J – I
Come vocale finale tende ad affievolirsi.
Jàcca (jaccatìna): fessura, fenditura. Stessa etimologia.
Jaccàre: spaccare con forza , fendere, aprire in due parti. Dal latino “hiare”; “terra hiat”, la terra si spacca (Anneo Seneca, I° sec. d. C.); in arabo “sciaqqaqa”.
Jamm: usato soprattutto come avverbio esortativo, orsù, sbrigati! Dal latino “eamus", dal verbo "ire".
Jàngu, jànga: bianco, bianca. Da un germanico gotico “blanck”.
Jàscu (fiascu): otre per il vino o per l'acqua. Dal greco “ascos”, recipiente in pelle (termine omerico), o da un tardo latino “flasca”.
Jastìma (jastimare): bestemmia, ma anche malocchio, jettatura. Dal greco “blasphemìa”. In origine era la calunnia, la parola offensiva, l'oltraggio, il cattivo augurio durante il sacrificio agli dei (Euripide, V° sec. a. C.) ; solo nel linguaggio ecclesiastico ha assunto il significato di espressione irriverente verso il sacro. “Aru cavaddhru jastimatu li lucid'u pilu”, al cavallo bestemmiato viene il pelo più lucido (chi può sopportare offese denigratorie, diventa moralmente più forte).
Jatàre: respirare, fiatare, anche soffiare. Dal latino “flatare”, voce verbale da “flatus”; “ipsa sui flatus aura”, lo stesso alitare del suo respiro (Publio Ovidio Nasone, I° sec. a. C.); “flatus sanctus”, il respiro dello Spirito Santo (Aquilino Giovenco IV° sec. d. C.).
Jàzzu: luogo dove le pecore vengono raccolte per riposare all'aperto, stazzo. Dal latino “jacium” (giaciglio), oppure dal greco “jautmòs”, luogo di riposo, dimora per animali (Licimnio, IV° sec. a. C.); anche in arabo “jaza”. “U can'i bbona rrazza si ricoglia sembi aru jazzu”: chi è legato alle proprie radici, ritorna sempre alle origini.
Jejjiu: albanese d'Italia. Dal greco “'ngchechicòs” (albanese), oppure dall'albanese “ghèghè” (albanese del Nord). “Si scuunti nu lupu e nu jejjiu, ammazza prim'u jejjiu e pù u lupu" (se incontri un lupo ed un albanese, uccidi prima l'albanese e poi il lupo).
Jencu: giovenca. Dal latino “juvenca”.
Jénneru: genero. Dal latino “gener”.
Jiennu, jiennu: andando. Dal latino “eo”, nel suo participio presente “iens”.
Jérsu: terreno incolto, arido, sterposo, soprattutto nella locuzione “terra jersa”. Dal greco “ ghé chersòs”, terra arida, incolta, deserta (Erodoto, V° sec. a. C.).
Jétta: treccia di capelli, ma anche inserto di fichi secchi, di aglio o cipolla, legato a treccia. Dal latino “flexa” (treccia); “longa coma flexa”, lunghi capelli intrecciati (Valerio Catullo, I° sec. a.C.). Oppure dal greco “chaìte”, capigliatura lunga e sciolta, anche fogliame (Callimaco, III° sec. a. C.). Come voce verbale, esprime l'imperativo di “jittare”.
Jett'i fichi.
Jiettabànnu: banditore del paese. Vedi “jittare” e “bannu”.
Jettatùru: iettatore, persona a cui si attribuisce il potere di portare sfortuna, di far succedere guai. Dal latino “iactare”, frequentativo di “iàcere”, nel suo infinito futuro (dovrà arrecare danno, perdita, rinunzia).
Jiditàli: ditale. Dal latino “digitalis”.
Jìditu: dito. Dal latino “digitus”. Mi sia permessa una breve digressione sulle cinque dita della mano. Il pollice è l'unico dito opponibile: dal latino “pollex”, derivato da “pollere” (dominare, prevalere), veniva utilizzato come misura o come approvazione (“pollicem vertere”, negare la grazia, Plinio , I° sec. d.C.); l'indice è “index salutaris” (rivelatore di salute, Quinto Orazio Flacco, I° sec. a.C.); il medio è “medius infamis impudicus” (Valerio Marziale, I° sec. d.C. - l'estensione del dito medio a pugno chiuso significava già, al tempo dei Romani, “vat'a fà futti”); l'anulare è “medicus anularis” (Plinio il vecchio I° sec. d.C.: credenza mutuata dagli Etruschi, che supponevano una connessione diretta tra vasi sanguigni del dito della mano sinistra ed il cuore e, come obbligo convenzionale in caso di matrimonio, lo cingevano con un cerchietto di ferro); il mignolo è il “minimus” (Plinio, I° sec. d. C.). “I jiditi da mani 'un su tutti guali”, le dita di una mano non sono tutti uguali, ognuno ha la sua caratteristica.
Jìffa: cimice (nezara viridula, oppure la palomena prasina). Dal greco “ipos”, insetto roditore delle viti (Teofrasto, II° sec. a. C.)
Jiffa.
Jìffula: legatura del gomitolo, matassa, anche treccia. Dal longobardo “wiffa”.
Jiffula: schiaffo, ceffone. Dal francese “gifle”.
Jitti, jittunu: germoglio, pollone.
Jilàta: gelata. Dal latino “gelare”.
Jina: lino, più propriamente era il filetto interno che rimaneva dopo la prima lavorazione della pianta. Dal latino “linum”.
Jinìpru: ginepro. Dal latino “juniperus”.
Jinnàru: gennaio. Dal latino “Ianuarius”. Anche nome maschile, Gennaro.
Innést: all'infuori, fuorché, eccetto, anche da parte. Dal latino “in extra”; “omnes in extra unum te”, tutti eccetto te (Plinio, I° sec. d. C.).
Jinòsta: ginestra. Dal latino “genista”.
Jinosta.
Jìppu: gobba. Dal latino “gibbus” (convessità, protuberanza, gobba), o dal greco "chiumbé".
Jippùne: giubba, in origine era il corpetto delle contadine. Dall'arabo “ghiubba”, oppure dal francese “jupòn”.
Jìre: andare. Dal latino “ire”. Il verbo “andare”, a Tarsia, e credo in tutto il Sud Italia, ha doppia coniugazione: nel tempo presente indicativo (“ghia vaj”) ricalca l'italiano (“io vado”) e deriverebbe dal latino “vado”, mutuato dal greco “bào” (andare marciando, avanzando), mentre nel tempo passato (“sugnu jiutu”) ricalca il latino “itus”, participio passato del verbo “ire”. Per inciso, andare deriva dal latino “anditare”, frequentativo di “adire”.
Jìri: ieri. Dal latino “heri”.
Jirmitu: manipolo di grano mietuto, con spiga e stelo; dall'unione di più “ijrmiti” si forma la “gregna”. Dal latino “merges”, covone, anche fascio di spighe, attraverso il suo caso ablativo “mergite”( Virgilio, Georgiche), e per trasposizione sillabica. Credo che sia da escludere la derivazione da un gotico “germen”, o da un fuorviante “Hermes” (Mercurio, dio dei confini), perché non c'è nessuna correlazione logica, né alcuna assonanza fonosimbolica con il termine.
Jirmiti.
Jistérna: cisterna. Dal latino “cisterna”, a sua volta dal greco “ghisterna”.
Jittàre: gettare, scagliare, lanciare. Dal latino “jactare” frequentativo di “iàcere”; “oscula jàcta ad ventum”, baci gettati al vento (Cornelio Tacito, II° sec. d.C.); “cà vò jittà sangu”, che tu possa sanguinare.
Jittùne: pollone di pianta, germoglio, succhione.Dal greco "ftituma".
Jotta: oppure “sciotta”, non ricordo bene. Voce in disuso dagli anni cinquanta. L'introduzione dei detersivi su larga scala si è avuta verso la metà degli anni cinquanta; per lavare i piatti, pentole e stoviglie si utilizzava l'acqua di cottura della pasta, ricca di amido (l'acqua d'a pasta), che poi veniva adoperata, mischiata agli avanzi e “ara caniglia”, come beverone per i maiali (non si buttava via niente). Potrebbe derivare da un tardo latino “jutta”, brodo, oppure da un arabo egiziano “shott”.
Jri: termine in disuso. Arcobaleno. Dal greco "iris".
Juccàre: fare la chioccia, covare le uova. Dal latino “glocidare”, ovvero dal greco “glotèin”. E' comunque voce onomatopeica riferita al verso che fanno le galline nel periodo della cova.
Jocatùra: riferito alle articolazioni, soprattutto delle dita, nocca. Dal latino “iunctura” da “iungere”.
Jòcca : chioccia. Dal latino “glocida”, a sua volta dal greco “glotòs”.
Judicàre: giudicare, valutare, argomentare, dedurre. Dal latino “iudicare”.
Jugàle: uomo stupido, sempliciotto, tardo. E' un personaggio di favole calabresi. Dall'arabo “djuhà”, figura popolare che impersona lo sciocco. Nel teatro siciliano dei burattini esiste un personaggio simile (Giufà).
Jùogu: giogo degli animali da tiro, specie dei buoi. Dal latino “jugum”; “jugum imponere bestiis”, porre il giogo agli animali (Marco Tullio Cicerone, I° sec. a.C.).
Juogulàru: bastoncini che si riuniscono sotto il collo del bue quando porta il giogo. Dal latino “jugulum”.
Jujuléra, jùjula: frutto del giuggiolo, giuggiolo. Dal latino “ziuzyphus jujuba” a sua volta dal greco “tsitsiphon”.
Jujula e jujulera.
Jumàra: fiumara, torrente impetuoso. Dal greco “cheimarros”, torrente in piena gonfiato dalle nevi sciolte (termine omerico, Iliade), dall'unione di “cheima”, tempesta e “reo”, scorrere; oppure dal latino “fluminarius”.
Juménta: giumenta (bestia da soma). Dal latino “iumentum”.
Jùmu: fiume. Dal latino “flumen”.
Jùncu: giunco, canna. Dal latino “juncus”.
Jiungìre: porgere, riunire, giungere, collegare, chiudere, accostare. Dal latino “jungere”.
Junnàre: vedi “ajiunnare”.
Jùnta: quanto ne contiene la giumella (concavità formata dalle mani riunite e accostate). Dal latino “jungere” (manum). “'Na junta”: un poco; “a junta a junta”: poco a poco.
Juntàre: aggiungere a poco a poco, unire insieme, attaccare, congiungere. Dal latino “junctare”, frequentativo di “jungere”.
Juntùre: nocche, giunture, articolazioni delle ossa. Dal latino “iunctura”.
Jùocu: gioco. Dal latino “iocus” (scherzo, burla, poi gioco); “ludus et iocus”, il gioco e lo scherzo (Marco Tullio Cicerone, I° sec. a.C.).
Jùornu: giorno. Da un tardo latino “diurnum tempus”, dall'aggettivo “diurnus” derivato da “dies”. "Cchini si marita ghè cundindi nu juornu, chini ammazzid'u puurcu ghè cundijndi n'anni" (chi si sposa è contento un giorno, chi uccide il maiale è contento per tutto l'anno); "doppi Natali u iuornu criscia nu pass'i cani" (dopo Natale le giornate si allungano un po' alla volta);
Jùovu: giovedì. Dal latino “Iovis dies” (giorno di Giove).
Juppinu, juppinijeddhru: piccola giacca, corpetto in uso soprattutto tra le contadine. Da un antico francese “jupon” (indumento femminile, sottoveste, gonnellino), oppure dall'arabo “ghiubba” (indumento di cotone).
Juràre: giurare. Dal latino “iurare”; ”per caput hoc iurare”, giurare sulla propria testa (Virgilio Marone I° sec. a.C.).
Jurnàta: giornata. Da un tardo latino “diurnus”.
Jùsca: pula, loppa, guscio dei granelli dei cereali. Dal latino “flusca”, a sua volta derivato dal greco “fusca”, qualcosa che si libera col soffio (Eubulo, IV° sec. a. C.)..
Jurìri (juri): fiorire. Dal latino “florere”. “Jur'i cucuzza” (tallo, fiore di zucca); “u vinu 'a fatt'u juru” (il vino è ricoperto di muffa bianca).