Dal greco “bùtomon”.

Vùtamu.

Vutàre: girare, voltare. Dal latino “volutare”, intensivo di “volvere”.

Vutàre: votare alle elezioni. Dal latino “votum” derivato di “vovere” (votare, promettere in voto).

Vùtta: botte. Dal greco “bùttion”(termine omerico IX° sec. a. C.); “figli fimmini e vutt'i vini, spicciali quanti prima”, cerca di disfarti prima possibile delle figlie e del vino, perché altrimenti le prime rimangono zitelle e diventano un carico per la famiglia, il secondo diventa aceto.

Vutticéddhra: piccola botte. Stessa etimologia.

Vùttu: pieno, sazio. Vedi “abbuttare”.

Vuuzzu: gonfiore, protuberanza. Stessa etimologia di “vuuzzulu”.

Vùuzzulu: bozzolo, anche piccola escrescenza dura. Da un tardo latino “boccium”, cosa rotonda e rigonfiante.

Vuvùrnu: viburno, pianta spontanea (cytisus laburnum). Dal latino “viburnum”.

Vuzunijttu: calderotto, paiolo. Recipiente in rame, non stagnato, in forma concava, con manico ad impugnatura, che serviva per la cottura di creme, o di dolci caramellati. Probabile origine da un antico francese “poconnet” o “petit pot”, marmitta, boccale, in unione con il latino “punctio”, marchio, per indicare in origine un misurino garantito da punzonatura.

Vuzzùnu: taciturno, imbronciato, di cattivo umore, anche grossolano, pancione. Probabilmente da un antico tedesco “bozaun” (spingere dentro, gonfiare, arrotondare); quindi, nel senso materiale, chi è pieno di cibo e, nel senso metaforico, chi è pieno di pensieri.
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